31/12/10

IL 2011 ANNO DI SPERANZA AL DI LA' DI OGNI PIU' ROSEA ASPETTATIVA


Ci lasciamo alle spalle un anno difficile, ma allo stesso tempo di grandi cambiamenti per la Calabria, dal punto di vista politico, anche se la regione paga più d'ogni altra il prezzo della crisi globale che sta scuotendo l'Europa mandando in bancarotta nazioni ritenute floride, quali la Spagna.
Dopo il quinquennio segnato dal loierismo, un modo di gestire il potere che i calabresi hanno avuto modo di (ri)conoscere, rivedendo, come in un film muto, gli anni della prima repubblica, è arrivata quella svolta a destra, che ha portato Scopelliti e il suo clan ad issare il pennacchio sul grigio palazzo Alemanni, nella città capoluogo.
La Calabria è rimasta praticamente ferma, le antiche vertenze non sono state risolte, se non in qualche caso e solo parzialmente, il buco della sanità, da sempre centro di potere, è diventato una voragine che ancora non si sa se potrà essere colmata, la classe politica si è rinnovata però solo in piccola parte, sulle poltrone ci sono uomini, molti dei quali professionisti della politica, sulla scena anche da 40 anni.
Quando qualcuno disse, già agli albori dell'esperienza regionale, che la Calabria non era difficile da governare, ma soltanto impossibile, non diceva un'assurdità. La trasversalità, i continui cambi di casacca, il coinvolgimento di esponenti anche di primo piano dei partiti in inchieste giudiziarie, con sviluppi ancora tutti da immaginare, tutto ciò ha contribuito a creare un clima di continua instabilità.
Ci sono personaggi equivoci, non solo a palazzo Campanella, ma anche in altri organismi elettivi e amministrazioni locali, segno questo che non è avvenuta quella sbandierata, in campagna elettorale, "pulizia delle liste". Non si può lasciare alle Procure il compito di "purificare" i quadri dirigenti della politica, i giudici hanno altro lavoro da fare e, sotto questo aspetto, lo stanno facendo bene.
Mai come in passato le organizzazioni criminali sono state messe alle corde, pesantemente colpite nei patrimoni illeciti, ora ci si attende che venga portato alla luce il connubio tra imprenditori, politici e mafiosi, facendo chiarezza su quella che è stata chiamata la "zona grigia".
Il 2011 si apre all'insegna della fiducia, senza fare dell'ottimismo berlusconiano un credo assoluto, ma contando sulla caparbietà, l'intelligenza, l'operosità riconosciuta in tutto il mondo, dei calabresi. Siamo stati capaci in momenti tragici della nostra storia, di rimboccarci le maniche e ripartire, senza l'aiuto dei governi.
Roma continuerà a restare sempre distante, anche se nei prossimi mesi, con la campagna elettorale amministrativa, e forse non solo quella, ne sentiremo delle belle.
Ormai mi sono stancato di ripetere quello che in cuor mio auguro a tutti, anche se so che non sarà possibile per tutti: un pò di benessere, che aiuta a vivere meglio, salute quanto basta, squarci positivi nell'orizzonte buio per le migliaia di giovani che inseguono il sogno d'un futuro migliore.
Buon anno ai miei fedeli lettori, grazie del loro affetto.

27/12/10

IL MOVIMENTO "PACE" PUNTA A RAFFORZARE LA PRESENZA A PALAZZO SAN GIORGIO NEL RICORDO INDELEBILE DI GILBERTO PERRI


Massimo Ripepi
Il movimento PACE (Patto cristiano esteso) fondato da Gilberto Perri, pastore della comunità "Gesù Cristo è il Signore" di Gallico, periferia nord di Reggio Calabria, presenterà una propria lista alle amministrative di primavera per il rinnovo dei consigli comunale e provinciale.
Avviene a quasi due mesi dalla prematura scomparsa del leader carismatico, colui che dal nulla, negli primi anni Novanta, fece nascere la comunità diventata, col tempo, importante punto di riferimento, non soltanto religioso, ma anche sociale, della città e della provincia.
Gilberto Perri, ex alto funzionario della Polizia di Stato, ha profuso ogni sua energia, fino all'ultimo giorno, per assicurare ai tanti "fratelli e sorelle" che frequentano la sede di via Scacchieri, a Gallico Marina, non soltanto il conforto della Fede, attraverso la preghiera, le opere di carità, la lettura delle Sacre Scritture, ma sussidio materiale sotto forma di cooperative di lavoro, iniziative assistenziali, realizzazione di strutture alcune delle quali ancora in via di completamento, grazie alla legge che prevede l'assegnazione ad Enti e associazioni che operano nel sociale dei patrimoni immobiliari confiscati ai mafiosi.
A  coloro i quali hanno raccolto la difficile eredità di Gilberto Perri, tocca continuarne l'opera, non soltanto nella conduzione della comunità che vede ruotarle attorno centinaia di famiglie: garantire la presenza a livello di amministrazione comunale, di rappresentanti del movimento PACE che ha adesso il principale esponente nel dottor Massimo Ripepi.
Già eletto nel civico consesso alle precedenti elezioni, Ripepi ha saputo offrire, sia in Consiglio che nella commissione che gli toccato presiedere, un notevole contributo sia sul piano programmatico che pratico. Adesso si punta al salto di qualità, incrementando la presenza a palazzo San Giorgio, attraverso una lista che veda impegnati uomini che fanno della loro vita un continuo servizio al prossimo.
Perri non c'è più ma vive non soltanto nel ricordo di chi lo ha amato, come pastore di anime e come impareggiabile condottiero di tante battaglie. In questi giorni di festa, la sua mancanza si è sentita maggiormente, tra la gente della comunità è calato un velo di mestizia, ma siamo certi che lui sarà felice, anche nell'aldilà, se i suoi progetti andranno a buon fine, certamente con la sua benedizione.

25/12/10

I GIOVANI RECUPERANO IL RAPPORTO CON LA FEDE, SONO LORO LA NOSTRA SPERANZA


Il Santo Padre benedicente
Il Natale induce alla riflessione, alla preghiera, a riconsiderare gli eventi sotto una luce diversa, e anche la cristianità guadagna terreno, come il Santo Padre, davanti a migliaia di fedeli (ed io ero tra questi) ha ricordato durante la messa solenne in San Pietro.
Ho notato, in mezzo alla gran folla, tantissimi giovani, oltre ai soliti turisti da ogni parte del mondo, ritengo questo un segnale importante, il risveglio delle nuove generazioni che sembrano aver recuperato valori ritenuti ormai persi.
In questo giorno di festa, di calore familiare, di solidarietà (e nel nostro Paese ce n'è tanta) sento il dovere di rivolgere agli amici e alle amiche, ai giovani, ai colleghi, a tutti quelli che hanno l'amabilità di seguire il mio blog, l'augurio di vivere l'anno che sta per arrivare nel migliore dei modi e veder realizzati i loro desideri.
Un pensiero voglio rivolgerlo alla mia città, che attraversa un momento particolare, uno dei tanti nella sua storia travagliata. La gente è rimasta choccata dalla vicenda tragica di Orsola Fallara, ma questo terribile episodio è servito a scuotere le coscienze ed ad aprire uno squarcio di luce su come la politica cittadina viene gestita da gruppi di potere, lobby anche familiari, con sullo sfondo la presenza ancora purtroppo asfissiante della criminalità mafiosa.
La 'Ndrangheta, dobbiamo riconoscerlo, ha avuto negli ultimi tempi perdite importanti,  soprattutto da quando alla Procura è cambiato il clima e sono cambiati gli uomini, le cosche sono state "toccate" nei patrimoni, ma il colpo decisivo potrà essere assestato solo quando verrà fatta piena luce sui rapporti tra politica, economia, pubblici funzionari e militari infedeli e i personaggi di primo piano delle "famiglie" che controllano il territorio.
Osservando quei giovani raccolti in preghiera, quasi festanti, intenti ad ascoltare le parole del Papa, ho pensato, ancora una volta, che sono loro la nostra speranza, soprattutto nel cosiddetto Sud del Sud. Forse ci vorrà ancora molto tempo, ma, abituati come siamo a coltivare i sogni, noi ci crediamo. Auguri a tutti.

21/12/10

TRA IMPROBABILI 007 E DIVISE SPORCHE QUELLO DELLA FALLARA E' UN CADAVERE CHE PARLA


Luciano Lo Giudice l'amico del capitano
Lo tsunami della Procura si abbatte sulla classe politica, alzando di un tanto il livello delle collusioni tra la 'ndrangheta e le Istituzioni, passando per l'arresto d'un ufficiale dell'Arma, che ha "sporcato" la divisa non riuscendo a mantenere fermo quel sottile confine tra investigatore e informatore, ammesso che sia andata proprio così.
Gira su Youtube il filmato di Reggio Tv sull'incontro, l'ultimo della sua breve vita, tra Orsola Fallara e i giornalisti, una categoria che aveva finito con l'odiare, dopo l'autentico massacro cui era stata sottoposta negli ultimi mesi, da quando era venuta fuori la storia dei compensi percepiti, del tutto legittimi, secondo la dirigente morta suicida, illegali secondo i Torquemada di turno.
Poche ore prima di mettere in atto quello che le cronache d'una volta definivano "insano gesto", la Fallara, in apparenza tranquilla, a tratti anche sorridente, ha tracciato un quadro agghiacciante di certi meccanismi che regolano la vita di quello che il compianto Michele Musolino non aveva esitato a definire il palazzo più sporco della città. E purtroppo il buon Michele non ha fatto in tempo a vedere quello che sarebbe accaduto negli anni successivi.
Risentire quelle parole, quelle chiare denunce sugli intrecci perversi tra famiglie di politici e funzionari comunali, lo debbo confessare, mi ha fatto venire i brividi. Non ho mai conosciuto la povera Orsola, forse qualcuno della famiglia, ma è come se ci avessi parlato tante volte, se quelle cose che ha denunciato, velate solo da un filo di rabbia, le avessi già ascoltate.
Adesso, il suo cadavere continua a parlare, con la speranza che "chi di competenza" raccolga il disperato appello d'una donna che ha pagato il prezzo più alto, colpevole o innocente che fosse. La Procura della repubblica (ora in quelle stanze spira un'aria nuova) promuoverà le indagini del caso. Anche se non è perseguibile penalmente chi, coi suoi comportamenti, ha spinto l'ex funzionaria comunale all'estremo passo, crediamo che non sarà facile per qualcuno togliersi un macigno dalla coscienza, se ne ha.
Nella città attraversata dalla tempesta che tocca i palazzi della politica e, purtroppo, i comandi della Benemerita, s'aggirano improbabili 007 e uomini dello Stato che certamente non hanno le carte in regola. Il senatore De Sena ha rinunciato alla candidatura a sindaco, mica scemo l'ex prefetto che sa benissimo come stanno le cose; da parte sua l'onorevole Angela Napoli torna alla carica suggerendo lo scioglimento del consiglio regionale per "inquinamento" mafioso. Se quello precedente era per metà formato da inquisiti, adesso la situazione è  cambiata, a quanto pare, ma in peggio.

