20/02/14

QUANDO LA LUCE INSEGUE L'AURORA SUI PRATI DELLA SERA NELLE LIRICHE DI GIUSEPPE LIBERTO

Vivere è ricominciare la vita ad ogni istante. Non si tratta di uno slogan o di una frase buttata giù per voler sottolineare come in questi tempi difficili sia faticoso cominciare le proprie giornate.
Sono i versi di una delle liriche che monsignor Giuseppe Liberto, uomo di Chiesa e insigne musicista, direttore della cappella musicale pontificia "Sistina" ha affidato alle sue più recenti produzioni artistiche. Ho avuto la fortuna, del tutto casualmente, grazie ad una amicizia fatta durante l'udienza papale del mercoledì,di entrare in possesso de "La luce che insegue l'aurora" e "Sui prati della sera" nei quali Liberto ha riunito , come fiori  raccolti in un campo a primavera, quelle che lui stesso definisce meditazioni poetiche.
Sono poesie frutto d'una meditazione che accompagna la vita di un uomo che, mettendosi al servizio della Fede cristiana, non ha abbandonato il grande amore per la musica, il canto. E come fa quando trasferisce sul pentagramma le sue idee che diventano musiche sublimi, scrive versi che raccontano le meraviglie del creato, cose semplici come il canto degli uccelli, il tramonto, il freddo degli inverni, i fiori che sbocciano prepotenti sotto il primo sole.
Giuseppe Liberto vive queste emozioni con un candore che meraviglia, diremmo quasi infantile, se non fosse per la profondità intellettuale che da queste liriche, fatte a volte di poche ma intense righe, promana.
Spesso preghiera e canto s'incontrano, come la cruda realtà si trova a confronto col mistero della Fede. Nel caso del Nostro, poeta e musicista, amante dell'arte e della natura, questo rapporto quasi simbiotico non poteva che sfociare nelle sue liriche, un sublimato di leggerezza, come foglie portate via dal vento e che non si sa dove vadano a finire. Resta il piacere d'una lettura che è nello stesso tempo gioia e soddisfazione, perchè la poesia è anch'essa vivere, al di là di ogni confine.

18/02/14

SARO MAMMOLITI PENTITO PER AMORE SI E' CONSEGNATO, IL RICORDO DI UNO SCOOP SENSAZIONALE



Saverio "Saro" Mammoliti
Saro Mammoliti, si riparla di lui dopo la decisione di riconsegnarsi alla giustizia. Si era allontanato da una località del Lazio dove, da pentito, stava scontando ai domiciliari una pesante condanna per estorsione. Da una decina d'anni, l'ex play boy di Castellace ha, come si suol dire, saltato il fosso diventando un collaboratore di giustizia ritenuto credibile, al punto da godere dei benefici che la normativa prevede per coloro i quali, dopo aver ricoperto ruoli di primo piano all'interno delle organizzazioni criminali, decidono di collaborare.
Ancora non si sa il motivo che lo ha indotto ad allontanarsi dal suo rifugio protetto e tornare in Calabria, in quello che una volta era il suo territorio, dove ha potuto fare una lunghissima latitanza. Oggi, leggendo le cronache che lo riguardano, ho avuto modo di vedere anche una delle ultime foto segnaletiche che ci consegnano un uomo che dimostra più dei suoi settantadue anni, molti dei quali passati in galera.
Il mio incontro con lui risale al 1980 quando il boss, ricercato da tutte le polizie d'Europa, e anche oltre Oceano, visti i suoi contatti con personaggi di Cosa Nostra e della mafia americana e canadese, decise di concedere una intervista a due giornalisti, il sottoscritto, allora redattore del Giornale di Calabria, e Giampaolo Rossetti, del settimanale Oggi, col quale anch'io collaboravo.
La troupe d'una televisione francese da giorni cercava un contatto con Saro, offrendo anche un lauto compenso, ma lui, grazie ai buoni uffici del suo legale dell'epoca, Domenico Alvaro, del Foro di Palmi, si convinse ad incontrarci. Rossetti, scomparso qualche anno fa quando era diventato vice direttore del TG5, visse praticamente una settimana in Calabria, e ogni notte, partivamo senza una destinazione, basandoci su indicazioni generiche che Alvaro ci dava, da una parte all'altra della Piana, con lunghe soste in bar, piazze e luoghi sperduti dove, però, il nostro uomo non si faceva vivo.
In giro si respirava l'aria del Natale, dalle case veniva fuori il profumo dei "petrali" dolci caratteristici che le massaie preparano per le Feste. Poi, ad un tratto, un ragazzo, a bordo d'una moto, un cenno col capo e noi dietro, su un'auto che avevano preso a noleggio. Arrivati nei pressi di Castellace fummo invitati a lasciare la macchine nel fitto di un agrumeto, non visibile dalla strada. E lui arrivò, sorridente, in giacca di pelle e scarponcini, pantalone di velluto. Il fotografo, credo si chiamasse Dolcetti, scattò subito e continuò a farlo anche quando Saro c'invitò ad accomodarci attorno a un improvvisato focolare, sotto una rudimentale tettoia, era questa la scena che aveva preparato, novello teatrante, per l'incontro-racconto che un paio di giorni dopo venne fuori su Oggi e sul quotidiano diretto da Piero Ardenti, uno scoop sensazionale, che fece morire di rabbia i colleghi di altri giornali che, non avendo null'altro da dire, tra una crisi biliare e un'altra, scrissero che io e Rossetti eravamo due favoreggiatori della 'ndrangheta. A me venne una sola risposta da dare, quella di Humprey Bogart, nelle vesti di cinico cronista americano: "E' la stampa bellezza!".
 Quell'incontro, cui ne seguì qualche altro, senza intervista però, resta uno dei più emozionanti della mia lunga carriera di cronista, poi Saro l'ho perso di vista, ma ne ho seguito i movimenti attraverso le cronache e non nascondo di essere rimasto colpito dalla decisione di diventare un collaborante, un infame. Qualcuno mi ha detto che c'è di mezzo il cuore dell'ormai anziano play boy, una giovane donna diventata poi la sua compagna, lo avrebbe indotto a compiere un passo tanto difficile. Se così è stato, non me la sento di condannarlo, gli auguro che gli anni che gli restano possa goderseli in libertà accanto all'ultimo amore. 

