04/12/12

GIUSEPPE REALE, TROPPO PRESTO DIMENTICATO DA UNA CITTA' SENZA MEMORIA

Giuseppe Reale
Reggio è una città che ha la memoria corta, dimentica spesso i suoi figli migliori, anche coloro che hanno recato lustro e che, con la loro opera, hanno contribuito a fare la storia di quella che, un tempo, era "bella e gentile".
In questi giorni si ricorda Italo Falcomatà, strappato alla vita nel momento migliore, quando, dopo aver contribuito a far risorgere Reggio dalle macerie di stagioni fatte di violenza, lutti, corruzione e degrado, si apprestava forse ad aver riconosciuti i suoi meriti in campo nazionale.
Si ricorda Italo, attraverso i suoi scritti, ma ci si dimentica di un altro sindaco, anche se lo fu per breve tempo, in momenti drammatici, dopo la Tangentopoli: lui che reggino non era, ma che amava la città che lo aveva adottato. Parliamo di Giuseppe Reale, professore venuto da Maratea, che seppe conquistarsi le simpatie dei reggini e la fiducia degli elettori di un grande partito come la Democrazia Cristiana.
Peppino, come lo chiamavano tutti, arrivò alla Camera e non si mise certo a riscaldare le comode poltrone romane.
A Reggio, una dopo l'altra, arriveranno l'Accademia di Belle Arti, il Conservatorio di musica, il potenziamento dell'aeroporto, e verranno poste le basi per la nascita dell'università Mediterranea, prima la facoltà d'architettura, poi le altre.
Ma la cosa di cui Reale andava fiero, e per la quale si è impegnato fino alla scomparsa, ormai ultra novantenne, era l'università per stranieri, fiore all'occhiello d'una città purtroppo devastata da anni di disamministrazione, culminati nel cosiddetto "modello Reggio" che ha avuto il suo epigono nel governatorissimo della Calabria, quel Giuseppe Scopelliti che ormai a livello nazionale viene indicato ad esempio negativo, ma i reggini ne hanno viste tante e sopportano pazientemente che le finanze comunali vengano saccheggiate, che il Comune venga commissariato per "contiguità" con la mafia, che a personaggi di qualità diciamo scadente, per essere buoni, vengano affidati incarichi di prestigio.
Peppino Reale ha vissuto diremmo quasi monasticamente. Andai a trovarlo a casa, quando era sindaco (il suo vice era l'imprevedibile cavaliere Amedeo Matacena, che gliene combinava una al giorno) era una giornata fredda, e mi accorsi, entrando nel suo studio, che non aveva il riscaldamento. In Municipio ci andava a piedi, non aveva un esercito di portaborse, addetti stampa, segretarie sculettanti, auto blindate con scorta.
Quanta riconoscenza dobbiamo ad uomini come lui che nella storia un posto, comunque, se lo sono conquistato, e non nelle cronache giudiziarie.

03/11/12

TOTO' LA TELLA E FRANCO QUATTRONE, SCOMPAIONO DUE PROTAGONISTI DELLA REGGIO MIGLIORE


Totò La Tella

Franco Quattrone


Gli affezionati lettori del mio blog mi perdoneranno questo lungo...silenzio, anche se hanno potuto seguirmi su Facebook, ma gli impegni romani mi hanno costretto a trascurare quella che ritengo una mia creatura, cui sono estremamente legato.
Tornato a Reggio in occasione della commemorazione dei defunti, e proprio pochi giorni dopo il terremoto che ha investito la città, con lo scioglimento del consiglio comunale, sono stato raggiunto da due tristi notizie, la scomparsa di Antonio La Tella, Totò per gli amici (pochi, quelli che gli erano rimasti fedeli) e di Francesco Quattrone, politico di prima grandezza, fino a qualche anno fa, stroncato dalla malattia che lo angustiava da tempo e che lo costringeva a brevi passeggiate sul Lungomare, con la maschera dell'ossigeno. 
La città perde due figure importanti, seppure in campi diversi, ma non troppo. Totò era un personaggio carismatico, dal carattere piuttosto spigoloso, un autodidatta di grande cultura, polemista d'alto livello, catalizzatore della politica locale, capace di creare e distruggere, facendoli cadere come birilli, politici anche nazionali.
Nella redazione de Il Tempo, prima che la chiudessero, quando in Calabria la nascita di nuovi giornali aveva penalizzato il quotidiano romano, che sul piano della tempestività e della distribuzione non era più in grado di competere, si facevano e disfacevano le Giunte, si stringevano alleanze, si decidevano le candidature. Totò era al centro di un sistema che governava (male) Reggio e che nei primi anni Novanta aveva finito con il travolgerlo, quando venne alla luce quella che non esitai a definire, dalle colonne del giornale per il quale al tempo lavoravo, la "Tangentopoli stracciona".
Totò La Tella aveva deciso di vivere in periferia, vedendo pochissime persone, telefonando a qualcuno, mentre vedeva allontanarsi dalla sua persona quel "cerchio magico", tanto per usare un termine di moda, che lo aveva visto protagonista, osannato, addirittura coccolato. In tardissima età si era avvicinato al sindacato dei giornalisti, salvo poi rompere fragorosamente il rapporto che si era creato con Carlo Parisi in particolare.
Una morte solitaria, in un certo senso preannunciata sul blog che aveva aperto e che ci ha regalato, fino a pochi giorni prima del trapasso, i suoi soliti pezzi di costume, freschi, brillanti, come quelli degli anni migliori.
Franco Quattrone ha sofferto molto negli ultimi anni, e non soltanto per la malattia, coinvolto in pesanti inchieste giudiziarie, ha patito l'umiliazione del carcere, lo stress dei processi, e la salute non poteva non risentirne.
Considerato l'astro nascente della Dc reggina, era riuscito a ritagliarsi uno spazio a livello nazionale, legandosi inizialmente alla corrente andreottiana, per poi passare tra gli amici di Enzo Scotti. Leader come Misasi, De Mita, Fanfani, lo apprezzavano, l'elettorato si divise quando comparve sulla scena Lodovico Ligato, destinato ad una tragica fine. E proprio per l'omicidio Ligato, Franco Quattrone fu indagato, incarcerato assieme ad altri big della politica cittadina, Giovanni Palamara, Giuseppe Nicolò, Piero Battaglia, sulla parola di cosiddetti pentiti, il cui "verbo" in quegli anni diede la stura ad inchieste con decine e decine di arresti. Quattrone è uscito indenne sia da quell'accusa terribile, che dalla Tangentopoli, scoppiata dopo le rivelazioni di un giovane sindaco, Agatino Licandro, che aveva svelato i meccanismi di un "modello Reggio" ante litteram, poi risoltosi in una colossale bolla di sapone.
Se ne sono andati due personaggi della Reggio che ha poi seguito altri modelli che non so dove ci porteranno, tra disordine e sporcizia, col vessillo di palazzo San Giorgio ammainato e l'incubo di uno spaventoso dissesto di cui qualcuno dovrà rispondere. La Tella e Quattrone, tutto sommato, rappresentavano un mondo migliore. Che riposino in pace. 

