30/12/09
I BRONZI SLOGGIATI DAL MUSEO IN "CURA" NEL PALAZZO DEGLI INQUISITI
25/12/09
IL NATALE DEI CALABRESI NON E' QUELLO CHE CI FA VEDERE LA RAI
19/12/09
SEQUESTRO MEDICI, UN SILENZIO CHE DURA DA 20 ANNI
Poco prima che scocchi la mezzanotte, sente qualcuno che bussa alla porta: è uno che ha la chiave di casa, ma che non può usarla, perché da migliaia di giorni è scomparso, come inghiottito dalle tenebre, sparito nel nulla.
E’ uno dei sequestrati che non sono tornati, è Vincenzo Medici, rapito il 21 dicembre del 1989 a Bianco e di cui, come recita l’arida forma dei mattinali di polizia, “non si hanno più notizie”.
Giovanna Ielasi, la moglie, lo rivede col suo sorriso bonario sul faccione rubizzo, ha in mano un enorme fascio di rose.
Era il mestiere suo, quello di coltivare piante e fiori, e anche quella sera, sotto un cielo stellato, era andato in azienda a vedere se tutto fosse a posto, a seguire, quasi tenendo il fiato sospeso, la crescita nelle serre illuminate in quel mare di verde.
Casa e lavoro, famiglia e lavoro: pur non avendo avuto figli, Vincenzo, Enzo per gli amici, e Giovanna erano assai uniti, colmavano questa lacuna riversando ondate d’affetto sui nipoti, i fratelli.
E su un mobile, nella casa silenziosa, dove nessuno quasi mai, da “quel” giorno, apre le finestre, c’è una bella foto a colori, che ritrae Vincenzo Medici (“zio Enzo”) con la nipote Patrizia, figlia del fratello Giulio, l’avvocato, che venne bloccato a Roma all’uscita d’una banca con nella borsa il denaro che faticosamente era riuscito a raccogliere, nella speranza di poter aprire una trattativa con gli spietati “esattori” della cosiddetta Anonima sequestri della Locride.
Lo Stato mostrò la sua faccia più dura, i soldi vennero sequestrati, e il telefonista della banda non fece più sentire quella voce metallica, quasi spaziale, una voce che ancor oggi mette i brividi, a risentirla, incisa sul nastro d’una vecchia cassetta.
I Medici vivono questo dramma in dignitoso silenzio: non si sono affidati ad altri, se non alla speranza.
Niente taglie, neppure appelli sui giornali, una composta sofferenza vissuta ogni giorno, una sorta di calvario che lascia dietro di sé soltanto un senso d’impotenza, una spossatezza morale.
Niente più visite in Procura, a Locri, dove ancora non si è riusciti a squarciare il velo del mistero sui cosiddetti “riscatti di Stato”, pagati, eccome, per la liberazione di altri sequestrati. Una pagina nera per le Istituzioni, mentre c’è chi si gode ancora il denaro ricevuto in cambio di presunte “informazioni”.
Il caso è ufficialmente ancora aperto, l’inchiesta è però inesorabilmente finita sul binario morto dell’archiviazione.
Si è sperato, in questi anni, nella pletora di pentiti più o meno attendibili, ma nessuno di loro, almeno finora, ha detto di sapere qualcosa della sorte di Vincenzo Medici, uomo generoso, che aveva creato lavoro e benessere per tanta gente, in una zona dove, a tratti, il profumo intenso della salsedine, si mescola a quello del gelsomino in fiore, e ne viene fuori un’essenza inebriante, che stordì i primi coloni greci sbarcati migliaia d’anni fa, che dalla costa risalirono le sassose fiumare fino ad incontrare i brulli calanchi tipici d’un paesaggio che ispirò Cesare Pavese, esule a pochi chilometri, a Brancaleone.
Giovanna Medici non ha ancora smesso di credere in quella gente ionica, è rimasta tra loro, non cova odio, rivendica soltanto il diritto di sapere e non vuol rassegnarsi alla rassegnazione.
11/12/09
ITALO, QUEL RAGAZZO BRUNO CHE ACCAREZZAVA IL PALLONE
Sul quel campo senza erba si allenano due squadre, la Pro Pellaro, che attraversa il suo momento d’oro, e la Libertas, che va avanti a stento, facendo leva sull’entusiasmo del presidente, il professor Aiello, e sulla guida tecnica di “Tuzzo” Battaglia. Il regista di centrocampo è un giovane bruno dal tocco felpato, si chiama Italo, studia all’università, idee di sinistra, vorrebbe fare lo storico.