17/12/10

PAOLO QUATTRONE E ORSOLA FALLARA, QUANTO MISTERO DIETRO DUE SUICIDI ECCELLENTI

PALAZZO SAN GIORGIO, "REGNO" DI ORSOLA FALLARA
A distanza di pochi mesi dalla drammatica scomparsa di Paolo Quatrone, un altro suicidio eccellente turba le coscienze e scuote l'opinione pubblica. Orsola Fallara ha chiuso i conti con la vita, lei che per otto anni era stata la "signora dei numeri" di palazzo San Giorgio, fidatissima consigliera economica del sindaco più amato dai reggini, Giuseppe Scopelliti, l'uomo che, secondo i più tenaci oppositori, ha portato il Comune allo sfascio finanziario.
Lei, Orsola, anche se abbandonata dal suo mentore quando è scoppiato il caso delle prebende milionarie incassate, lo ha difeso fino all'ultimo, forse quando nella sua mente era già maturato il proposito di togliersi la vita nella maniera più orrenda, con l'acido che le ha corroso il corpo e ha tolto ogni speranza a chi ha cercato disperatamente di salvarla.
Osservo la foto, l'ultima , che Rosario Cananzi le ha scattato durante l'incontro con la stampa, che non è stata certo tenera con lei in questi mesi turbinosi, l'altra sera, annunciando le dimissioni senza risparmiare toni anche sprezzanti nei confronti di quei politici che l'avevano offerta al massacro mediatico, quasi fosse soltanto lei la responsabile dei mali d'una amministrazione scossa da continue fibrillazioni dopo l'addio di Scopelliti e la successione del facente funzioni Raffa.
Orsola Fallara s'è portata nel buio della tomba tanti segreti che, forse, resteranno per sempre tali, anche perchè nessuno, in fondo, ha voglia di sapere qual è la verità vera, l'inchiesta della Procura finirà per "morte del reo", come recitano le fredde formule giudiziarie.
Di fronte a gesti tanto disperati, e non possiamo che fare il paragone con quello compiuto da Paolino Quattrone, ci si interroga su cosa avvenga nella mente d'una persona quando decide di affrontare il passo finale d'un percorso travagliato, in pochi secondi è la fine, tutto viene annullato, risolto per sempre.
Ora che il destino s'è compiuto, non resta altro che affidarsi alla preghiera, perchè Orsola Fallara venga aiutata a completare l' ultimo viaggio, il Signore, nella sua misericordia, offre il perdono anche ai suicidi. La cosa che ci viene in mente, in questi attimi tragici, è una frase del grande regista Ingmar Bergman: "La musica è finita, i suonatori vanno via".

14/12/10

GUERRIGLIA PER LE STRADE DI ROMA, QUEL "SAPORE" DEI LACRIMOGENI L'AVEVO DIMENTICATO


L'avevo dimenticato quell'odore aspro, quel fumo che infiamma gli occhi e toglie il respiro, i lacrimogeni sparati dalla polizia erano il cattivo ricordo dei giorni, dei mesi, degli anni, della sfortunata protesta di Reggio Calabria, la città che si ribellò al grido di "boia chi molla" contro quello che riteneva un grave sopruso, il mancato riconoscimento del titolo di capoluogo di regione.
Nel pomeriggio del 14 dicembre, un giorno che resterà nella storia politica della Nazione, a Roma mi sono sentito come giù a Reggio, quarant'anni fa, nei giorni della rivolta, le cui conseguenze si sono fatte sentire per anni, col Governo sordo ad ogni richiesta, bisognava "punire" quel popolo riottoso che aveva affidato le sue speranze a un piccolo uomo, Francesco Franco, per tutti Ciccio, che la grande Oriana Fallaci non esitò a definire un Masaniello calabrese.
Assieme a Michele Albanese, un caro collega e amico che qualche ora prima aveva superato gli esami per diventare giornalista professionista, avevamo lasciato il ristorante di piazza della Pollarola, a due passi da Campo dei Fiori, tanto caro ad Aldo Fabrizi, dove avevamo festeggiato la meritata promozione, quando ci siamo trovati nel mezzo della bagarre.
L'istinto da cronisti ci ha portato vicino agli scontri, la forza dell'abitudine, apparteniamo entrambi a quella razza ormai quasi estinta di giornalisti di cronaca che, prima di tutto, vanno a vedere da vicino quello che succede, senza farselo raccontare da altri.
Ed è stato in via del Corso, a due passi dal mitico hotel Plaza, che videro le gesta del "ballerino" Gianni De Michelis, che davanti agli occhi mi si è parato lo spettacolo che tante volte, nei giorni caldi di Reggio Calabria, avevo visto, con la polizia che carica con violenza, e le "bombe" lacrimogene spargono il terrore, seminano il panico tra i passanti, tra negozi che chiudono precipitosamente e feriti che scappano, in ospedale ci vanno pochi, proprio come accadeva nella mia città, per non beccarsi una denuncia.
 Improvvisamente, il tempo è come se si fosse fermato, mi sono tornati alla mente luoghi, personaggi, amici del tempo che non ci sono più, la "beata gioventù" che, come dice il poeta, è venuta meno. E allora, proprio come allora, via di corsa, le gambe ancora reggono, mentre alle nostre spalle sull'asfalto della Roma del lusso e dei turisti che scattano foto, battono gli "anfibi" degli agenti.
Lo Stato, in questi casi, se ci si avvicina troppo ai palazzi del potere, mostra la faccia più dura, e sono botte e lacrimogeni. Anch'io, tanti anni fa, come questi giovani che ho visto sfilare a migliaia, credevo negli ideali di giustizia sociale, libertà, rispetto dei diritti, nella politica pulita, e correvo, per sfuggire alla carica dei "celerini".

06/12/10

TOMMASO MAESTRELLI E GIANNI ELSNER CONTINUANO A VIVERE NELLA MEMORIA DEL POPOLO BIANCAZZURRO


Nella Roma pre natalizia, con i negozi ricchi di luci e di colori, sono i giorni del ricordo per i tifosi laziali che, mentre si godono la loro straordinaria posizione di classifica, non possono fare a meno di pensare a due personaggi che, in modo diverso, ma altrettanto importante, hanno legato il loro nome alla società biancazzurra.
 Ricorre, infatti, l'anniversario della scomparsa del mister dello scudetto, Tommaso Maestrelli, e di un grande opinionista radiofonico, sfegatato tifoso della Lazio, Gianni Elsner, il "padre" di Radiosei, l'emittente ritenuta l'organo ufficiale della squadra, ma anche un punto d'incontro per la politica, lo spettacolo, l'arte, la solidarietà.
Mi sembra di vederlo, il buon Tommaso, col quale abbiamo condiviso quattro indimenticabili anni a Reggio Calabria, seduto su una nuvoletta proprio sul cielo di Tor di Quinto, con l'inseparabile pipa, mentre segue l'allenamento dei ragazzi che non sono quelli d'allora, un gruppo scatenato mirabilmente raccontato dal collega Guy Chiappaventi nel suo libro "Pistole e palloni". 
Al funerale di Maestrelli, vicino a ponte Milvio, quel giorno ormai di tanti anni fa, per la prima volta, tra l'immensa folla, cosa unica per una cerimonia funebre, furono portati vessilli, sciarpe e striscioni, il ricordo del mister che aveva portato i colori biancazzurri così in alto è rimasto, incancellabile, anche in coloro che non lo hanno mai conosciuto.
Gianni Elsner, ad un anno dalla morte, continua a vivere ogni giorno attraverso Radiosei, che ne rimanda in onda spezzoni del suo programma "Te lo faccio vedere chi sono io". L'altra sera, a centinaia sono accorsi al teatro Italia dove è stata organizzata una serata per la raccolta di fondi necessari a sostenere la Fondazione che di Elsner porta il nome e che si occupa prevalentemente dei bambini sudamericani che il notissimo conduttore, ex attore, ex parlamentare radicale, popolarissimo nella Capitale, aveva adottato.
Ai momenti di spettacolo, presenti personaggi che spesso Radiosei ospitava, si sono alternati attimi di vera commozione, Elsner ha lasciato una eredità difficile da cancellare e i suoi ragazzi, come li chiamava, si stanno dimostrando in grado di continuare la sua opera.
Il momento magico della Lazio contribuisce a portare nuovo entusiasmo tra il popolo biancazzurro, sempre pronto a rispondere all'appello, come se Tommaso Maestrelli e Gianni Elsner fossero ancora presenti.