22/09/12

SALLUSTI COME GUARESCHI? QUANDO IL DIRETTORE PAGA PER TUTTI

 
Alessandro Sallusti, dirige Il Giornale
Fare il direttore d'un giornale è il mestiere più difficile del mondo. Secondo la legge sulla stampa, che risale a 65 anni fa, e che andrebbe quindi rivisitata alla luce dello sviluppo che la cosiddetta carta stampata ha avuto, una vera e propria rivoluzione, il responsabile d'una testata deve controllare tutto quanto viene pubblicato, se non vuole incorrere nel reato di "omesso controllo", un'insidia praticamente quotidiana.
Pensiamo ad un giornale quotidiano che in media manda in rotativa decine e decine di pagine, per le varie edizioni: se il direttore non ha cento occhi e altrettante mani, cosa impossibile, non è in grado di esercitare il rituale controllo, che è demandato ai vari capi e sottocapi, i responsabili dei vari settori del giornale. Di norma si tratta di colleghi che godono della sua fiducia, ma anche loro, e parlo per esperienza personale, avendo avuto la responsabilità delle edizioni provinciali del mio ex giornale, non hanno la memoria di Pico della Mirandola e un numero considerevole di occhi.
Pertanto, le fesserie, e non solo quelle, scappano, nomi sbagliati, persone sbagliate, qualcuno che viene dato per morto ma che poi risulta vivo e vegeto, e poi ci sono le querele, date e minacciate da chi, pur consapevole di aver commesso un reato, anche grave, non gradisce che la sua vicenda venga data in pasto all'opinione pubblica.
Fortunatamente (e un ruolo spesso ce l'hanno gli avvocati, che coi giornalisti hanno maggiore dimestichezza) sovente i propositi bellicosi del querelante rientrano e, se non si arriva alla cosiddetta remissione davanti al giudice, ci si accontenta di un articolo di smentita, che poi è una notizia data due volte.
Sallusti rischia di andare a far compagnia a fior di delinquenti nel tetro carcere milanese di San Vittore, per non aver controllato un articolo non scritto da lui e potrebbe, dal prossimo giovedì, non appena la Cassazione avrà deciso, speriamo in suo favore, aggiungersi all'elenco dei colleghi illustri che sono finiti in manette per un reato di stampa.
Ricorderete il caso dello scrittore Giovannino Guareschi, l'inventore di don Camillo e Peppone, che si fece lunghi mesi di prigione per aver pubblicato qualcosa che riguardava De Gasperi, poi risultata falsa.
Anche se Sallusti dirige il giornale della famiglia Berlusconi, è un popolare ospite di varie trasmissioni televisive, ed è finito anche nel tritacarne del gossip per via della sua relazione con Daniela Santanchè,  non a tutti è simpatico. In questi momenti anche avversari storici del suo editore e suoi personali si sono schierati, non gli hanno fatto mancare la solidarietà. Io dico, molto sommessamente, che quando un giornalista finisce in carcere per reati connessi alla sua attività, è una grave limitazione della libertà, per la cui conquista in tanti hanno sacrificato la vita.

09/08/12

A NINO SCOPELLITI TUTTI QUESTI "EROI" DELL'ANTIMAFIA A PAGAMENTO NON SAREBBERO PIACIUTI

Non sappiamo ancora, e speriamo di saperlo presto, se mandanti ed esecutori materiali dell'omicidio del giudice di Cassazione Antonino Scopelliti saranno scoperti e, possibilmente, assicurati alla giustizia, dopo tanti anni dall'atroce fatto di sangue che tanto turbò l'opinione pubblica ma che troppo presto fu archiviato.
Una cosa, però, la sappiamo: c'è del nuovo, da qualche tempo, in Procura dove, anche dopo la partenza di Giuseppe Pignatone, nulla è cambiato sul piano dell'impegno e dove, come si suol dire, le carte "camminano" senza fermarsi per lunghe soste in polverosi armadi.
Sono i giorni, questi, del ricordo e del rimpianto, ma sono anche quelli che vedono salire in cattedra i soliti commentatori che fanno del moralismo un tanto al chilo, come era solito dire Enzo Biagi. Non fare calare la coltre di silenzio su un delitto eccellente che chiuse i terribili anni della guerra di mafia, è cosa buona e giusta e bene fanno la figlia del magistrato ucciso, che mi auguro non abbia velleità politiche, come altri congiunti di morti per mafia o terrorismo, e i ragazzi di Ammazzateci tutti, scuotendo le coscienze dei cittadini.
Condivido pienamente la decisione di tener lontani dalle manifestazioni pubbliche i politici, che volentieri avrebbero approfittato con il Ferragosto incombente e le cronache dei giornali piuttosto anemiche per ottenere spazi e, possibilmente, qualche sorridente immagine.
Ci saremmo trovati davanti la solita passerella (qualcuno ci sta provando ugualmente) di personaggi che, stando ai si dice, ai sussurri, alle mezze verità, qualche scheletruccio negli armadi, per via di parentele, amicizie e baci in pubblico ce l'avrebbero.
Questo scorcio d'estate ci ha per fortuna risparmiato le "esibizioni" di un noto magistrato collezionista di presenze a convegni, dibattiti, incontri, premi d'igni genere, evidentemente ha altro cui pensare, i nodi, nella vita come nel mestiere di ognuno di noi, prima o poi vengono al pettine.
Quello che assolutamente non riesco a digerire è la presenza asfissiante di autentici professionisti di quell'antimafia a pagamento che lo stesso Nino Scopelliti, il cui pensiero ho avuto la fortuna di poter conoscere in varie occasioni, certamente avrebbe condannato, se quella scarica di pallettoni non lo avesse fulminato a pochi passi da casa, nella terra che tanto amava.
E' l'antimafia da salotto, che produce notorietà e anche guadagni e costruisce carriere che altrimenti non sarebbero mai decollate, è questo un pericolo serio per la società che rischia di confondere l'impegno vero nella lotta alle cosche, anche a rischio della vita, con desolanti spettacoli di piazza con pubblico non pagante.
Scopelliti è morto per lo Stato, finora siamo in debito con lui e con tutti coloro che lo amarono e lo stimarono, vorremmo conoscere la verità, quella vera, anche per togliere un pò d'acqua alla vasca delle ovvietà in cui nuotano i professionisti dell'antimafia. Sciascia non aveva inventato nulla.