Ho tra le mani una foto ingiallita, ed eccolo Italo, accanto a Battaglia e altri tre ragazzi che guardano l’obiettivo con aria spavalda, lui è lì col suo sorriso e le braccia conserte. Quanto tempo, Italo, io e gli altri della mia età stavamo dall’altro lato, con i primi in classifica e con aria di sufficienza trattavamo i “parenti poveri” della Libertas cui qualche soldo arrivava dai notabili dc del rione.
Da allora avevi scelto di essere minoranza, perché in fondo lo sei stato tutta la vita, e anche quando il favore popolare, la gente che ancora non dimentica di amarti, decisero di portarti sullo scranno più alto di palazzo San Giorgio restasti sempre tale, dalla parte degli umili, di quelli che parlano sapendo di non avere voce.
Quanto tempo, Italo, da quei giorni ad inseguire un pallone su quel campo gibboso, fino a ritrovarci tu consigliere comunale appena eletto, io giovane cronista alle prese con la difficile esperienza di “fare” l’informazione in una città che di lì a qualche anno sarebbe stata indicata ad esempio di degrado, di centro di corruzione e strapotere della mafia, il buio era calato su Reggio.
E vennero quegli incontri della domenica mattina, quando passavi dal giornale e si parlava di tutto meno che di politica, le cose del tuo partito le tenevi dentro anche con una certa sofferenza, del resto la tua “anomalia” era nota, eri l’uomo del dialogo, del confronto sereno e portavi nei ragionamenti la tua cultura storica, quell’approccio “salveminiano”, ci si passi il termine, che ti faceva vedere la realtà attraverso una lente tutta speciale.
La cultura, osservavamo, non la si compra al mercato, la formazione politica, ed era questo un tuo cruccio, la cosa che già allora (e non avevamo certo la classe politica di adesso) lo angustiava non può essere improvvisata, fatta di slogan.
Poi, il discorso prendeva altre direzioni, e veniva fuori la comune passione per la ricerca storica, lo studio delle radici di questa terra, il pensiero dei grandi uomini che nell’arco dei secoli l’hanno attraversata, tanti di loro sono stati dimenticati. Ricordo che avevamo anche pensato a qualcosa da fare assieme, ma gli impegni suoi e miei (intanto avevamo messo su famiglia) non ce lo avrebbero consentito.
“Vedrai, mi disse, che potremo farlo, ci sarà pure per noi il momento del riposo”.
Per lui è arrivato in un giorno grigio di dicembre l’appuntamento con la signora vestita di nero con in mano quella falce che, come disse il Poeta, “pareggia tutte le erbe del prato”.
Quanto tempo avremmo avuto, Italo, da dedicare alla nostra amata storia, so che tu ne parlavi coi figli, che hai cercato, come cerco di fare io, di inculcare dentro di loro la passione per questa disciplina fondamentale nella formazione dei giovani, e chissà quanto bisogno ce n’è in questo mondo che dimentica i valori, cancella le tracce del passato, non apre alle nuove generazioni le porte della speranza.
Tu volevi farlo e l’hai fatto finchè hai potuto, da docente, da politico, da guida illuminata d’una Reggio ripulita dalle macerie accatastate da una classe di governanti avidi e incapaci, solo poche stelle hanno brillato in un firmamento scuro come un antro dell’Inferno dantesco. Ora attorno a te è il silenzio, dovunque tu sia, ne sono certo, ti vedranno incedere col tuo passo elegante, silenzioso, come quando accompagnavi, con lancio perfetto, il pallone verso il compagno in attesa.
Ci saranno giorni e giorni, ma il tuo ricordo resta incancellabile anche in coloro i quali, e io sono tra quelli, che lavorando altrove, non ti hanno seguito nel cammino di primo cittadino conosciuto in tutto il Paese e additato ad esempio, capace di rispondere con un sorriso agli attacchi più feroci e di trovare il coraggio di dire tutto alla gente, anche quando non era piacevole, come dare l’annuncio della malattia, che vile agguato del destino, caro Italo.