22/11/10

SCANDALO AD ARCHITETTURA, I SILENZI DI GIOVANNINI. LO SFOGO DI GRATTERI CONTRO I NUOVI PROFESSIONISTI DELL'ANTIMAFIA


Una delle sedi dell'università mediterranea di Reggio
Ci sono giorni in cui la lettura dei giornali e la visione di alcune trasmissioni in tv ti mettono di cattivo umore. Ma ci sono anche giorni, per fortuna, che ti ripagano con notizie degne di tal nome e programmi che lasciano un segno.
Tutti siamo a conoscenza di quanto sta accadendo alla Facoltà di architettura della nostra università, ancora purtroppo "colonia" romana, dopo che è stata portata alla luce la presenza di personaggi della 'ndrangheta in grado di condizionare la vita accademica e ottenere esami in cambio merce e soprattutto veloci, pochi giorni per superarne addirittura nove.
Ero rimasto di stucco dopo aver ascoltato l'intervista rilasciata dal rettore Giovannini, col solito maglioncino alla Berlusconi nei giorni di festa, al collega Pietro Melia della Rai, che peraltro abbiamo trovato insolitamente piuttosto "morbido" nei confronti del magnifico che pareva Alice nel paese delle meraviglie.
Mi sono ripreso, però, dopo aver letto su "Zoomsud", a firma di Aldo Varano, cui mi lega un'antica amicizia, un pezzo davvero pregevole col quale ha espresso giudizi e convincimenti che faccio miei sul comportamento del Rettore, come se ci si trovasse di fronte ad un fastidioso contrattempo, e non a episodi, ancora non del tutto rivelati (ricordiamo che l'indagine è tutt'altro che conclusa) di pesanti infiltrazioni di esponenti d'una cosca sanguinaria in grado, attraverso meccanismi corruttivi, di superare agevolmente percorsi che ad altri costano giorni e giorni di studio e sacrifici.
Nessuno si sogna di fare, come si suol dire, di tutta l'erba un fascio: ho conoscenza personale di docenti e funzionari della Mediterranea che sono lontani anni luce da qualsivoglia contatto "sporco" e da condizionamenti di ogni genere.
Ma il magnifico rettore, come giustamente sottolineato da Varano, non può credere di rivolgersi ai reggini, dagli schermi del servizio pubblico, come se si trattasse di gonzi. Se lo scandalo, come da più parti si prevede, dovesse allargarsi, sarebbe lui a dover trarre le conseguenze. Ma questo lo vedremo presto.
L'altra cosa che mi ha particolarmente colpito, anche perchè su questo argomento ho avuto occasione di esprimermi, sia nel mio modesto blog, che in altre sedi, è la "requisitoria" a La 7 del magistrato-scrittore Nicola Gratteri contro i novelli professionisti dell'antimafia, improvvisati super esperti della materia, gente che magari, nella vita, se non avesse deciso di sfruttare il momento, non sarebbe riuscito a combinare nulla di buono.
Colleghi che per anni si sono occupati di ben altre cose, utilizzando il peso delle testate che li ospitano per interessi personali e "sistemazioni" di mogli, figli e amanti, dalla sera alla mattina sono diventati assidui frequentatori delle Procure pontificando con editoriali e "riflessioni" ricche di luoghi comuni e, purtroppo, in qualche caso (ma Pignatone e compagni non sono allocchi) lanciando messaggi trasversali.
Gratteri, e su questo non posso che essere d'accordo con lui, si è rotto i cosiddetti e ha lanciato il suo anatema: basta con questi dilettanti dell'antimafia che hanno trovato il modo non solo di compiere "salti" di carriera e firmare su giornali importanti che, altrimenti, li avrebbero relegati alle cronache di paese, ma in certi casi anche di guadagnarci.
E' il momento che la 'ndrangheta "tira", ha osservato Gratteri che sarà anche lui, come me, nauseato nel leggere le elucubrazioni, sempre antimafia, mi raccomando, di personaggi che con la 'ndrangheta hanno sempre convissuto e che ora, grazie a lei, si riempiono le tasche.
La libertà del web ci consente di esprimerci, per grazia di Dio, e non siamo i soli fortunatamente a pensarla in un certo modo.

16/11/10

IL RICORDO DI CICCIO FRANCO ANCORA VIVO NELLA MEMORIA DEL POPOLO CHE LO SEGUI' NELLA BATTAGLIA PER IL CAPOLUOGO


La stele che ricorda Ciccio Franco sul Lungomare
Ogni tanto qualcuno si "diverte" ad imbrattare una stele che sul lungomare intitolato ad Italo Falcomatà ricorda Francesco Franco, detto Ciccio, consigliere comunale missino, poi senatore per diverse legislature, ma da tutti conosciuto come il leader della cosiddetta rivolta di Reggio Calabria che, all'inizio degli anni Settanta, portò alla ribalta delle cronache nazionali la città dello Stretto. Adesso, a distanza di quarant'anni, la rivolta di popolo dopo lo "scippo" del capoluogo di regione, viene rivisitata dagli storici e dai saggisti d'ogni orientamento politico e anche la figura di quello che all'epoca venne considerato un capopopolo, un facinoroso, addirittura un eversore, viene vista sotto una luce diversa.
Maggio 1972, elezioni politiche, Ciccio Franco viene eletto senatore, con un autentico plebiscito, la città porta ancora i segni delle ferite inferte da mesi e mesi di disordini, con morti, centinaia di feriti e arrestati, danni per miliardi. Lo Stato scelse la strada della repressione, il Governo, presieduto da Emilio Colombo, illuse la gente col miraggio delle industrie, della fine d'una emarginazione del Sud del Sud, in particolare di Reggio e della sua provincia.
Il miraggio è rimasto tale e ancora si attende che chi ci governa, a tutti i livelli, faccia il "miracolo" di portare lavoro, per togliere migliaia di giovani dalla strada, facili prede delle organizzazioni criminali, senza che essi debbano far ricorso ai potenti di turno, ai professionisti delle clientele, per far valere i loro diritti .
Ciccio Franco quando scese sulle barricate, soffrì il carcere e la latitanza, non lo fece certamente per tornaconto personale, anche se fu il popolo a mandarlo a Roma. Lui era sempre stato, e lo fu fino alla sua prematura scomparsa, minoranza, dentro e fuori il suo partito, certamente un personaggio scomodo che rifiutava i compromessi, che amava parlare direttamente agli umili, agli indifesi, ai perseguitati, sempre pronto ad offrire aiuto a chi ne aveva bisogno.
Fino all'ultimo ha condotto un'esistenza modesta, circondato dall'affetto di pochi veramente amici: la sua morte ha scavato un vuoto enorme, ancor oggi il ricordo è vivissimo, la gente si raduna accanto alla stele profanata da qualche stolto, ma che col tempo è diventata un punto di riferimento per tante coscienze.
Il mio ricordo personale è fermo a quella sera di primavera in piazza Italia, ribollente di passione: Ciccio uscì dalla prefettura e fu letteralmente inghiottito dalla folla, piccolo com'era non lo vedemmo più, era ciò che voleva, il movimento dei "boia chi molla" finiva in quel momento e la storia voltava pagina. 
C'è chi vorrebbe, a distanza di anni, riappropriarsi di quel motto, ma Ciccio Franco non c'è più per rivendicarne sdegnato l'esclusiva proprietà, come avrebbe fatto con impeto e coraggio. Nessuno potrà mai essere come lui. 

10/11/10

GILBERTO PERRI, UNA VITA AL SERVIZIO DELLO STATO E DELLA FEDE OLTRE OGNI SACRIFICIO, IN TANTI LO PIANGONO


Gilberto Perri fotografato da Rosario Cananzi
Gilberto Perri, più che un amico un fratello, come amava definirmi, dopo anni di  frequentazione, lui uomo dello Stato, al servizio della Polizia, con ruoli importanti, tra momenti d'esaltazione e profonde amarezze, al punto da lasciare la divisa, alle soglie della promozione a questore, per dedicarsi totalmente alla "sua" Chiesa, la comunità "Gesù Cristo è il Signore" di Gallico.
Ormai sono trascorsi tanti anni da quel giorno che, giovane cronista, andavo a trovarlo nel suo ufficio alla Stradale, sempre a caccia di qualche notizia; lui mi accolse dal principio con un sorriso che apriva il cuore, ed è stato così sempre, fino al nostro ultimo incontro il 4 novembre scorso, poche ore prima che il Divino lo chiamasse a sè, forse ne avrà avuto bisogno lassù.
Il male lo aveva aggredito nuovamente, dopo la piacevole illusione che aveva convinto anche me, Gilberto ancora una volta ce l'aveva fatta, gli amici della comunità avrebbero avuto ancora in lui un fondamentale punto di riferimento. Ma non è stato così: quel giorno, salutandomi con un filo di voce, aveva voluto, come al solito, regalarmi qualcosa, non sono mai riuscito a farlo desistere da questo suo affettuoso proposito. Ora osservo questo dono, lo conserverò come una reliquia, il gesto d'amore d'un amico che ho perso troppo presto.
La comunità di Gallico, attorno alla quale nel tempo si sono raccolte centinaia di persone ("hai creato dal nulla un impero" ero solito dirgli, e sapevo che la cosa gli faceva piacere) piange la scomparsa del leader carismatico, dell'uomo che alla predicazione, all'esempio costante di ministero religioso attuato ora dopo ora, giorno dopo giorno, faceva seguire i gesti concreti.
Sono nate tante cooperative di lavoro, un centro di protezione civile, una rivista, ma il fiore all'occhiello era per Gilberto l'Istituto per la Famiglia, che a Gallico ha la sua sede nazionale e che è riuscito, per la sua attività sul territorio, ad ottenere il prestigioso premio Fivol.
Negli ultimi anni, affiancato da personaggi storici della comunità, come Demetrio Amadeo, Massimo Ripepi, Tony Moscato, solo per ricordarne alcuni, i progetti erano diventati ambiziosi, grazie anche all'utilizzo di terreni e beni immobili sequestrati alle organizzazioni mafiose e concessi dal Comune. Un ostello, un centro congressi, una clinica, una casa di riposo, esercizi commerciali, agenzie turistiche, team di progettisti.
"Il mio sogno, era solito dire, è di poter dare ogni mese milla buste paga".
Adesso il testimone passa nelle mani di quelli che possono essere considerati gli anziani della comunità di Gallico Marina: tutto è partito da un piccolo capannone, negli anni trasformato in sede prestigiosa, una vera e propria fucina d'idee e d'iniziative.
Gilberto è sempre lì, pare di vederlo, o seduto nei pressi del piccolo bar, oppure nel suo ufficietto, intento a smanettare sul computer, assistito da Doriana, che ha amato come figlia e che gli è stata accanto fino all'ultimo.
Il pastore ha lasciato il suo gregge, ma non andrà smarrito il grande patrimonio che, in questi anni, Gilberto Perri, ha creato, una pietra sull'altra, seminando amore, rispetto per gli ultimi, dando preziosi insegnamenti di vita. Ho perso un amico, ma non la lezione di vita che ha saputo darmi, non sarà facile rassegnarsi. 