03/07/12

CAPO D'ARMI COME PALINURO, LA STORIA DI SILVIO VAGLIO E ALFONSO PARISE

Le acque di capo d'Armi dove persero la vita i due sub 

La tragedia di Palinuro, che è costata la vita a quattro subacquei, ha richiamato alla memoria del vecchio cronista un episodio accaduto anni fa nei pressi di Reggio Calabria, nelle acque dello Ionio, tra Lazzaro di Motta San Giovanni, e le scogliere di Capo dell’Armi, un posto ancora incantevole, nonostante l’assalto selvaggio del cemento
Un giovane appassionato di pesca subacquea, Silvio Vaglio, (vado a memoria, non ho il mio archivio a disposizione e la mente è obnubilata da Caronte che assedia Roma) era sceso  in mare, come faceva molto spesso per dare la caccia a cernie e murene che, negli anfratti sottomarini di quella zona, che peraltro conosceva assai bene, nuotano numerose.
Le reti lì non possono essere calate, per via degli scogli che rendono pericolosa la navigazione se ci si avvicina troppo alla spiaggia, solo i sub più esperti sanno dove trovare le prede, e Silvio Vaglio lo era.
Ma anche lui, quel giorno, col mare calmo e più limpido del solito, commise forse una fatale imprudenza, almeno così la vicenda venne ricostruita nei giorni frenetici che seguirono il recupero del corpo e, purtroppo, la morte di un vigile del fuoco sommozzatore, che faceva parte dei soccorritori. Credo, ne sono quasi certo, che fosse palermitano, alto e robusto, si chiamava Alfonso Parise, e, se la memoria non m’inganna, è rimasto per sempre laggiù, all’interno di un cunicolo dal quale non era riuscito ad uscire.
Silvio Vaglio aveva lasciato a terra, custoditi, credo, da un amico che solitamente lo accompagnava e che diede l’allarme, i vestiti e componenti dell’attrezzatura,  con bombole accuratamente ricaricate, boccagli e maschere professionali.
Probabilmente, a tradirlo fu un attimo d’incoscienza, forse mentre inseguiva una enorme cernia, che, sempre se ricordo bene, ma i lettori mi perdoneranno, aveva fiocinato. E così entrò nel maledetto cunicolo dove, un paio di giorni dopo, nonostante i vigili del fuoco lo avessero localizzato, venne ripescato dopo diversi e rischiosi tentativi. Ma la tragedia era diventata ancora più grande, perché, nel compiere il suo dovere, Alfonso Parise era finito anche lui per essere inghiottito dal tunnel della morte, ad una quindicina di metri di profondità, tra Lazzaro e le scogliere di Capo D’Armi, sovrastato dal faro che la notte indica la rotta alle navi che affrontano il mare aperto, verso porti lontani.
In città la storia dei due sub morti in circostanze simili, fece grande impressione, per diversi giorni il “Giornale di Calabria”, della cui redazione reggina all’epoca facevo parte,  le dedicò ampio spazio, sin dalle prime ore in cui la notizia dell’incidente a Silvio Vaglio s’era diffusa.
Capannelli di persone, amici e parenti di Silvio, tanti appassionati di pesca subacquea, stazionarono notte e giorno sulla spiaggia da dove Silvio Vaglio s’era tuffato e da dove sarebbe riemerso, come gli accadeva quasi sempre, con il sorriso di soddisfazione che solo chi ama la pesca può comprendere .
Il mare è bello ma può diventare estremamente pericoloso, e non faccio altro che ricordarlo ai miei figli che sono entrambi appassionati di questo sport tanto affascinante, l’eterna sfida tra l’uomo e la natura. Per questo, la tragedia della grotta del sangue di Palinuro, sulla rotta di Ulisse, mi ha colpito particolarmente e richiamato alla memoria un fatto di cronaca che commosse i reggini. 