13/02/14

NOTA PER GLI AMICI LETTORI, CHE HANNO CONTINUATO A SEGUIRMI

Un annuncio per tutti coloro i quali, in questi anni hanno seguito le mie modeste esercitazioni da vecchio cronista da.......marciapiede. Riprendo ad usare il mio blog che, nonostante il lungo silenzio dovuto a nuovi impegni romani, hanno continuato a seguire, con una passione degna di miglior causa.
Raccolgo, pertanto, l'invito amichevole che in tanti mi hanno rivolto, perchè io riprendessi a scrivere le mie note un pò tra la cronaca e il costume. Gli spunti, specialmente quando si parla della mia amata Reggio, non mancano. Una cosa è certa, riprendo il mio discorso come sempre, da uomo libero, che ha dedicato gran parte della sua vita alla professione tanto amata, e che ancora continua a lavorare al servizio della categoria, dei giovani colleghi che vivono un momento tra i più difficili della storia della stampa nel nostro Paese.
Le mie energie, fino a quando il Signore me lo consentirà, le spenderò per chi si avvicina ad una professione tanto difficile quanto affascinante. Per il resto, ho avuto e avrò un solo padrone: la verità.

TERRA RIEMERSA, UN VIAGGIO NEI SENTIMENTI DI CHI CERCA E NON RITROVA LE SUE RADICI


Carmelo Asaro

Quello che ognuno si chiede, quando si accinge alla lettura di un nuovo romanzo, è quanto di noi possiamo trovarvi, quali sentimenti arrivano, riflessi dalla penna (ormai dalla tastiera del pc) dello scrittore. Ebbene, in "TERRA RIEMERSA" di Carmelo Asaro, ho recuperato una parte di me stesso, uno scampolo della vita vissuta, con importanti analogie.
Anch'io, prima che il mestiere di giornalista, col suo scorrere incessante, nel turbinio delle notizie, le notti insonni, le ansie e le paure, gli amori contrastati e quelli impossibili, mi prendesse totalmente, come un serpente tra le sue spire, ho dedicato alcuni anni all'insegnamento, ad impartire, come era solito dire una volta, il sapere ai giovani.
Nel personaggio centrale del romanzo di Asaro, quel Vittorio che, novello Omero di foscoliana memoria, cerca tra i resti del passato, tra le vestigia dei nostri avi, un senso alla sua vita, potrei benissimo ritrovarmi. E lo cerca proprio tornando alle sue radici, portandosi dietro un pesante fardello di illusioni ormai perse, di sconfitte le cui ferite non guariscono, della somma dei fallimenti sentimentali.
Il romanzo, tra l'intrecciarsi di storie e personaggi, che appaiono e scompaiono sulla scena, con pirandelliana frequenza, tra emozioni e rimpianti, ci riporta a quella Sicilia che qualcuno, rifacendosi al Verismo, a Tomasi di Lampedusa, a Vitaliano Brancati, per approdare al linguaggio tanto vero quanto sconcertante delle creature di Camilleri, finisce col trovare oleografica, a volte stantìa, ma pur sempre misteriosa e affascinante. Carmelo Asaro, intellettuale preso solo in prestito dalla giustizia, che amministra in maniera  disincantata,  della sua terra, aspra e solitaria, come la sua gente, si porta dietro una certa ruvidezza del carattere che lo porta ad aprirsi soltanto quando è certo dell'amicizia, dei sentimenti più autentici. Vittorio, il professore-archeologo, torna alla ricerca delle radici e si accorge di quanto il tempo abbia lavorato per togliere di mezzo quei lati d'una umanità dolente alla quale era pur affezionato, tra antichi riti familiari e solidi legami. Anche le figure di donne che, sapientemente, l'autore colloca tra le righe del suo racconto, come preziosi camei, quali gioielli sugli abiti delle spose di paese, sono inedite, a volte tumultuose nel carattere, gelose e aggressive come tigri ferite, ma pur sempre capaci di regalare indimenticabili momenti d'amore.
Terra riemersa è una gemma preziosa, diremmo,senza dubbio quanto di meglio possa esprimere un siculo che ha scelto di vivere altrove, come se si sentisse tradito da quella terra che però riemerge, novella Atlantide, dal passato e lo avvolge in una nebbia sottile di dolci ricordi e fatali incontri, mentre resta l'illusione del ritorno che non avverrà più, mai più. Perché adesso Vittorio, con i suoi enigmi irrisolti, è già in cammino.