02/11/10

TUTTO SOMMATO PREFERISCO IL BUNGA BUNGA ALLE BUGIE DI GIANFRANCO FINI


Villa Certosa, la residenza sarda di Silvio Berlusconi
Sono i giorni del ricordo di chi ci ha preceduto nel viaggio senza ritorno, momenti di preghiera e riflessione sulla caducità dell'uomo, mi tornano in mente i versi del grande Ungaretti "stiamo come le foglie sugli alberi d'autunno".
Sono i giorni dell'acuirsi della crisi politica, del duello quotidiano tra il premier Berlusconi e Gianfranco (o Gianfregnone, come ama definirlo Dagospia) Fini, la corsa a chi arriva per primo a staccare la spina a un annaspante Governo alle prese con una crisi globale che sta creando seri problemi anche agli Usa, con Obama pronto a diventare, come si dice da quelle parti, un presidente "azzoppato" dopo le elezioni di metà mandato.
Una cosa è certa: aprire una crisi di governo in questo momento sarebbe quanto di più deleterio, probabilmente daremmo il colpo fatale ad un Paese che attraversa uno dei momenti più difficili dal dopoguerra in poi. Chiunque se ne assume la responsabilità deve rendersi conto che potrebbe favorire il disegno eversivo di chi vorrebbe approfittare per far rinascere i movimenti terroristici dei cosiddetti anni di piombo.
E' vero: tra il Bunga Bunga, i festini a luci rosse, le gravi ingenuità commesse nel caso della giovanissima marocchina Ruby, la gente è disorientata, l'immagine dell'Italia all'estero appare sporcata, la credibilità del premier, ad onta dei sondaggi più o meno affidabili, segna un netto calo. Berlusconi cercherà il colpo d'ala, la mossa a sopresa per recuperare la fiducia popolare, ma con le finanze che Tremonti può mettergli a disposizione c'è poco da fare. Senza soldi nessun regalo agli italiani è possibile, neppure quello, che sarebbe assai gradito, della detassazione, anche se non totale, delle attese tredicesime.
Non voglio certo iscrivermi nell'elenco già numeroso di coloro che fanno i difensori ad oltranza del nostro presidente donnaiolo, anche se ritengo fondamentale il diritto di ognuno di noi, entro le mura domestiche, di disporre a piacimento della sua privacy.
Questo vale per i cittadini comuni, per chi ha la responsabilità di guidare il Paese, ma anche per i parlamentari, i presidenti di Regione, di Province, i sindaci, di tutti i politici in genere, la cosa è diversa.
Comunque, miei affezionati lettori, io la penso così: preferisco decisamente il Bunga Bunga alle bugie del presidente della Camera, col suo moralismo un tanto al chilo, come avrebbe detto Enzo Biagi. 
Sono giorni tristi, questi, per chi ricorda i cari scomparsi, e per chi si preoccupa del destino di figli e nipoti: L'Italietta di Giolitti era piccola, ma seria nei comportamenti di chi la governava, capaci di farla risorgere dopo una guerra terribile seguita al famigerato Ventennio.  

28/10/10

DA REGGIO ALLA FERRARI, COSI' MAURO APICELLA HA REALIZZATO UN SOGNO


Mauro Apicella in tenuta Ferrari
I reggini appassionati di automobilismo, in particolare i ferraristi, l'hanno scoperto leggendo il magazine del Ferrari Club, una splendida rivista diretta da Alessandro Giudice, che è il diario delle attività che l'azienda di Maranello svolge in Italia e all'estero.
Scorrendo le pagine patinate de "Il club" hanno appreso che ci sono due giovani, Ilaria Maraviglia, e Mauro Apicella, definiti gli angeli custodi per l'attività che svolgono all'interno del club di appassionati della "rossa".
Mauro Apicella è nato a Reggio Calabria, ma ha sempre saputo, come lui stesso racconta nella ricca intervista che l'organo ufficiale del Club gli ha riservato, che il suo futuro sarebbe stato lontano da quello che D'Annunzio definì "il più bel chilometro d'Italia", il lungomare che s'affaccia sui colori intensi dello Stretto.
Mauro, una volta diplomatosi nella città d'origine, si trasferisce a Milano e s'iscrive allo IULM, l'istituto universitario per le lingue e la comunicazione.
Durante la pausa estiva del primo anno, vola a Londra dove comincia a pensare ad un'esperienza di studio all'estero: nel frattempo, fa le sue prime esperienze lavorative, tra le quali quella di tutor per il servizio orientamento all'università, arbitro di calcio e basket, stage all'agenzia Probeat. Quindi, con il progetto Erasmus a Madrid: al rientro in Italia, sceglie l'argomento della tesi di laurea "la comunicazione non istituzionale della Ferrari".
La sua avventura comincia sotto Natale del 2005, quando mette piede nel Club Ferrari prima con uno stage e qualche mese dopo, conseguita la laurea, con un rapporto di lavoro. Ma vediamo come Mauro Apicella lo racconta: "Per me la Ferrari rappresentava un sogno, tanto che i primi ricordi legati al Cavallino risalgono all'età di 3-4 anni quando, assieme a mio padre Renato (avvocato, funzionario d'un importante istituto di credito) seguivo i Gran Premi di Formula 1 davanti alla tv e lui mi spiegava che dovevo tifare per la macchina rossa. Più che un futuro in Ferrari, mi piacerebbe un giorno averne una, l'evoluzione di un sogno di quando ero bambino".
Mauro torna ogni tanto a Reggio, è legatissimo a papà Renato e mamma Caterina, rivede gli amici degli anni dell'adolescenza, lo tempestano di domande sul "mondo" della Ferrari, quanto si guadagna, cosa si prova a guidarne  una, quanto sono alti i piloti dal vivo, come si sta a Maranello.
Indossando la classica tuta rossa, Mauro Apicella gira l'Italia, assieme agli altri colleghi, per promuovere la Ferrari, sono manifestazioni che rimangono fisse nella memoria, come la prima cui partecipò a poche ore dalla laurea, a Genova.
Un ragazzo del Sud, come tanti che scelgono l'emigrazione intellettuale forzata: Mauro Apicella ce l'ha fatta a coronare un sogno, con tutto l'orgoglio di essere calabrese e reggino.

23/10/10

DAVANTI AL CANCELLO DI CASA MISSERI VA IN SCENA UNA FICTION SENZA FINE


Sabrina Misseri e il padre Michele: hanno ucciso tutti e due?
Il cancello in ferro battuto della villetta dei Misseri, ad Avetrana, è ormai entrato a far parte della scenografia d'uno spettacolo che da due mesi va in scena ogni giorno, a tutte le ore, su ogni programma, su ogni radio o tv piccola o grande che sia.
Il tranquillo paese del Tarantino è il set d'una gigantesca fiction scritta giorno per giorno, dopo che si è consumato il dramma della atroce morte d'una ragazzina esile e bionda, che si chiamava Sarah (con la h, che fa tanto moderno) e che inseguiva, come tante adolescenti del Sud, il sogno di andare a vivere altrove.
E' veramente un bel cancello, quello della casa che ora viene chiamata degli orrori, con quel garage che somiglia ad un antro infernale: il fabbro che l'ha costruito vi ha disegnato motivi floreali, da fuori di può vedere benissimo il giardino e l'ingresso della villetta costruita coi risparmi di papà Michele, becchino in Germania per tanti anni, poi agiato coltivatore e proprietario terriero, quello che si dice un gran lavoratore.
Davanti a quel cancello c'è sempre tanta gente, lungo la strada intitolata a Grazia Deledda, oltre alle decine, centinaia, di giornalisti, anche tantissimi curiosi che arrivano da ogni dove, in una sorta di tour turistico sui luoghi del dolore e della rabbia per questa morte che tanto sgomento ha suscitato in tutto il Paese.
La vicenda si Sarah Scazzi terrà banco, come si suol dire, ancora per parecchio tempo, almeno fino a quando non sarà fatta piena luce e saranno chiariti i contorni d'un delitto che un padre ha tentato d'accollarsi da solo, salvo poi, probabilmente perchè in tal senso "consigliato", coinvolgervi l'amata figlia Sabrina.
Certo, viene spontaneo chiedersi perchè lo ha fatto: la sua coscienza lo avrà spinto a dire la verità, oppure con questo gesto intende punire la famiglia che lo avrebbe costretto a compiere un delitto tanto assurdo quanto feroce.
E' accaduto al rozzo contadino di Avetrana, dopo un colloquio col cappellano, d'incamminarsi sulla strada d'una conversione, quasi novello Innominato dopo l'incontro col cardinale nella notte raccontata dal Manzoni?.
Ne vedremo e ne sentiremo ancora davanti a quel cancello e nei salotti televisivi, con psicologi, psichiatri, criminologi che spuntano come funghi, oltre ai soliti personaggi sempre buoni per tutte le occasioni, tipo Sgarbi e la Pivetti. Sono tutti lì, pronti, in attesa forse, perchè lo spettacolo sia completo e l'audience salga alle stelle, che qualcuno decida d'ammazzare qualcun altro davanti alle telecamere e poi andare a confessare a La vita in diretta, o, a seconda dell'orario, a Porta a Porta.

16/10/10

ORA C'E' IL RISCHIO CHE I PROFESSIONISTI DELL'ANTIMAFIA RESTINO SENZA LAVORO


Giuseppe Pignatone
In questi giorni stiamo assistendo alle analisi dei cosiddetti mafiologi, di coloro che, proprio grazie a quel cancro che è la 'ndrangheta, hanno costruito le loro fortune professionali, politiche, economiche. Quei professionisti dell'antimafia, così splendidamente etichettati da Sciascia, sempre pronti a schierarsi in prima fila nei cortei e nelle fiaccolate, corrono, a mio avviso, un grosso rischio.
Se continua così, se Giuseppe Pignatone e i suoi uomini continueranno a lavorare come stanno facendo da un pò di tempo a questa parte, coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti,  si ritroveranno senza "lavoro". E sarà dura rinunciare alle passerelle, alle foto sui giornali, alle dichiarazioni a getto continuo. Mancherà loro la materia prima e anche a Reggio, come è avvenuto a Palermo, Napoli e, per non andare tanto lontano, nella vicina Messina, le cosche saranno costrette a mollare la loro presa sul territorio. Tra pentiti e boss che finiscono in manette a getto continuo, l'azione delle forze di polizia avrà lo stesso effetto della medicina nucleare sui tumori, le cellule malate saranno irrimediabilmente distrutte e sul corpo risanato della città potrebbe fiorire una nuova stagione fatta di legalità e di speranza per i giovani.
Sono in tanti, in queste ore, a non dormire sonni tranquilli, a mobilitare gli avvocati, qualche giornalista "amico", per cercare di carpire notizie sui nuovi scenari che si stanno aprendo, sul fronte delle collaborazioni, dopo alcuni anni di "silenzio".
A seguito dell'armistizio tra le cosche in lotta, agli inizi degli anni Novanta, tra i punti a base dell'accordo che mise fine alla mattanza (circa 700 morti in cinque anni) c'era, oltre alla fine dei sequestri di persona e alla decisione presa da un vertice ristretto sugli eventuali omicidi, il proposito di "lasciare in pace" i familiari dei pentiti storici e, anzi, di cercare con loro un rapporto tale da "ammorbidire" processualmente i congiunti che avevano, come si suol dire, saltato il fosso.
Io non parlerei, come sta facendo qualcuno, di ciclone, terremoto, attribuendo alla avviata collaborazione di Antonino Lo Giudice una particolare valenza: quello che certamente potrà emergere, anche grazie alla prima "gola profonda" del clan Tegano, sarà il ritratto della nuova fase aperta con l'avvento al potere degli eredi dei vecchi padrini o morti o carcerati a vita.
Si, la cosiddetta zona grigia tanto cara a Pignatone che ne intravide la permeabilità nel tessuto sociale reggino già dai primi mesi di lavoro a Reggio: poi, come foglie in autunno, boss e gregari sono caduti nella rete, gente di enorme spessore criminale.
Pur senza abbandonarsi ad eccessivi trionfalismi, crediamo che presto uno scossone ci sarà e potrebbe essere quello mortale per le organizzazioni mafiose che, in questi anni, hanno sottomesso politica, imprenditoria, tutti i settori dell'economia locale, al loro predominio. Una crepa s'è aperta, al di là del muro s'intravede una luce.