14/06/12

A MICHELE SANTORO PREMIO MARGUTTA PER IL GIORNALISMO


Michele Santoro, uno dei premiati
Michele Santoro per il giornalismo, Teresa De Sio per la musica, Carlo Freccero per la tv, Duccio Forzano per la regia televisiva, Mariangela D'Abbraccio, per il teatro, Enrico Silvestrini, per il cinema, L'Accademia Altieri per la moda, Melissa P. per la sezione rivelazione letteraria, Francesca Di Castro e Valentina Moncada per la sezione Via Margutta, Massimiliano Maselli per l'imprenditoria.
Sono loro che saliranno sulla passerella di Via Margutta per ricevere l'omonimo premio giunto alla quindicesima edizione. Il patron, Giovanni Morabito, gallerista di origfini calabresi che a Roma si è affermato, diventando uno dei protagonisti della vita artistica di via Margutta, dando vita ad un premio che rappresenta uno degli appuntamenti di maggior rilievo nella Capitale.
 Il simbolo del premio ModArt Via Margutta, di cui è presidente onorario il regista Gabriele Salvatores, è una scultura realizzata dall'artista Angela Pellicanò.
Tra i premiati delle passate edizioni ricordiamo Pippo Baudo, Pupi Avati, Gabriele Salvatores, Stefano Dominella, Guillermo Mariotto, Vittoria Belvedere, Niccolò Fabi, Carlo Verdone, Giovanni Floris, Zero Assoluto, Walter Veltroni, Philippe Daverio, Santo Versace, Anna Falchi, Franco Di Mare, Isabella Bossi Fedrigotti, Andrea Monorchio, Veronia Maya, Claudio Santamaria, Alessandra Mastronardi, Michele Placido, Emmanuele Emanuele, Philip Rylands, Gianfranco Iannuzzo, Ercole Pellicanò, Eleonora Giorgi, Mara Venier, Antonio Catricalà, Vladimir Luxuria, Fiorello.
Nel corso della serata, presentata da Chiara Giuria e Giuseppe Candela, è previsto un intervento di don Andrea Gallo, mentre Teresa e Sio canterà dal vivo "Tutto cambia". Un riconoscimento è stato assegnato all'onorevole Anna Paola Concia e alla giornalista Maria Teresa Meli, per il libro "La vera storia dei miei capelli bianchi. Quarant'anni di vita e di diritti negati".
L'Accademia Altieri presenteràuna collezione realizzata interamente dagli allievi del secondo anno di corso, improntata su un lavoro sartoriale di intrecci di tessuti e lane, completata da accessori e bigiotteria interamente lavorati  dagli allievi.


23/05/12

LA STRAGE CHE HA CAMBIATO IL MODO DI COMBATTERE LA MAFIA, COSI' FALCONE VIVE ANCORA


Quel giorno di Maggio, lo ricordo benissimo, era un anticipo dell'estate, cielo terso, un leggero vento increspava il mare dello Stretto. Pomeriggio di ordinario lavoro, nella redazione d'un giornale di provincia nella città che, fino a pochi mesi prima, era stata squassata dalla guerra di mafia che aveva insanguinato le strade e provocato centinaia di vittime.
Dopo l'omicidio del giudice Scopelliti le cosche in  lotta avevano trovato l'accordo, attorno a un tavolo s'erano seduti, con la mediazione di personaggi di Cosa Nostra venuti perfino dagli Usa e dall'Australia, faccia a faccia, i protagonisti di quello scontro cruento scoppiato dopo l'omicidio del boss Paolo De Stefano.
Da qualche settimana, e la voce correva negli ambienti giudiziari, s'erano decisi a collaborare con la giustizia due personaggi della 'ndrangheta cittadina: Filippo, "Pippo" Barreca, e Giacomo Lauro, che era stato beccato in Olanda e subito aveva chiesto un colloquio al colonnello Angiolo Pellegrini, che dirigeva la Dia di Reggio Calabria.
Chi si occupava di cronaca, come il sottoscritto, stava con le orecchie  ben tese, pronto a raccogliere le  anticipazioni su quanto i due andavano raccontando, dopo essere stati trasferiti nel "fortino" di Calamizzi, alla periferia sud della città, sede della Direzione investigativa antimafia che muoveva i primi passi.
E fu Angiolo Pellegrini, con la voce rotta dall'emozione, proprio lui considerato un duro, un ufficiale d'azione, che a Reggio Calabria e Palermo, passando per la Campania, aveva conquistato la fama di grande investigatore, a darmi la notizia dell'attentato di Capaci, pochi minuti dopo il terribile scoppio.
Pellegrini con Falcone ci aveva lavorato, me ne parlava spesso, io avevo avuto modo di conoscerlo in occasione del delitto Scopelliti, quando venne a Reggio al seguito del presidente della repubblica, Cossiga, e del ministro della Giustizia, Martelli, che lo aveva voluto al suo fianco nel dicastero di via Arenula.
Qualcuno disse che nelle carceri siciliane, alla notizia dell'avvenuta strage, boss e gregari avevano brindato, il nemico era caduto, ma non sapevano che, da quel momento, per la mafia sarebbero cominciati gli anni della lotta senza respiro, delle leggi speciali, del carcere duro che avrebbe favorito il pentitismo.
Reggio  viveva apparentemente, in quei giorni, una certa tranquillità, ma di lì a qualche mese sarebbe esplosa la Tangentopoli, a seguito delle rivelazioni di Agatino Licandro, il giovane sindaco sul quale la città aveva puntato per una primavera che non sarebbe arrivata, su Reggio calò il buio.
Dal punto di vista giudiziario, la Tangentopoli stracciona, come venne definita, ha segnato un vero e proprio flop, ma la città, checchè se ne dica, porta ancora  sulla pelle i segni di quegli anni. Vent'anni possono essere davvero pochi, un battito di ciglia nell'universo, ma dobbiamo dire che, a parte le azioni della forze dell'ordine e della magistratura, dopo un lungo "sonno", e gli arresti eccellenti, poco è cambiato. Reggio continua ad essere governata male, ci sono in azione "cricche", tanto per usare un termine di moda, che ne condizionano lo sviluppo. E chissà ancora per quanto tempo.