Guardo questa foto e un brivido mi percorre la schiena, ma dentro di me si fa forza la speranza che non tutto è finito, che quel discorso interrotto lo riprenderemo. Ne sono sicuro.
06/12/09
DELITTO INZITARI, QUANDO LA MORTE E' UN GIOCO DA RAGAZZI
20/11/09
PROMESSA SPOSA DEL MOSTRO, CHE SQUALLIDA ESIBIZIONE!
10/11/09
ALLA GALLERIA MONOGRAMMA MOSTRA FOTOGRAFICA DI TERESA EMANUELE
05/11/09
ADDIO A PEPPINO DIANO, BANDIERA DEL SINDACATO
Giuseppe Diano, Peppino per gli amici, porta i suoi quasi 80 anni con giovanile baldanza, anzi, come dice lui, li ignora continuando a fare, anche dopo la pensione, la stessa vita che ha fatto negli ultimi sessant’anni.
Era il 1943 quando, giovanissimo lavoratore in una segheria, gli capita tra le mani una copia del giornale ”Italia libera”, organo del Partito d’azione e il germe del socialismo gli s’insinua nel corpo.
Del resto, a Catona, dove è nato e ancora vive, le tradizioni socialiste sono antiche, basti pensare alla famiglia Musolino. Il ragazzo è sveglio, da autodidatta si tiene informato, tra i compagni di lavoro si conquista le simpatie e cerca con successo di far capire, e in quegli anni non era cosa facile, quali sono i diritti del lavoratore, spiega che il padrone non può più agire in maniera paternalistica, si comincia a parlare di assistenza, previdenza, ferie.
Ma tra i socialisti catonesi non c’è molto spazio per lui, per cui anche se i comunisti sono una sparuta presenza, passa al Pci e parte la sua lunghissima militanza che lo porterà di lì a qualche anno, a far parte dei “quadri” del partito e iniziare la sua attività di sindacalista nella Cgil.
Peppino Diano è una bandiera, il simbolo d’una classe dirigente del vecchio Pci della quale restano ormai solo pochi esemplari, ma la sua vita, che è un piacere sentirtela raccontare, è stata un vero e proprio romanzo.
La svolta arriva quando, dopo un infuocato comizio a Catona, siamo all’inizio degli anni Cinquanta, il segretario della federazione comunista, cui avevano riferito delle capacità oratorie, ma anche organizzative, di Diano, lo convoca e gli fa la proposta di lasciare il suo lavoro di segantino e diventare funzionario del Pci. I leader locali sono i vari Suraci, Misefari, Fiumanò.
Lui sulle prime esita (“ho famiglia, ho bisogno dello stipendio”) ma il segretario taglia corto e lo rassicura, avrà la stessa cifra che prende in segheria, ed ecco Diano che si trasferisce nella sede del partito, ma tenerlo dietro la scrivania non è facile, nel suo destino c’è fare il sindacalista, reclutare tesserati, andare nei cantieri e nelle aziende dell’epoca, quasi mai accolto con piacere, anzi tutt’altro, ma i lavoratori lo amano e ben presto si accorgono che organizzarsi sindacalmente conviene, le buste paga diventano più robuste, gli orari di lavoro meno pesanti, è la civiltà che prevale su un autentico schiavismo che per anni nel profondo sud ha imperato.
Lui c’è quella mattina di marzo del 1960, quando viene costituita la Cassa Edile, per mesi è andato nei cantieri, da segretario della Fillea, il sindacato degli edili della Cgil, ha parlato agli operai, si è procurato i contratti nazionali, lo statuto dell’unica Cassa presente sul territorio nazionale, quella di Genova.
Un giorno, racconta, quando il capocantiere tentò di mandarlo via, mentre stava con decine di muratori durante la pausa pranzo, tutti si ribellarono, o Diano sta qui, oppure oggi non si lavora.
Per sette anni, fino a quando gli impegni sindacali non lo portarono verso incarichi di prestigio, anche in campo nazionale, è stato nel consiglio d’amministrazione della Cassa Edile, assieme a Cisl e Uil: quando andò via, l’Ente era ormai consolidato e lui continua a sentirselo un poco anche figlio suo.