09/10/10

ARRIVA L'ESERCITO, REGGIO DIVENTA CITTA' SUDAMERICANA AVVOLTA DA UNA NEBBIA GRIGIA

Uno scirocco impietoso fa calare sulla città una nebbia sottile, fastidiosa, l'umidità la senti nelle ossa. Ma c'è anche un'altra nebbia che avvolge la politica, l'informazione, la giustizia, tra polemiche roventi, accuse "sparate" in diretta tv, querele minacciate e che, forse, non verranno mai presentate. Un momentaccio, mentre nuovi scenari sembrano sul punto di aprirsi nel lavoro che i magistrati inquirenti stanno svolgendo, per assestare colpi decisivi alla piovra mafiosa.
Ci sono fatti, circostanze, avvenimenti, contatti e parentele, che, come sostenne per la prima volta in un'ordinanza che ha fatto epoca nella storia giudiziaria non solo reggina, il magistrato Agostino Cordova, "fanno parte del notorio", specialmente in una città di provincia che tale è rimasta, nonostante il grado di "metropolitana".
Sono di dominio pubblico, pertanto, amicizie, relazioni anche extra coniugali, iscrizioni a logge massoniche o a club service che le fanno da anticamera, i soliti personaggi che stazionano in permanenza nelle anticamere dei potenti di turno in attesa della prebenda di sottogoverno. Per cui, ti ritrovi magari un geometra che si occupa di sanità, un ferroviere che s'improvvisa manager, cosiddetti figli d'arte che, non sapendo nella vita cosa fare, diventano giornalisti e scavalcano quelli che magari le qualità ce l'hanno, ma non le "spinte".
Una nebbia fitta, grigia, che non sarà facile spazzare via col vento pulito della legalità, della meritocrazia, del riconoscimento delle qualità che in tanti possiedono, ma che sono costretti a trasferire altrove, se vogliono campare.
Si parla tanto, se ne parla da mesi, degli sviluppi che recenti inchieste della Procura potrebbero avere, all'esito di indagini sui contatti, non solo telefonici, tra esponenti dei clan che controllano il territorio e rappresentanti del mondo politico, imprenditoriale e, purtroppo, anche istituzionale. Fa parte del notorio, per dirla ancora con l'ex procuratore capo di Napoli che istruì agli inizi degli anni '80 il primo processo alla 'ndrangheta con una sessantina d'imputati, che le collusioni c'erano allora e ci sono tuttora. E portarle alla luce non dovrebbe essere tanto difficile.
Intanto, arriverà l'esercito, lo Stato mostra la faccia dura, li vedremo i nostri baldi giovani non più di leva, fare la guardia agli obiettivi cosiddetti "sensibili", si dice che così la gente si sentirà più tranquilla, poco importa se Reggio ci sembrerà una città sudamericana ai tempi delle varie dittature.
La nebbia grigia imperversa, ma dopo quello che è successo l'altra sera a piazza Duomo, c'è la concreta speranza che stia arrivando il vento della speranza, che qualcosa possa cambiare, e non basteranno le querele per mettere a tacere i colleghi scomodi o troppo curiosi. Io già lo sento arrivare, questo vento di verità.

05/10/10

QUANDO LA LOCANDINA E' INGANNEVOLE, OVVERO, COME TI FREGO IL LETTORE


Un gruppo di arrestati del clan Tegano, tra cui Moio
Non è mio costume criticare il lavoro che fanno i colleghi delle cronache locali, anche perchè, avendolo fatto per tantissimi anni, so benissimo che l'errore può sempre essere in agguato. A volte sono tentato di riportare sul mio blog le autentiche castronerie che quotidianamente appaiono, anche sul giornale che una volta era leader su piazza, ma conoscendo bene i "produttori", preferisco evitarlo, i lettori sanno giudicare da soli e, per fortuna, il mercato offre altre alternative.
Quello di cui oggi voglio parlare, però, non si riferisce a qualcuna delle "perle" linguistico-sintattico-grammaticali che ci vengono offerte senza risparmio, senza parlare della sagra delle ovvietà che si può ammirare (si fa per dire) scorrendo i titoli.
Arrivando stamane in edicola, sempre la solita, quando sono a Reggio, gestita da persone gentili e competenti, sono stato attirato dalla locandina del Quotidiano della Calabria, ormai sempre più "napoletanizzato" con la direzione di Matteo Cosenza. Come si sa, la locandina è detta anche "allodola" e serve ad incuriosire il potenziale acquirente con un argomento interessante. E certamente interessantissimo sarà apparso, a chi segue, per antico vizio, come me, per mera curiosità altri, le cronache giudiziarie, il richiamo ai "verbali" dell'ultimo arrivato nella schiera dei collaboratori di giustizia, tale Roberto Moio, nipote acquisito del boss Giovanni Tegano.
Ma la sorpresa era dietro l'angolo: all'interno c'era, sì, un articolo sulle deposizioni che questo pentito-sprint (dopo nemmeno 24 ore s'è consegnato ai magistrati, la cosa m'insospettisce alquanto) starebbe dettando ai solerti verbalizzatori della Procura. Un articolo che ricostruiva la vicenda di Roberto Moio e del suo "travaglio" nella cella del carcere, fino alla decisione lampo di vuotare il sacco sulle malefatte della famiglia di cui per tanti anni ha fatto parte, c'era.
Nulla di nulla però che facesse riferimento a verbalizzazioni depositate (non sarebbe ancora possibile, del resto, ci sono sei mesi di tempo per raccoglierle) ma soltanto un pezzo, come si suol dire, di maniera, niente di sconvolgente per il lettore, fregato dalla locandina-trappola.
  Sono ben contento d'avere, con il mio euro, contribuito alla diffusione del Quotidiano, nel quale tra l'altro, anche se per breve tempo ho lavorato, ma non posso fare a meno di stigmatizzare l'iniziativa dei colleghi autori dello scoop fasullo. Siamo nel profondo Sud, è vero, ma sono finiti i tempi dei lettori allocchi, cui tutto potevi rifilare. Certe delusioni, alla fine, fanno perdere credibilità nell'informazione della nostra regione che già mostra gravi difetti, spesso prigioniera di lobby e d'una classe politica autoreferenziale e collusa. Colleghi del Quotidiano, non fatelo più, per piacere.

01/10/10

ANTONIO MORABITO DA OGGI AMBASCIATORE A MONACO, SI PARLA DI REGGIO NON SOLO PER LA 'NDRANGHETA

L'ambasciatore reggino Antonio Morabito

Mentre della nostra città si parla, ancora una volta, per il suo ruolo di "capitale" della 'ndrangheta e non passa giorno che le cronache non vengano nutrite da notizie di arresti, inchieste, contrasti tra magistrati, intimidazioni d'ogni genere, dalla splendida Costa Azzurra, dal Principato di Monaco arriva un messaggio che è nello stesso tempo di speranza e di legittimo orgoglio.
Antonio Morabito, reggino di Gallina, 55 anni, da oggi è il nuovo ambasciatore d'Italia a Monaco: la cerimonia alla presenza, oltre che del principe Alberto e di tutti i dignitari, delle maggiori autorità locali e di una rappresentanza della comunità italiana nel Principato.
La notizia campeggia sulla prima pagina del quotidiano online Montecarlo news, diretto dalla collega Sara Contestabile: già tempo addietro, sul mio blog avevo anticipato la nomina, da parte del Consiglio dei ministri, del diplomatico reggino che lo scorso anno aveva ricevuto la promozione a ministro plenipotenziario.
Antonio Morabito, che ha compiuto a Roma gli studi universitari, prima alla Gregoriana e poi alla Sapienza, laureandosi in filosofia e scienze politiche, non ha mai interrotto il legame con la sua città, con il rione collinare che lo vede ogni anno tornare per le feste e nel periodo estivo nella casa dei genitori, ai quali è molto legato. Sposato con una argentina, conosciuta nel periodo in cui è stato console a Mendoza, è padre di due bambini.
Tra gli incarichi ricoperti, quello di componente l'ufficio del consigliere diplomatico della presidenza del Consiglio, all'epoca del primo governo Prodi e al ministero per le politiche della famiglia quando era retto da Rosy Bindi. Dopo un'esperienza di tre anni all'ambasciata di Teheran, Morabito è stato richiamato alla Farnesina dove già s'era distinto nel settore della cooperazione e delle tematiche della comunicazione.
Prima della nomina ad ambasciatore, si è occupato d'importanti iniziative culturali, tra cui la partecipazione italiana alla Fiera internazionale del libro di Guadalajara e l'organizzazione della collezione Farnesina design voluta dal ministro Frattini.
Lo scorso anno, è stato coordinatore in Italia dell'anno italo-egiziano della scienza e della tecnologia. Tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo il pregevole volume, edito da Laruffa, sull'Indonesia. Gli è stato conferito di recente il prestigioso premio "Bergamotto d'oro" dei Lyons.

26/09/10

REGGIO TV PATRIMONIO DI TUTTA LA CITTA', NON FACCIAMOLA MORIRE!