07/05/12

COLOMBA ANTONIETTI, LA VERA STORIA DI UN'EROINA


Colomba Antonietti nell'unico ritratto dell'epoca
E' una calda giornata di Giugno, il 13, anno 1849, ricorrenza di Sant'Antonio, in alcuni quartieri di Roma solitamente si fa festa, ma da tempo la città eterna è squassata dal fuoco dell'artiglieria francese.
La Repubblica Romana sta vivendo i suoi ultimi, gloriosi, giorni. Sono le sei del pomeriggio, nei pressi delle mura gianicolensi, bersagliate dai cannoni francesi nel tentativo di aprirvi delle brecce e dare l'assalto ad un manipolo di giovani che difendono quel caposaldo con tutte le loro forze.
Una palla di cannone, rimbalza sul muraglione e colpisce, squarciandogli il ventre, un giovane soldato, che muore sul colpo.
Un ufficiale, il conte Luigi Porzi, abbandona i suoi uomini e si getta sul quel corpo inanimato in preda alla disperazione: quel morto è una donna, vestita da soldato, è la sua giovanissima moglie, si chiama Colomba Antonietti, che combatteva al fianco del marito, cui la legava un amore indistruttibile, che solo la morte avrebbe spezzato.
La vera storia di questa eroina è stata scritta da una studiosa romana, Cinzia Dal Maso, che ha dato alle stampe, per Edilazio, un vero e proprio gioiello, che gli storici e gli appassionati studiosi di questo periodo della nostra storia patria non potranno che apprezzare.
Una vicenda di patriottismo, quella di Colomba Antonietti, ma anche una struggente storia d'amore tra la figlia di un fornaio e un giovane cadetto pontificio di nobile famiglia. I due riuscirono a coronare col matrimonio il loro appassionato legame dopo una serie di disavventure e ostacoli d'ogni genere, a cominciare dall'opposizione dei genitori di lei che non condividevano e anzi consideravano impossibile che una ragazza plebea potesse unirsi, sulla base delle convenzioni dell'epoca, ad un militare per giunta nobile di casato.
Cinzia Dal Maso, che ha presentato nella splendida cornice della biblioteca Casanatense il suo lavoro, ha ricostruito, con rigore, la vita di Colomba, il cui busto marmoreo si trova al Gianicolo, liberandola da menzogne e inesattezze che, nel tempo, hanno caratterizzato il lavoro di storici poco accorti e senz'altro poco documentati. Per l'occasione, sono intervenuti la psicologa e psicoterapeuta Mariolina Palumbo, Franco Tamassia, direttore dell'istituto internazionale di studi "Giuseppe Garibaldi", Massimo Scioscioli, presidente della sezione romana dell'associazione mazziniana. Ha moderato l'incontro la giornalista Annalisa Venditti che ha dato lettura di brani significativi del libro.
Chi voglia scoprire una bellissima storia d'amore e patriottismo fino all'estremo sacrificio non ha altro da fare che scorrere le pagine di questo agile lavoro, che unisce alla ricerca storica più accurata, l'illustrazione di un sentimento che va oltre il tempo e lo spazio: l'amore. 

10/04/12

ANDREA BARONI, L'UOMO CHE SUSSURRAVA ALLE NUVOLE

L'appuntamento è per martedì 17, ore 18, salone Di Liegro di palazzo Valentini, in via IV Novembre 119. E' in programma, infatti, a cura della casa editrice EdiLazio, la presentazione del libro d'una giovane collega, Annalisa Venditti, dal titolo accattivante: "Andrea Baroni, il cavaliere delle rose e delle nuvole".
Sono previsti gli interventi dello scrittore e autore Rai Enzo Cicchino, dello psichiatra e scrittore Vincenzo Maria Mastronardi, noto per le sue frequenti apparizioni in programmi tv, e del metereologo Paolo Sottocorona, che ci aggiorna sulle previsioni del tempo dagli schermi de La 7. Presenti, ovviamente, il generale Baroni, classe 1917, ma ancora in gambissima, e l'autrice.
Il compito di moderatore è affidato al giornalista e scrittore Willy Pocino.
Il lavoro di Annalisa Venditti, che ho avuto il piacere di conoscere in occasione degli esami per l'abilitazione all'esercizio della professione giornalistica, all'Ordine nazionale, da lei brillantemente superati, nasce da una ricerca storica sui militari italiani internati nei lager tedeschi dopo l'8 settembre del 1943.
La Venditti, da anni, dedica tempo e passione alla ricerca delle storie di nostri soldati che patirono le sofferenze dei campi di concentramento, tra loro anche Baroni, che ebbe come compagno di prigionia anche Giovannino Guareschi, popolare per aver dato vita alle figure di don Camillo e Peppone, il sindaco comunista della Bassa emiliana. La giovane giornalista anche alla tesina presentata agli esami orali ha voluto dedicare uno studio particolare, raccontando la vicenda dei prigionieri che riuscirono, con mezzi di fortuna, a far nascere nel lager un giornale che Annalisa, con la cura d'un archeologo, ha riportato alla luce.
Due generazioni a confronto, per la prima volta Baroni sveste i panni del metereologo che per trent'anni ha parlato ogni sera agli italiani, abituandoli a "credere" nelle previsioni del tempo, quando i mezzi tecnologici erano quelli che erano. Il generale, ormai da tempo a riposo, e che porta con spavalda disinvoltura gli...anta, ha aperto le pagine del suo diario di guerra, quasi volesse farli uscire da una immaginaria cassaforte. Annalisa Venditti li ha raccolti, giorno dopo giorno, e ne è venuto fuori un libro che potremmo definire a metà tra la rigorosa ricerca storica e lo sforzo di fantasia, senza mai scadere nell'ovvio.
Baroni non ha mai smesso di portare nel taschino della giacca la targhetta metallica col numero di riconoscimento da internato, il ricordo vivo e presente di quel tempo offerto alla patria in armi, senza mai perdere la dignità di uomo. Finita la guerra, Andrea Baroni è tornato ad essere il "cavaliere delle nuvole" e lo è ancora.

07/04/12

C'ERA UNA VOLTA ROMA LADRONA, RIVOLGERSI IN VIA BELLERIO

C'è una strana aria in questi giorni negli ambienti politici della Capitale, invasa, come al solito, da comitive di turisti che, per fortuna, la scelgono ancora come meta delle vacanze pasquali. Nessuno si aspettava, anche se da qualche parte la voce, quasi un sussurro, era uscita di una inchiesta sui soldi della Lega, che il caso deflagrasse in maniera tanto violenta.
Dopo il tesoro della Margherita "inghiottito" dal cassiere Lusi, che dai giudici ci manda anche la moglie, dopo i pettegolezzi sulla gestione del patrimonio dell'ex Alleanza nazionale, ereditato a sua volta dal vecchio Msi di Almirante, pochi avrebbero sospettato che i milioni erogati dallo Stato alla Lega-partito venissero gestiti così come pare facesse questo tesoriere, il Belsito dalla faccia che mi ricorda quello d'un commerciante di suini della bassa Padana.
Che poi ci finisse in mezzo anche la 'ndrangheta, che a quanto pare ormai è dovunque, per la gioia del procuratore Pignatone che promette di darle filo da torcere anche a Roma e dintorni, chi l'avrebbe mai immaginato?.
Bossi dice che non si farà dimenticare, e su questo siamo disposti a giurare, qualche dito medio alzato e qualche rutto al microfono d'una spaurita collega televisiva ci verranno offerti, ma non penso che il popolo leghista, gente sana, che ha creduto in lui come fosse il Messia, sia disposta a giustificarlo, una volta che l'opinione pubblica verrà messa al corrente di tutto quanto c'è nelle carte di chi sta indagando.
Naturalmente, si parla di complotto, di tradimenti, mentre Bobo Maroni, ancora scortatissimo come fosse ministro in carica, viene subissato dagli insulti di chi lo ritiene il regista di questa operazione di demolizione del mito Bossi.
I giorni che verranno diranno, ma per il Carroccio è una brutta botta. Di tutto questo trambusto vuole approfittare Di Pietro, per giocarsi la carta del referendum per l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Prevista ressa ai gazebo per la raccolta firme. Ma anche l'ex magistrato di Mani Pulite potrebbe avere qualche sorpresa, se qualcuno andasse a ficcare il naso sulla gestione delle casse di IDV. Non è una Pasqua serena per tanti italiani, alle prese con difficoltà economiche senza precedenti e anche la categoria dei giornalisti non se la passa tanto bene, con testate che chiudono, altre che "razionalizzano" e altre che fingono crisi per nascondere magagne gestionali. Ma questa è altra storia, di cui vi parlerò prossimamente. Il mio blog non chiuderà. Se Dio lo vorrà.