Diano era alla guida della Cgil quando a Reggio scoppiò la rivolta per il capoluogo e per chi militava a sinistra erano giorni difficili, con minacce, assalti alle sedi, aggressioni fisiche e ci voleva molto buonsenso per non lasciarsi travolgere dal clima di violenza che turbò l’intera Calabria.
Peppino Diano, sempre sorridente, ancor oggi accoglie amici e compagni, lavoratori, pensionati, chiunque varchi il portone della Cgil con l’entusiasmo e la passione di tanti anni fa, lo stesso entusiasmo e passione che lui ed altri benemeriti dimostrarono facendo nascere la Cassa Edile, con lo spirito di fratellanza, assistenza, mutualità, impegno nella difesa del posto di lavoro.
29/10/09
RENATO PROFILI, UNA VITA AL SERVIZIO DELLO STATO
23/10/09
ESAMI GIORNALISTI: UNA SETTANTINA I BOCCIATI
18/10/09
SCUSATE IL RITARDO, STO LAVORANDO PER LA CATEGORIA
09/10/09
L'ASSESSORESSA DAL SORRISO FACILE MASSACRATA A "LA VITA IN DIRETTA"
07/10/09
LE LIRICHE DI GENNY NERI, QUANDO I SOGNI DIVENTANO POESIA
01/10/09
CAMBIARE GIORNALE FA BENE, PIERO OTTONE AVEVA RAGIONE
21/09/09
RAGAZZI CADUTI A KABUL, SIETE L'ORGOGLIO DEGLI ITALIANI VERI
15/09/09
MISS ITALIA TORNA A PARLARE CALABRESE, EVVIVA!
11/09/09
QUALCHE "COLLEGA" DI TARANTINI CIRCOLA ANCHE DALLE NOSTRE PARTI
07/09/09
CORAGGIO, SOLTANTO SEI MESI E CE LI LEVEREMO DALLE SCATOLE
03/09/09
REGGIO CITTA' METROPOLITANA, MA SOLO SUI CARTELLI
31/08/09
GIORNALISTA, UNA PROFESSIONE NON PIU' AMBITA, TRANNE CHE IN CALABRIA
28/08/09
OSPEDALI COME CIMITERI, MA AI POLITICI INTERESSA IL POSTO IN LISTA
25/08/09
ANCHE A ME, COME A MOURINHO, PIACE IL RUMORE DEI NEMICI
21/08/09
OMAGGIO A PIPPO, EDICOLANTE E POETA CHE AMA LA SUA CITTA'
20/08/09
COME E' CAMBIATO L'AGOSTO NELLA CITTA' NON PIU' DESERTA
17/08/09
ARCHI, QUEI TELEFONI MUTI E IL CORAGGIO DEL PRESIDENTE LEO
12/08/09
CRISI DEI GIORNALI, E' IN ARRIVO LO TSUNAMI D'AUTUNNO
Prima Comunicazione è un mensile che, da più di trent'anni, si occupa di editoria, dei problemi dell'informazione in generale, col tempo ha acquistato una tale autorevolezza da essere considerato la Bibbia nel mondo della stampa in genere, con particolare attenzione a quanto di nuovo emerge nella variegata galassia dei media.
Io ne posseggo l'intera collezione, posso dire che il giornale diretto da Umberto Brunetti mi ha tenuto compagnia nel corso della mia carriera, ed ogni tanto, quando ce ne è stata l'occasione, ha dato informazioni sui miei spostamenti editoriali, che non sono stati pochi. Nell'ultimo numero, prima della pausa estiva, mi ha particolarmente colpito l'articolo di Carlo Rossella che ha affrontato, partendo dagli Usa, per poi spostarsi nel nostro Paese, la crisi che sta investendo la stampa quotidiana e periodica.
Si parla di un numero di esuberi eccezionale, gli osservatori prevedono un autunno davvero nero, con pre pensionamenti e riduzioni d'organico che riguarderebbero centinaia di colleghi. Rossella si cala nei panni del direttore che è costretto, per volontà dell'editore, a tagliare gli organici e le spese, mandando a casa colleghi che, negli anni, sono diventati soprattutto amici. E' dura rinunciare a quei privilegi che questo mestiere ancora offre, anche se nel corso degli ultimi anni sono stati ridimensionati: il telefonino e l'auto aziendali, la mensa, lo stipendio che, da pensionato, si riduce notevolmente.