REGGIO CALABRIA – Reggio TV rischia di chiudere. L’emittente televisiva del direttore-editore, Eduardo Lamberti Castronuovo, rischia, infatti, di subire le conseguenze del collasso finanziario che,  ha portato alla momentanea chiusura dell’Istituto di analisi cliniche “De Blasi”, mettendo a rischio oltre cento posti di lavoro, ai quali andrebbero, quindi, ad aggiundersi i circa cinquanta della televisione, tra giornalisti, tecnici e personale amministrativo.
Tra i giornalisti assunti dalla società editrice “Alfa Gi Produzioni Editoriali” figurano sei contrattualizzati Fieg-Fnsi ed una decina di collaboratori. Lamberti Castronuovo, infatti, non fa mistero che la televisione si regge sui suoi proventi personali derivanti dall’istituto di analisi cliniche. Una situazione finanziaria, quella dell’istituto “De Blasi”, che ha raggiunto livelli insostenibili, al punto da spingere il prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta, ad attivare un tavolo tecnico. In base a quanto emergerà dopo questa iniziativa, si deciderà il destino dell'istituto e della televisione con sede a Campo calabro.
A tal proposito, è stata ricevuta in Prefettura una delegazione di dipendenti del “De Blasi”, che ha manifestato vive preoccupazioni per il mantenimento dei posti di lavoro a seguito della sospensione dell’attività a causa della mancata definizione di aspetti controversi concernenti i pregressi rapporti finanziari intrattenuti con l’Asp 5 di Reggio Calabria.
Viva preoccupazione viene espressa dal segretario del Sindacato dei Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, componente della Giunta Esecutiva Fnsi, il quale segue con attenzione l’evolversi della situazione che rischia di cancellare un autentico fiore all’occhiello dell’informazione meridionale, che dà lavoro a tanti giovani professionisti e che, va ricordato, è stato costruito senza un centesimo di denaro pubblico, ma esclusivamente con le risorse e la passione del suo direttore-editore, Edoardo Lamberti Castronuovo. Il futuro di Reggio TV è, dunque, inevitabilmente legato alle sorti dell’Istituto di analisi cliniche “De Blasi”. Circa quest’ultimo, in base agli “elementi di chiarimento già acquisiti dall’Asp 5”, il prefetto Varratta ha informato i vertici dell’istituto di aver “interessato il presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, che, manifestando disponibilità ed attenzione sulla questione, ha accordato la propria disponibilità a partecipare al tavolo tecnico. L’organismo, che sarà probabilmente attivato dalla Prefettura intorno alla metà della prossima settimana, vedrà la partecipazione delle componenti tecniche del competente assessorato regionale e il commissario straordinario dell’Asp 5. Intanto, il prefetto di Reggio Calabria ha rivolto ad Edoardo Lamberti Castronuovo l’invito “a voler valutare la prosecuzione della regolare attività della struttura sanitaria, allo scopo di evitare disagi all’utenza e rasserenare il clima esistente tra i lavoratori”.
“L’azienda – afferma Lamberti Castronuovo – non ha mai preso in considerazione l’idea di ridurre la forza lavoro di una realtà produttiva che, con gli attuali livelli occupazionali e di professionalità, è riuscita a diventare un’eccellenza nel Mezzogiorno d’Italia. Tuttavia, l’errore del calcolo nel budget e l’ultima circolare del commissario dell’Asp 5, Rosanna Squillacioti, che ha imposto di non accettare più impegnative mediche, hanno determinato uno stravolgimento del bilancio dell’istituto. “In questo momento – ha evidenziato Lamberti-Castronuovo – non possiamo più garantire ai pazienti la qualità delle prestazioni che per trent’anni abbiamo assicurato al “De Blasi”. Ecco perché, piuttosto che licenziare, l’unica soluzione è chiudere la struttura”.
Da parte dei sindacati e, soprattutto, dell’intero personale dell’istituto, è stata avanzata una proposta che consenta, almeno temporaneamente, di assicurare la continuità dei servizi, riducendo per quanto possibile i costi. L’ipotesi, avanzata anche alla luce delle relazioni dei consulenti finanziari e dei revisori contabili, è quella di attivare le procedure per ottenere la cassa integrazione guadagni straordinaria a beneficio della metà dei dipendenti. L’ammortizzatore sociale potrebbe essere applicato con un sistema di rotazione, nel rispetto dello spirito solidaristico che è alla base del ricorso alla cassa integrazione.
I rappresentanti dei lavoratori hanno già espresso un orientamento di massima favorevole in tal senso, riservando durante l’assemblea forti critiche alla posizione assunta dalla Cgil, sindacato che, a detta dei dipendenti, avrebbe “assunto un’incomprensibile posizione pregiudiziale e preconcetta, che nuoce al futuro della struttura e che corre il rischio di aggravare ulteriormente la situazione. Negare l’esistenza di una crisi gravissima, come fa la Cgil – aggiungono i rappresentanti del personale – significa essere incapaci di leggere i bilanci, oppure perseguire fini particolari che non hanno nulla a che vedere con la salvaguardia di oltre cento posti di lavoro".

DAL SITO: GIORNALISTI CALABRIA




























































22/09/10

FINALMENTE C'E' QUALCUNO CHE PONE UN LIMITE ALLE PASSERELLE


Una "vera" manifestazione di giovani contro la mafia
Ho sempre sostenuto, e coloro che amabilmente ormai da due anni seguono, sempre più numerosi (e di questo li ringrazio) il mio blog, lo sanno benissimo, la necessità di porre un limite alle vere e proprie ondate di dichiarazioni, in tutte le salse, non appena si verifica un evento, per lo più delittuoso, che piovono nelle redazioni.
Sono quasi sempre, fatte le dovute eccezioni, gli stessi, politici di professione, responsabili di varie associazioni, prontissimi a spedire, via mail, le loro elucubrazioni, fatte di luoghi comuni e talvolta con linguaggio zoppicante dal punto di vista sintattico-grammaticale.
L'esempio più recente, l'abbiamo avuto dopo le intimidazioni a magistrati e giornalisti: un fiume di commenti, dichiarazioni infuocate, impegni solenni da parte di personaggi pronti a defilarsi quando c'è da impegnarsi in prima persona, concretamente, esponendosi, nel contrasto alla criminalità organizzata.
In occasione dell'attentato dinamitardo all'abitazione del procuratore generale Di Landro, poi, è stato un diluvio, una gara a chi faceva prima a "manifestare" nelle forme più diverse, ma in maniera più o meno stucchevole, una solidarietà che, lo si capiva da lontano, era di facciata. Per non parlare delle fiaccolate o delle marce anti 'ndrangheta, con in prima fila personaggi pronti a manifestare di giorno ed incontrarsi di notte, come coraggiosamente ha fatto rilevare il dottor Lamberti Castronuovo di recente, con i mafiosi.
Ci sono dei veri e propri recordman delle dichiarazioni, quali che siano gli argomenti, tutto fa brodo e pubblicità gratuita: per giustificare la loro....esistenza in vita, hanno bisogno di ritrovarsi, al mattino, sulle pagine dei giornali locali, tutti più o meno prodighi di spazio.
Non posso che accogliere con soddisfazione la scelta fatta da Strill, e dai suoi direttori, Branca e Mortelliti, di dare lo stop alla marea di dichiarazioni che finiscono con lo stancare il lettore già di per sè scontento di come l'informazione, nella nostra città, viene "servita".
In un ambiente provinciale, dove tutti sanno tutto di tutti, non è difficile conoscere i retroscena di certe "campagne" giornalistiche, dell'esaltazione di personaggi sicuramente sopravvalutati, che hanno costruito le loro fortune politiche sfornando quotidianamente dichiarazioni, interviste ( quasi sempre auto) riflessioni.
Finalmente c'è qualcuno che s'è stancato di questo andazzo ed ha deciso di mettere un limite ad un autentico "dichiarazionificio" (ci si perdoni il neologismo!) che affligge i lettori che vorrebbero più notizie serie, più aggressione alle amministrazioni inefficienti, più inchieste sui gravi problemi che affliggono la città e la provincia. Ognuno di noi capisce benissimo quando è il momento di reagire agli attacchi delle cosche, che prendono di mira amministratori, magistrati e cronisti. E ciascuno sceglie come condurre la sua battaglia per la legalità.  

20/09/10

LA CHIUSURA DELL'ISTITUTO DE BLASI UN ALTRO SCHIAFFO ALLA CITTA'


Lamberti con l'ex direttore di Reggio Tv Giusva Branca e Beha
Non ho alcun motivo per assumere la difesa d'ufficio del dottor Eduardo Lamberti Castronuovo, i cui atteggiamenti possono anche non risultare simpatici ai suoi concittadini che, pure, in occasione di competizioni elettorali alle quali ha partecipato senza successo, lo hanno gratificato con migliaia di voti.
Del resto, è noto che ai reggini non piacciono quelli che, nella loro città, riescono ad emergere, a meno che non lo facciano "di ritorno" dopo aver ottenuto successi professionali altrove. Ma questo è un altro discorso, che in un certo senso mi riguarda anche personalmente, anche se me ne sono sempre fatto una ragione.
 Dopo averlo ascoltato oggi dai microfoni di Reggio Tv, l'emittente che Lamberti ha fatto nascere ormai una decina d'anni fa, e che ha finito, checchè se ne dica, con il conquistare la leadership dell'informazione via etere a Reggio, provincia, ed anche fuori regione, non posso fare a meno di elaborare il mio pensiero.
Quello che Lamberti ha lanciato mi è parso un appello sincero, anche se non credo alla resa, non mi sembra nel suo stile: nella voragine senza fondo della sanità calabrese, che, governo dopo governo, ha accumulato debiti spaventosi, rischia di finire l'istituto De Blasi, un centro diagnostico d'eccellenza, e lo dico per esperienza personale, che non ha nulla da invidiare a strutture simili a Roma, che pure conosco, e altrove.
Ma nel baratro rischia di finire anche un altro "gioiello" caro al medico-editore, che vi ha investito risorse personali, senza "aiutini" della classe politica locale, sempre più inquinata e autoreferenziale. Si tratta di Reggio Tv, che da qualche tempo trasmette da una sede di prestigio, nata tra mille difficoltà, presso Campo Calabro. Se la sventurata ipotesi d'una chiusura dell'istituto che Lamberti dirige, e che ne ha fatto un modello d'efficienza e autorevolezza scientifica, dovesse prendere corpo, sarebbe la città a prendersi un altro sonoro ceffone in pieno viso, non bastassero quelli degli ultimi tempi (vedi inchiesta de l'Espresso).
Ai reggini verrebbero preclusi due diritti sanciti dalla Costituzione repubblicana, quello alla salute e quello all'informazione, ultimo presidio d'una libertà che vede i suoi spazi sempre più ristretti.
Così facendo, si farebbe un grosso favore a chi, operando nelle testate quotidiane e televisive, sfrutta le  posizioni di potere, per sistemare figli e compari e ragazze di coscia lunga, per dirla con Giampaolo Pansa.
Ai lavoratori dell'istituto De Blasi la mia solidarietà più sentita, ai colleghi di Reggio Tv l'invito a mobilitarsi con tutte le forze, spegnere le luci in questo momento sarebbe fatale per il pluralismo e la stessa libertà di stampa.
Per quanto mi riguarda, anche stavolta, andrò a fare le mie analisi di routine nella magnifica struttura del dottor Lamberti Castronuovo, con o senza impegnativa, non m'importa. Con la speranza che chi finora ha fatto finta di non sentire, apra finalmente le orecchie e impedisca questa ennesima vergogna. 