26/02/12

L'AGGUATO GIUDIZIARIO A GIACOMO MANCINI NEL LIBRO DI PAOLINI E KOSTNER

Lampi di prima e seconda Repubblica, nella serata romana al teatro Quirino, a pochi passi da Montecitorio dove, per tanti anni, Giacomo Mancini, leader socialista, ministro, sindaco di Cosenza, fu uno dei protagonisti della vita politica italiana.
L'occasione di ritrovarsi, per politici, uomini di cultura, giornalisti, nostalgici del garofano, la presentazione del volume, curato dall'avvocato Enzo Paolini e Francesco Kostner, con la prefazione di Giampiero Mughini, che reca un titolo estremamente azzeccato "Agguato a Giacomo Mancini".
E' la ricostruzione di una tormentata vicenda giudiziaria che ha visto sul banco degli imputati l'allora sindaco di Cosenza, che da poco aveva lasciato la Camera, accusato di collusione con le cosche della 'ndrangheta, dalle quali, secondo l'impostazione data dai Pm della Dda di Reggio Calabria, avrebbe ricevuto negli anni appoggio elettorale.
Paolini, assieme ai colleghi Sorrentino e Gallo, ha assistito Mancini per tutta la durata dei processi, col primo grado, e condanna, pesante, a Palmi, e proscioglimento in Appello, a Catanzaro. Il libro ci consegna, oltre ad una puntuale rivisitazione di tutti i momenti dell'indagine, con il contributo dei pentiti, un ritratto di Giacomo Mancini del tutto inusuale, offre al lettore aspetti del carattere, del lato umano dell'importante uomo politico, autentico leader di livello nazionale, il maggiore che la Calabria abbia mai espresso.
Per l'occasione, davanti ad una platea attenta e, per quelli che hanno conosciuto Mancini, anche momento di commosso ricordo, Paolini e Kostner hanno invitato personaggi del calibro di Gianni De Michelis, Tiziana Maiolo, oltre allo stesso Mughini, che con il politico cosentino, negli anni ebbero rapporti diversi, spesso contrastanti, ma che non hanno potuto fare a meno di illustrarne la straordinaria figura di "cavallo di razza" della politica nazionale. Presente anche la senatrice Rosa Villecco Calipari, nipote di Giacomo Mancini.
Non c'è dubbio che l'anziano esponente socialista, che alla testa di una sua lista aveva vinto le elezioni comunali, diventando sindaco di Cosenza, venne "azzoppato" dalla richiesta d'arresto non accolta dal Gip della Procura e durante la sospensione condannato a Palmi.
Gli autori riservano un particolare riferimento all'appassionata opera dell'avvocato Sorrentino, prematuramente scomparso, ed alla saggia e giuridicamente preziosa presenza del professor Gallo. Una strategia difensiva cui lo stesso Mancini che, non dimentichiamolo, era avvocato, diede il suo contributo con suggerimenti, scambi spesso polemici di opinioni, insomma, faceva venir fuori quello che era il carattere dell'uomo, che ha contraddistinto tutta la sua parabola ai vertici del partito poi distrutto dalla Tangentopoli in era craxiana.
Ho letto tutto d'un fiato questo bel lavoro di Paolini e dell'amico Francesco Kostner, e lo consiglio a chi di Mancini ha conosciuto l'aspetto politico, ma non la caratura umana e si renderà conto che di un vero e proprio agguato contro di lui si trattò. Ne uscì vittorioso ma provato nel fisico, cosa che gli impedì di portare a compimento il suo progetto di sindaco che voleva fare di Cosenza, la città che amava, una capitale moderna, al centro di attività culturali e imprenditoriali. Per il momento quello di Mancini è rimasto un sogno.

04/02/12

E IL SINDACO ALEMANNO, ALLA DECIMA INTERVISTA GETTO' .....LA PALA

Roma sotto la neve, uno spettacolo straordinario
Veleno dopo la nevicata che, a distanza di tanti anni da quella resa immortale dalle note della splendida canzone di Franco Califano, superbamente interpretata dalla grandissima Mimì, ha ricoperto Roma d'un candido manto.
Il sindaco Gianni Alemanno, che i suoi critici non esitano a chiamare Aledanno, e il successore di Bertolaso alla Protezione Civile, il prefetto Gabrielli, che ha già le sue grane con la storia della Costa Concordia, se le sono date (a suon di dichiarazioni) di santa ragione, cercando di addossare l'uno sull'altro le responsabilità del caos in cui la Città Eterna è piombata quando le strade si sono bloccate, i mezzi pubblici pure, i treni manco a parlarne.
Mentre Gabrielli ha affidato le sue considerazioni ad una breve dichiarazione, il sindaco, saltellando da un collegamento all'altro sui canali Rai e delle private, ripetendo lo stesso ritornello ("non siamo stati informati bene") ha difeso l'amministrazione capitolina da accuse per la maggior parte fondate, mentre in silenzio è rimasta la governatrice del Lazio, la Polverini solitamente ospite fissa di vari programmi.
Ad un certo punto, il buon Gianni, incalzato da una cronista non tanto ....morbida, ha gettato la spugna, anzi la pala ed ha invitato i cittadini a raggiungere le piazze di Roma e impugnare le grosse pale adatte a rimuovere la neve e aiutare i volontari a toglierla dalle strade, altrimenti lunedì, alla ripresa delle attività, saranno dolori.
E pensare che solo qualche minuto prima, in altra intervista, con un gruppo di cittadini alle spalle, aveva assicurato che entro la giornata la città sarebbe stata "rimessa a posto". Quindi, come recita un detto popolare delle mie parti (e credo anche d'altrove) il cetriolo ha raggiunto quel posto assai delicato dell'ortolano.
Finisco di scrivere e vado anch'io a cercare una di quelle duemila pale che il Comune ha messo a disposizione di cittadini volenterosi. Avverto che non ho i calli alle mani, facendo il giornalista sono poco adatto, anche per l'età, alle fatiche materiali. Ma questa storia della nevicata a Roma è classica di questa Italia che, quando succede qualcosa di grave, non si sa mai di chi è la colpa. Nevica, governo Monti.

01/02/12

SCALFARO, IL PRESIDENTE CHE HO SCOPERTO PIACE ANCHE AI GIOVANI

Una delle tracce assegnate ai più di trecento candidati agli esami di Stato per giornalisti professionisti, che si sono svolti il 31 gennaio a Roma, riguardava la figura di Oscar Luigi Scalfaro, ex presidente della repubblica scomparso qualche giorno fa.
Non sono stati pochi i futuri giovani colleghi che hanno scelto, tra i vari temi proposti dalla commissione, proprio questo su un personaggio che è stato protagonista della politica italiana per più di mezzo secolo.
L'ultima volta che ho avuto l'onore di scambiare qualche chiacchiera con Scalfaro è stato alcuni mesi fa nella sala della lupa di Montecitorio dove mi ero recato per assistere alla presentazione di un volume su un'altra figura importante per il nostro Paese, Randolfo Pacciardi. Un capitolo del libro è stato curato dal collega Paolo Palma, già mio compagno di viaggio nella straordinaria avventura del Giornale di Calabria.
Scalfaro fece un intervento di straordinaria lucidità, lui che con Pacciardi aveva intrattenuto un rapporto non soltanto politico, ma anche umano, nonostante spesso le loro idee non combaciassero e li portassero ad avere scontri piuttosto aspri.
Alla fine,circondato da coloro che avevano assistito alla presentazione,con Gianfranco Fini che aveva moderato gli interventi, Scalfaro s'intrattenne piacevolmente con chi,come me, non lo  vedeva da anni (l'ultima volta era stato a Catanzaro, quando era ministro dell'Interno) in occasioni pubbliche.
La Calabria era vicina al suo cuore e, grazie al collega e amico Rosario Cananzi, che mi ha aperto il suo archivio, ho rivisto una foto che ritrae l'allora presidente della repubblica durante una visita a Reggio mentre conversa con monsignor Aurelio Sorrentino che non mancava mai di visitare quando si trovava nei paraggi. Sembra che tra i due ci fosse un rapporto risalente agli anni della gioventù e che era proseguito nel tempo. Chi è stato testimone di questi incontri è don Antonino Denisi, che di Sorrentino fu prezioso segretario, ma sono certo che,conoscendolo, non ne rivelerà mai il contenuto. Certamente erano incontri molto affettuosi, e dalla foto di Cananzi si capisce bene. 
Oscar Luigi Scalfaro era conosciuto anche dai giovani che, forse, quando lui era presidente, erano poco più che bambini, ma che certamente lo ammiravano: leggendo qualcosa di quanto hanno scritto me ne sono convinto. C'è una forte richiesta di figure come l'ex presidente in questi momenti, ma all'orizzonte non se ne vedono molte, anzi quasi nessuna.

28/01/12

MORELLI E L'AMICO NIC, TORBIDE STORIE DI SERVIZI SEGRETI MA NON TROPPO

Il consgliere regionale Morelli: è in carcere
C'è veramente da restare sconcertati dopo quanto sta emergendo dall'inchiesta dei magistrati della Procura di Milano, in collaborazione con quelli di Reggio Calabria, che finora ha portato in carcere un magistrato, un esponente di primo piano della politica regionale, un avvocato, e disarticolato un temibile clan, quello dei Valle-Lampada che ha "esportato" negli anni dalla città d'origine i metodi più violenti di sopraffazione, con il commercio della droga, le estorsioni, l'inserimento nella politica e nel commercio legale.
Le ultime indiscrezioni, dopo gli arresti di finanzieri infedeli, e di altri soggetti, riferiscono di contatti tra il consigliere regionale (speriamo che presto sia un ex) Franco Morelli, ex braccio destro di Chiaravalloti, poi diventato un fedelissimo di Scopelliti, e uomini del servizio segreto militare, l'ex Sismi.
E' spuntato il nome del generale della GDF Nicolò Pollari, ora consigliere di Stato, con buone entrature negli ambienti dell'università mediterranea di Reggio Calabria dove, credo, sia ancora presente in qualità di docente a contratto, nominato, se la memoria non m'inganna dal rettore Bianchi e poi confermato da Giovannini. Allora, Pollari, era il direttore del Sismi, e non era ancora incappato nella vicenda Abu Omar. Uno dei suoi uomini di punta, Marco Mancini, si occupò del mancato attentato a palazzo San Giorgio, quando in uno dei gabinetti, venne trovato dell'esplosivo. Da allora Scopelliti, che era sindaco, ebbe una scorta, che ancora mantiene, nonostante diversi pentiti abbiano verbalizzato una sua certa "vicinanza" a personaggi della 'ndrangheta. Noi, che siamo garantisti fino in fondo, non ci crediamo, almeno fino a un certo punto. Il segreto professionale vale anche per i giornalisti, pure per chi, come me, ha abbandonato da tempo la trincea e segue solo da lettore le vicende giudiziarie. resta la curiosità, dopo una trentina d'anni di frequentazione giornaliera del palazzo di giustizia.
Su ruoli, persone, "amici" dei Servizi, avrei da dire molte cose, ma non è il momento, vediamo che piega prendono gli eventi, poi, chissà......
Non dovrebbe essere difficile, a meno che Morelli non abbia millantato queste sue amicizie.....segrete, arrivare all'identificazione dell'amico Nic. Pollari l'ho incontrato per caso giorni fa in un bar di Roma, con guardia del corpo al seguito, comprava pasticceria siciliana, per la verità l'ho visto alquanto dimesso, il potere logora chi non ce l'ha più.
Alla prossima puntata.