17/09/10

QUEL POMERIGGIO D'AUTUNNO IN VIA VENETO, SI', IO MI RICORDO, CARO PIETRO

L'ultima volta che l'ho visto, qualche mese fa a Roma, stava andando a spasso con i suoi amati cani e faceva un pò di fatica nel trattenerli, il male aveva lasciato sul suo viso segni indelebili, ma il sorriso era quello di sempre, gli occhi s'illuminavano quando incontrava un amico e si sedeva accanto a lui su una panchina di Villa Borghese, quello che scherzosamente chiamava il suo nuovo ufficio.
Anche io, da quando vivo nella Capitale, con altri amici emigrati di lusso, come amiamo definirci, ci siamo scelti un luogo per ritrovarci, quasi ogni giorno, nel centro, a pochi passi da Montecitorio. Non mi sono voluto accodare al coro delle rievocazioni e dei necrologi, più o meno sentiti, che hanno inondato giornali e tv dopo la scomparsa di Pietro Calabrese, che avevo conosciuto, ormai tantissimi anni fa, agli esami per diventare giornalisti professionisti, eravamo pochi, in quella sessione autunnale del 1974: avendo i cognomi che cominciavano con la stessa lettera, capitammo vicini, nell'aula allestita nei pressi della stazione Termini.
Ero seduto tra due che sarebbero diventati entrambi direttori del Messaggero, Pietro Calabrese e Mario Pendinelli, ma c'erano anche altri colleghi destinati a brillanti carriere: io e Francesco Faranda arrivavamo dal Sud, praticanti del Giornale di Calabria, il quotidiano attorno al quale si stava formando una nuova classe di giornalisti.
Con Pietro Calabrese scambiammo le impressioni, una volta consegnato il compito, lui ovviamente si buttò sulla politica, io scelsi la cronaca, che mi avrebbe accompagnato per tutta la mia vita professionale.
Il presidente della commissione era un giurista di chiara fama, il calabrese Cesare Ruperto, che sarebbe diventato presidente della Corte Costituzionale, segretario Giuseppe Morello, di origini bagnaresi. Con Calabrese ci ritrovammo agli orali, un magnifico pomeriggio di novembre, lungo via Veneto gli strilloni vendevano il Momento-Sera che annunciava la morte di Vittorio De Sica, allegri per aver superato la prova, andammo a prendere un caffè, assieme ad altri candidati, poi io e Pietro ci accomodammo sulla sedia d'un lustrascarpe (al tempo ce n'erano ancora in attività) con tra le mani il sospirato certificato, da quel momento eravamo professionisti.
Negli anni è capitato pochissime volte d'incontrarci, ma da qualche tempo, da quando aveva preso a pubblicare ogni mese su Prima Comunicazione la sua splendida rubrica, dal titolo "Si, io mi ricordo" era come se tra noi si fosse stabilito un contatto quasi fisico, le affinità elettive esistono, eccome.
Ora che Pietro mi ha fatto la "sorpresa" di andarsene, me lo immagino a passeggio tra le nuvole coi suoi cani, alla ricerca dei tramonti siciliani che tanto lo ispiravano. Sì, io mi ricordo di quel pomeriggio romano, caro Pietro, una delle cose più belle della mia vita.  

14/09/10

QUEL COLPO DI PISTOLA NEL CALDO POMERIGGIO DI LUGLIO, MA PERCHE'?

Il luogo dove Quattrone ha messo in atto il suo gesto disperato
Il rumore del colpo di rivoltella, sparato all'interno di un'auto ferma sotto un ponte della ferrovia, lungo il greto del torrente, tra cumuli di rifiuti e sterpaglie, non lo sentì nessuno, quel torrido pomeriggio del 22 luglio, presso Condofuri.
Paolo Quattrone, il massimo responsabile delle carceri calabresi, aveva deciso di chiudere con la vita lasciando dietro di sè una scia angosciosa di mistero, tanti perchè, anche a distanza di tempo, rimangono senza risposta.
Una morte coperta dal silenzio come se si fosse voluto, in tutta fretta, rimuovere il ricordo, cancellare la figura d'un uomo che pure, per tanti anni, aveva servito lo Stato, con coraggio, senza piegarsi a minacce anche gravi. Nella prigione reggina di via San Pietro, tra i boss della 'ndrangheta abituati a comandare anche là dentro, era riuscito ad imporre il rispetto delle regole, e gliela avevano fatta pagare con la "solita" bomba d'avvertimento, spesso il sistema più efficace per togliersi dai piedi personaggi scomodi.
Finito il momento del dolore, del rimpianto per chi lo aveva avuto amico, tutto è tornato come prima, una grigia cortina d'indifferenza è calata attorno alla sua famiglia.
Sono stati in pochi, quelli che veramente lo amavano e lo stimavano, a prendere posizione, a porre qualche interrogativo, anche l'inchiesta giudiziaria (atto dovuto) non pare abbia imboccato una direzione precisa.
Se Paolo Quattrone è arrivato alla conclusione più estrema, tra angosce e delusioni, ci sarà stato un motivo, possibile che nessuno si sia accorto del suo stato di disagio e abbia sentito il dovere di stargli vicino?. Questo, lo si sa di certo, non è accaduto, l'alto funzionario che aveva sulle sue spalle enormi responsabilità, era stato trattato alla stregua di un qualsiasi malversatore, ce ne sono a iosa in questa nostra terra, e vanno in giro tranquilli.
Quando neppure la Fede riesce a sostenerti, e Paolo Quattrone era un cristiano convinto, significa che il mondo che ti eri costruito in anni e anni di lavoro e sacrifici, comincia ad apparirti diverso, impossibile, ingiusto.
E allora quella pistola nel cassetto resta l'unica soluzione, nel caldo pomeriggio di luglio, senza che qualcuno possa vederti, laggiù nella fiumara assolata.
Chi ne ha pianto la tragica scomparsa continua a chiedersi, come una litania: ma perchè?. Ma sa già che non otterrà forse una risposta. Mai.

08/09/10

DI RIFFE O DI RAFFA LA GIUNTA C'E', TANTO RUMORE PER NULLA

Due mesi di paralisi amministrativa per partorire, dopo un lungo travaglio (ci si perdoni il termine...ginecologico) la giunta Raffa quasi fotocopia di quella che per anni ha amministrato (benissimo, a sentir loro), malissimo, a sentire gli oppositori (pochi per la verità e mal organizzati) una città che mostra ancora intatti segni evidenti di degrado e dell'infiltrazione delle cosche in tutti i settori.
Non ci voleva certo l'inchiesta de l'Espresso per richiamarlo alla nostra memoria, ma in questi giorni travagliati, caratterizzati dalla lotta intestina tra esponenti del partito uscito trionfante dalle ultime amministrative, se n'è avuta la misura esatta.
Raffa sindaco facente funzioni, riuscirà a far....funzionare questa Giunta rivoluzionata nelle attribuzioni del potere più che negli uomini, anche se solo pochi mesi ci separano dalle elezioni?.I dubbi degli osservatori e miei personali sono fondati, anche perchè la gestione della crisi ha mostrato i limiti degli uomini che sono stati messi alla guida dei partiti, ivi compresa l'opposizione che non riesce neppure a decidersi se fare quadrato attorno all'indomito Massimo Canale, al momento unico aspirante a succedere a Scopelliti.
Il finiano Gatto è stato accontentato dandogli la poltrona assessorile, sfilata da sotto il sedere a Suraci e alla Freno. Non essendoci un euro nelle casse comunali, se i dati forniti da l'Espresso sono veri, non si può certo pensare a grandi eventi, per cui un assessore al ramo è diventato inutile.
La campagna elettorale è già in corso, qualcuno, come l'amico Guido Leone, è già uscito allo scoperto, scegliendo l'Udc, lui che viene da una lunghissima milizia democristiana e che ha già tentato in passato l'avventura elettorale. Ma saranno capaci i partiti di scegliere la strada d'un reale rinnovamento, puntando su energie fresche, giovani validi, esponenti dell'associazionismo e della cooperazione, lasciando dietro la porta i mestieranti della politica, pronti a cambiare bandiera appena il vento cambia?. Me lo auguro di cuore.
Intanto, per qualche giorno, grazie alla nostra Patrona che ci regala momenti di riflessione e di preghiera, godiamoci la tregua tra i "lupi" della politica che, dalle loro lussuose case nel centro di Roma, pretendono di dettare legge, ancora una volta di trattarci come coloni.

05/09/10

PIOVE FANGO SULLA CITTA' MA NON E' SOLO COLPA DELLA PIOGGIA

Piove fango sulla città, dalle colonne di un autorevole settimanale emblema di quella sinistra che Montanelli definiva radical chic, montagne di fango si formano in tutti i quartieri dopo un'ora di pioggia violentissima, un vero uragano, ma quello che succede dopo è un film già visto tante volte. L'incuria, la mancanza d'una rete di smaltimento delle acque burocraticamente definite meteoriche, l'assenza di manutenzione, lavori lasciati a metà, buche non coperte da anni, ed è il disastro.
Ma ai reggini è bastato avere le feste, le sfilate di veline e tronisti, le costosissime mostre allestite dall'assessoressa sempre sorridente (ma riusciremo veramente a liberarcene?) la politica fatta da pochi, sempre gli stessi, non importa se il partito è un altro.
Fango dall'Espresso, un servizio scritto da un reggino di nascita, figlio d'un collega col quale ho condiviso la nascita del Giornale di Calabria, ormai 38 anni fa, un articolo choc, è stato definito, per chi non conosce le vicende reggine, credo che il giovane collega, peraltro esperto di economia, si sia documentato seriamente, come è suo costume. Altrimenti, quelli della Scopelliti band, con tanto di fotografo onnipresente, non dovranno far altro che dare querela al prestigioso settimanale caro al grande editore Caracciolo.
Mi è tornato in mente, in questi giorni, un titolo del Quotidiano della Calabria di qualche anno fa, era un articolo firmato dall'allora direttore del giornale cosentino, Ennio Simeone, anche quella volta si parlava di fango, gettato a piene mani su Reggio, dopo che era stata scoperta una cricca nella sanità della quale, purtroppo, faceva parte anche un rappresentante della mia categoria, al tempo vicinissimo all'attuale governatore, si dividevano il sonno, si diceva. Poi è tutto cambiato, chissà perchè.
Stamattina ho "tradito" la mia parrocchia e sono andato a sentir messa alla chiesa di Sant'Elia, a Condera, il parroco è un amico, un prete moderno, coraggioso, don Nuccio Cannizzaro. Qualche giorno fa hanno dato fuoco all'asilo del quartiere, c'è stata solo qualche timida reazione, soltanto don Nuccio ha tuonato contro chi dovrebbe fare e non fa, anche ieri, all'omelia, ha denunciato senza timori come nessuno, sì proprio nessuno, dei sessanta genitori dei bambini frequentanti l'asilo, si sia fatto vivo, dopo l'attentato. Un silenzio agghiacciante, il povero parroco lasciato solo.
La vita continua in città, mentre ognuno s'arrangia come può, lo vedete nella foto scattata dai colleghi di Meteoweb, e cerca di liberarsi dal fango. Con un pò di buona volontà ci riuscirà, ma dell'altro fango a mezzo stampa chi ci libererà?.