24/01/12

COMMISSARI AL LAVORO PER "RIPULIRE" PALAZZO SAN GIORGIO, QUALCUNO PREPARI LE VALIGIE

RIUNIONE IN PREFETTURA, SI PARLA  DI MAFIA
Ormai dovrebbe essere questione di tempo, quello necessario ai commissari nominati dal prefetto Varratta per preparare la loro relazione in base alla quale il ministro dell'Interno, prima, la presidenza della repubblica, poi, decideranno lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria.
Sulla base di precedenti, infatti, in nove casi su dieci, quando l'invio della commissione d'accesso viene disposto per sospetto inquinamento di natura mafiosa, la sorte del civico consesso è segnata, nonostante i proclami ottimistici di chi spera in qualche "santo" romano che, al momento, ha ben altro cui pensare.
Leggendo le dichiarazioni del sindaco Arena, ampiamente pubblicizzate sui fogli locali c'è da restare quantomeno perplessi e chiedersi se il primo cittadino c'è o ci fa, a voler citare un detto popolare, la figura che ci viene in mente è quella del cosiddetto "meravigliato della grotta", colui il quale sembra non rendersi conto di quale città governi.
Parlare di fallimento del "modello Reggio" di cui il governatorissimo Scopelliti, orfano di Silvio, rivendica il copyright, significa incorrere nelle ire dello stesso sindaco e della schiera di "dichiaratori di professione" (termine caro al collega Varano) sempre pronti ad impugnare le armi (dialettiche, ovviamente) e sparare contro i soliti detrattori, cioè quei giornalisti che non si limitano a pubblicare le veline e le autointerviste, ma vogliono entrare dentro le notizie e soprattutto fare gli interessi d'una città che continua a pagare il prezzo di anni di malgoverno.
Non è facile spiegare a chi vive lontano da Reggio i come e i perchè la città abbia visto sfumare, come in un sogno mattutino, quella breve ma entusiasmante primavera che aveva fatto credere ai cittadini che ormai le cose fossero cambiate, per sempre.
Purtroppo, non è andata così, e adesso in quel palazzo che il compianto Michele Musolino non aveva esitato a definire come il più sporco della città, tornano i commissari, si riaprono vecchi scenari: chi non ricorda il commissario che teneva la pistola sulla scrivania. Le cosche che, nonostante i durissimi colpi ricevuti in questi ultimi anni, continuano ad essere molto presenti sul territorio, da tempo attraverso loro rappresentanti diretti, sono dentro l'edificio di piazza Italia: lo Stato ha il dovere di scovarli e buttarli fuori. Se ci riuscirà, è possibile che Reggio ritrovi i suoi momenti migliori, con i reggini liberi di scegliere chi deve amministrarli, senza personaggi telecomandati da Catanzaro e da Roma.
E adesso basta con le "riflessioni coscienzionali" (il neologismo non è nostro, lascio ai lettori ogni commento) del sindaco Arena, se tutto è in regola, ne prenderemo tutti atto, con grande sollievo.

01/01/12

BUON 2012, MA ADESSO NON CI RESTA CHE AGGRAPPARCI ALLA SPERANZA


Uno dei tanti poveri che vivono in strada
L'anno appena iniziato s'apre nel segno dell'incertezza, gli italiani cercano di disegnare il loro futuro e s'aggrappano alla speranza, altro da fare non c'è. Abbiamo sentito le parole, quasi fosse un sermone in chiesa, del presidente Monti e ognuno di noi ha pregato che la ricetta studiata dal Governo dei tecnici, o dei professori, riesca a far guarire il Paese da una crisi che pare irreversibile.
C'è ormai un'Italia a due facce: quella dei vecchi e dei nuovi poveri, basta andare in giro per accorgersene, anche nelle cosiddette città d'arte, col turismo che aiuta a sopravvivere; c'è poi un'Italia del lusso sfrenato, delle auto da trecentomila euro, degli yacht, delle crociere intorno al mondo, quattro mesi da sogno, alla faccia dello spread, tanto i soldi sono al siicuro da qualche parte.
Una vecchietta in un bar di Roma vuol prendere un caffè, qui costa "ancora" 80 centesimi, ma lei ne ha solo 50, il cameriere prende dalle mance (sono calate anche quelle) la differenza e mette lo zucchero nella tazzina.
Anziani costretti a rubacchiare qualcosa nei supermercati, dove i banconi per fortuna sono ancora stracolmi di merce, ma anche questo settore lamenta cali di consumi preoccupanti. La situazione è questa, non si vede come in breve tempo possa esserci quella svolta, dopo la "discontinuità" (che brutta parola, usata spesso a sproposito) che ha portato al cambio della guardia a palazzo Chigi. Giorgio Napolitano, come un classico nonno italiano che parla ai nipoti, ha fatto un discorso dai toni severi, ma non ha voluto più di tanto allarmare il popolo che s'appresta a vivere un mese di gennaio assai difficile.
C'è poco da discutere: questi sacrifici che a tutti (o quasi) vengono chiesti potrebbero non bastare per rimettere in rotta la sconquassata navicella italica, e allora sarebbero guai, ma, ottimista fino in fondo come sono, credo che l'Italia potrà rialzare la testa e di quanto pagheremo oggi noi potrebbero beneficiare i nostri figli e nipoti.
Il 2011 ci ha lasciato senza tanti rimpianti, sembra l'altro ieri quando salutavamo l'ingresso nel nuovo secolo: chi ha fatto largo uso di botti, nonostante i divieti e il ripetersi di un rito stupido, va anche giustificato, come quel napoletano che, gettando dalla finestra un utensile, ha esclamato, rivolgendosi al nascente 2012: "Chist è cchiù fetente e chillu". Sarà una profezia esatta? Spero proprio di no.