02/09/10

LA RIUNIONE DELLA 'NDRANGHETA A POLSI C'E' STATA? LO SAPREMO FORSE PRESTO

Il santuario di Polsi in una immagine dall'elicottero
La tradizionale riunione dei boss della 'ndrangheta a Polsi, dopo la retata dell'operazione Crimine si è tenuta, si terrà, si sta tenendo in queste ore?. A questo interrogativo non è facile dare una risposta: gli investigatori di polizia, carabinieri, persino gli 007 dei servizi segreti, sono mobilitati da giorni, così come è avvenuto lo scorso anno, "occhi" elettronici controllano i movimenti delle migliaia di persone che, incoraggiate anche da un finale di stagione eccezionale, dal punto di vista meteorologico, rinnovano il loro momento di fede e si recano a pregare davanti alla statua della madonna della montagna.
Anche se decine di capi e gregari sono tuttora ospiti delle patrie galere, compreso il Crimine, quell'Oppedisano ai più pressochè sconosciuto, ci saranno nuovi rappresentanti delle famiglie mafiose del Reggino che, usando maggiore prudenza e cambiando i luoghi d'incontro, non lasceranno che scompaia una usanza perpetuata nei decenni, sin dai tempi in cui il mitico maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino, detto massaru Peppe, inviava i suoi rapporti scritti a mano su quanto nei giorni della festa, accadeva a Polsi.
L'anno scorso, gli uomini delle forze dell'ordine inviati nel cuore dell'Aspromonte, per seguire i movimenti degli 'ndranghetisti provenienti dai vari centri della provincia, non credettero alle loro orecchie quando gli anziani capibastone, che avevano preso in mano le redini delle cosche, per compiere un generale riassetto, che nessuno, visto il loro carisma, avrebbe osato mettere in discussione, ne parlarono liberamente e fu così che venne fatta luce sulla nuova geografia della 'ndrangheta del Reggino.
Una fatale imprudenza, che ha consentito alla magistratura di mettere assieme le tessere d'un vasto mosaico criminale e far scattare l'operazione che ha riportato alla memoria dei cronisti d'una certa età (e ahimè, anche della mia) l'impresa del questore Carmelo Marzano, mandato nel profondo Sud per dare una "mazzata" a coloro che si erano permessi di tentare il sequestro d'un politico.
Al giovane collega che mi pone la fatidica domanda: ma, secondo te, quest'anno, la riunione di Polsi c'è stata?, rispondo senza esitazione sì. Ne avremo, forse, conferma tra qualche tempo, se i segugi di polizia e carabinieri, avranno "fiutato" le tracce di coloro che hanno rimpiazzato gli "amici" carcerati e che da loro, hanno ricevuto gli ordini. 
Una cosa è certa: a Polsi si sono sempre prese decisioni importanti, bisognerà sapere se stavolta prevarrà la linea diciamo moderata, o la belva ferita reagirà alla maniera forte. Auguriamoci che ciò non accada.

31/08/10

A PEZZI L'IMMAGINE DELLA CITTA', CHE BRUTTA ESTATE. CI MANCAVA ANCHE IL CONCORSO BURLA

L'auto del calciatore Giacomo Tedesco "dissidente"
Ora che il mese d'agosto declina, come avrebbe detto il grande poeta Cardarelli, è tempo di riflessioni, ma non certamente quelle stucchevoli, vetero giornalistiche che si leggono su un quotidiano che un tempo era "re" della diffusione.
Qualche considerazione, ispirata da amici "emigrati" come me, coi quali in estate ci ritroviamo, vorrei farla anch'io, senza catastrofismi e senza farmi influenzare, ma non è facile, dagli accadimenti di questi giorni, dalla politica alla cronaca. La nostra città, che quando vivi fuori ti accorgi di amarla ancor più, nella sua immagine esce a pezzi, dopo lo squallido teatrino della crisi comunale, passando per gli episodi di criminalità, l'attacco al procuratore generale Di Landro, l'incendio all'auto del calciatore Tedesco.
Mentre anche il giudice Roberto Pennisi, che saluto caramente, affida al web le sue argomentazioni, sempre cariche di tensione sociale, assistiamo alla proiezione mediatica di un film già visto, col presidente Scopelliti che annuncia la "rivoluzione" nella sanità, prevedendo anche di risparmiare sulle spese di quelle persone che vanno a curarsi fuori regione, vuol dire che celebreremo qualche funerale in più in Calabria e l'economia, almeno in un settore, qualcosa ne ricaverà.
Un ex amministratore regionale, incontrato per caso a Roma, mi ha fatto, come si suol dire, "gelare" il sangue, con una affermazione perentoria quanto sconcertante. "Dicevano che eravamo noi i banditi, vedrete questi cosa faranno".
Mi rifiuto di credere che questa convinzione del politico forse deluso e quindi prevenuto sia fondata su dati di fatto, ma mentre rifletto su ciò, ecco la notizia del concorso-burla per l'assunzione di giornalisti alla Regione, con un bando venuto fuori, come ha scoperto il segretario della Fnsi calabrese Carlo Parisi, proprio nell'imminenza del Ferragosto. Tutto secondo la migliore tradizione delle giunte dei "banditi". 
Il presidente della rinascita, che viene seguito (neppure Berlusconi ce l'ha) da un fotografo personale, pronto ad immortalare tutti i momenti della sua giornata, i giornalisti di cui la Regione avrebbe bisogno, li ha già reclutati e tutti sappiamo chi sono e chi sono gli "sponsor" politici e familiari. Ma, finchè non c'è reato penale, che l'Ente Regione se li tenga, tanto alla gente non è che interessi molto.
Rimane lo sconcerto di chi ha creduto in questo nuovo progetto politico, che aspetta  "novità" che forse, purtroppo, come è avvenuto in questi ultimi vent'anni, non arriveranno mai.
La città senza guida politica, i festeggiamenti della Patrona (come reagirà la gente?) in dubbio o in ogni caso ridimensionati, e forse dietro la processione potrebbe esserci il commissario al posto di un Raffa in preda alla disperazione e certamente non più ormai in possesso della necessaria lucidità.
Ai microfoni di Radio Touring la gente, invitata dal conduttore Baccillieri e rivolgere domande al buon Raffa, presente in studio, si è sfogata, ha manifestato quello che esce dal cuore di chi vorrebbe essere amministrato, che non chiede altro se non i servizi essenziali, la pulizia, l'acqua potabile, le strade senza buche, la burocrazia che dia risposte. Patetica, per non dire altro, qualche telefonata "suggerita" a favore di un assessore, sincera qualche altra nel condannare senza appello altro componente la giunta che Raffa sta cercando, con poche speranze, di mettere in piedi. Forse, ma non ne sono sicuro, soltanto la madonna della Consolazione, con un suo intervento, può rimettere a posto le cose, ma bisognerebbe pregare, e molto.

29/08/10

LIGATO VITTIMA DEL CONNUBIO PERVERSO MAFIA-POLITICA

Lodovico Ligato quando era parlamentare

La bomba al procuratore generale Di Landro, con tutto lo "sconquasso" giornalistico che ne è seguito, ha fatto passare in secondo piano, e quasi nessuno se n'è ricordato, l'anniversario, il ventunesimo, del barbaro omicidio di Lodovico Ligato, politico, giornalista, uomo di punta della vecchia Dc. Ricordo perfettamente tutti i dettagli di quella tragica notte.
Allora ero redattore di Gazzetta del Sud a Reggio Calabria e seguivo in particolare la cronaca. Ero nella mia casa al mare, a qualche centinaio di metri dalla casa del delitto ed ero andato a pesca, la notte era senza luna, per cui si potevano prendere i totani.
Intorno alle due ero tornato a casa quando mi raggiunse la telefonata del collega Rosario Cananzi, il fotoreporter del giornale. “Hanno ammazzato Ligato”, mi disse brutalmente. Qualche minuto dopo, eravamo nel cortile della villa dove Vico Ligato giaceva crivellato dai proiettili, noi due, assieme ai familiari, alle forze dell’ordine e a qualche amico, siamo stati gli unici a vedere l'ex presidente delle Ferrovie cadavere, gli altri colleghi arrivarono quando era già giorno.
La mia impressione immediata fu quella che era stato un omicidio di mafia, da inquadrare nell’ambito dello scontro cruento che era in corso tra le cosche dominanti. Ricordo lo scetticismo degli investigatori e del sostituto procuratore Bruno Giordano, ma i fatti hanno confermato che la mia intuizione era quella giusta, che ha avuto i riscontri dopo le rivelazioni di uno degli assassini, il pentito Giuseppe Lombardo, detto “cavallino”.
Mi tornarono in mente alcuni episodi, accaduti nei giorni precedenti l’omicidio, quando, per due sere di seguito, telefonate anonime avevano segnalato non meglio precisate sparatorie a Bocale, che era la zona dove Ligato stava. Pensai dopo, queste erano le prove generali, invece si è appurato successivamente che il pentito Filippo Barreca aveva tentato di scoraggiare gli assassini del cui piano era a conoscenza.
Vico l’avevo visto due giorni prima della sua tragica fine e, in bicicletta, gli avevo fatto compagnia, lui era sulla muntain bike in tuta e cappellino per un bel tratto lungo la statale 106. Ricordo che mi aveva chiesto notizie sulla situazione politica, c’era se non sbaglio la crisi al Comune e lui se ne uscì con una battuta (“se non voglio io, qua non si fa nulla”) che in un certo senso mi sorprese, dato che si diceva avesse ormai intenzione di abbandonare la politica, comunque di non interessarsi più delle questioni reggine.
Evidentemente, non era così, e per questo qualcuno decise che era giunta l’ora di eliminarlo. Nei giorni successivi si scatenò la ridda delle ipotesi e si andava dall’omicidio d’onore, conoscendo Ligato come un “tombeur de femmes”, al delitto di Stato legato alla vicenda delle cosiddette “lenzuola d’oro”, una pista questa in qualche modo incoraggiata anche dalla vedova Nuccia. Ricordo ancora l’agghiacciante titolo d’un settimanale “lenzuola di piombo”.
 Certamente Ligato, che era stato un giornalista brillante e un politico emergente, uomo di grande intelligenza ancorché spregiudicato nei rapporti con certi ambienti, era diventato scomodo, ostacolo a chi, negli ambienti della criminalità, lo aveva visto tra i possibili alleati d’una cosca che ancor oggi è tra le dominanti sul territorio reggino.
Dal punto di vista giudiziario, il delitto Ligato è stato risolto, con arresto e condanna di esecutori e mandanti: resta un esempio di dove può portare il connubio mafia-politica, quando si oltrepassa un certo confine non è possibile tornare indietro.