31/08/08

UNA REGGINA DA.....SOGNO (O E' REALTA'?)

La pasta fatta in casa con le zucchine e i gamberetti di nassa per primo, la frittura di aguglie freschissime per secondo, contorno, vino bianco, frutta e, per finire, il gelato di Cesare, gusto zuppa inglese.
Dopo questa sbafata domenicale, tutti in poltrona per la partita della Reggina su Sky, dalla "fatal Verona" (reminiscenze di scuola) dove non siamo mai riusciti a vincere, e neppure stavolta ce l'abbiamo fatta.
Dopo dieci minuti, il tempo di vedere come Campagnolo riusciva a salvare miracolosamente un paio di gol fatti, ed il sonno è calato inesorabilmente. Ed è cominciato il sogno: li ho rivisti tutti i ragazzi di Maestrelli su quel campo stregato dove, una volta, in serie B, la partita fu rinviata al giorno dopo per una nebbia che così fitta non l'avrei più rivista. Ed anche quella volta non riuscimmo che a portare a casa un pareggio.
Tommaso sul guizzante Pellissier avrebbe messo Jerry Bello, che lo avrebbe francobollato (una volta si diceva così) inesorabilmente, mentre sul tornante di colore, Luciano, ex Heriberto, avrebbe piazzato Italo Alaimo, con la sua pelata in continuo movimento.
Florio, passo lento, ma tanto cervello, dietro le due punte Ferrario (soprannominato l'oro di Dongo, dal suo paese d'origine) e il caracollante (si diceva anche così, ai miei tempi) Gino Vallongo, che di testa le avrebbe prese tutte.
In porta, Piero Persico, forse non si sarebbe fatto sorprendere da quel tiraccio di Italiano, ma anche lui, qualche papera, di tanto in tanto la faceva.
Quando ho cominciato a russare, uno degli ospiti mi ha toccato un piede e allora ho spalancato gli occhi, giusto in tempo per vedere la D'Amico (un pò ingrassata, vero?) confermare i risultati e vedere lì, proprio laggiù, all'ultimo banco della classifica, la Reggina di ora. E quella del sogno? Chissà dove sarebbe stata, alla prima giornata con quei giocatori che la A a Reggio l'hanno solo sfiorata e, forse, come me, l'hanno vista in sogno.

30/08/08

S.U.A., C'E' IL CAPOSTAZIONE, MA ACCETTERA' ?



La notizia, come si suol dire, era nell'aria, ma ora che è arrivata la conferma, siamo tutti più tranquilli: il presidente Loiero, dopo essersi consultato con i componenti la sua Giunta che somiglia sempre più ad un.... autobus (ogni tanto qualcuno scende e sale un altro) ha deciso di affidare ad un noto magistrato, sempre pronto a rilasciare interviste, quando in Calabria accade qualcosa di brutto, la guida, non dell'autobus, ma della Sua, la cosiddetta stazione unica appaltante, che dovrebbe porre fine a tutti gli imbrogli, impedire che la mafia s'insinui in tutti gli affari, insomma una vera panacea.
Non sappiamo se il noto magistrato abbia o meno sciolto la riserva (tra un'intervista e l'altra deve pur lavorare) e se accetterà il prestigioso incarico, rinunciando ovviamente ad ogni prebenda. A Loiero consigliamo anche di consultare qualche suo amicone giornalista che di appalti e traffici vari una certa esperienza deve pure averla, ben addentrato come è nei meandri regionali.
Siamo curiosi di sapere come la vicenda evolverà e quanto questa Sua inciderà sulla lotta alle infiltrazioni della 'ndrangheta nel mondo miliardario degli appalti, in ogni settore, dalle opere pubbliche alle campagne pubblicitarie.
Per ora è stato scelto il capo stazione: se dovesse rifiutare il designato, il buon Agazio potrebbe cercare anche nell'ambiente giornalistico dove ci sono ex ferrovieri ed autisti che potrebbero fare al caso suo.

29/08/08

A POLSI LA VERGINE ACCOGLIE TUTTI



Verso la fine d’agosto, quando il sole brucia così tanto da spaccare le pietre, nei letti asciutti delle fiumare, i sentieri che salgono verso Polsi brulicano.
Dall’alto, è come vedere una lunga fila di formiche nere, da cui s’alza una nube di polvere.
Quell’agosto del 1943 gli americani erano sbarcati a Reggio da poco, nell’aria si sentiva nuovamente il profumo della libertà. A Polsi andarono a migliaia, reduci e sbandati, mutilati e mafiosi. Il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino, passato alla storia come “massaru Peppe”, aveva un solo militare a disposizione.
Per garantire l’ordine, in quella turba vociante di gente armata fino ai denti, distribuì sul campo incarichi, nominando marescialli, honoris causa, alcuni noti capibastone.
Non successe nulla, anche se la riunione della ‘ndrangheta si tenne come al solito, al “Serro degli zappini”, una radura nascosta da altissimi pini. Ormai da anni i mafiosi non tengono più la loro assemblea in occasione della festa della Madonna della montagna, in particolare da quando, l’ultima domenica d’ottobre del 1969, un manipolo di agenti di polizia e carabinieri, scoprì un gruppo di mammasantissima mentre stavano ascoltando il “verbo” di don Peppino Zappia, di Taurianova, assiso su un trono fatto di pietre.
Adesso, le cose sono cambiate, le riunioni dei capi della ‘ndrangheta degli anni Duemila si fanno in lussuosi alberghi di grandi città, o in ville con piscina, anche in Costa Azzurra.
Continua, però, la tradizione popolare. Il giorno della festa i pellegrini arrivano da tutte le parti nel segno d’una devozione che si osserva da secoli anche in Sicilia, nel solco d’una tradizione siculo-araba.
Da Ganzirri, a bordo di grosse barche, come raccontano in un loro saggio due giudici messinesi, Rocco Sisci e Franco Chillemi, si raggiunge Villa San Giovanni da dove, con altri mezzi, si sale a Gambarie prevalentemente a piedi. I fedeli, molti dei quali hanno da “sciogliere un voto”, arrivano stremati davanti al monastero edificato nel Settecento per volere del vescovo Del Tufo, sui resti di quello medievale.
La chiesa presenta tracce di complesse rielaborazioni architettoniche, avvenute negli ultimi tre secoli. Alla fine dell’Ottocento, il vescovo Macrì volle riordinare il santuario, vennero costruite le case dei pellegrini e restaurato il monastero.
Si possono soltanto immaginare le fatiche di coloro che dovettero trasportare i pesanti marmi per l’altare. Per il resto dell’anno, quando attorno a Polsi è soltanto silenzio, i “frati cerconi” che indossano un pesante saio d’orbace, vanno in giro per i paesi della Calabria, una volta cavalcando una mula, adesso in automobile.
In ogni paese hanno i punti di riferimento e, come narra Antonio Delfino in “Gente di Calabria”, raccolgono oboli in denaro e in natura.
Il tutto poi viene distribuito in occasione della festa del 2 settembre. Tra la folla ondeggiante dei fedeli, come in preda a una sbornia collettiva, mentre gli organetti suonavano sfrenate tarantelle, si aggirava, giovanissimo, Corrado Alvaro che a Polsi e ai suoi riti dedicò uno studio.
Egli parla di pellegrini, ma prevalentemente di penitenti, con il capo cinto da corone di spine, “non mai stanchi e par che del lungo viaggio li rinfranchi la canzone dettata da un rapsodo occulto che è il più grande: l’anima del popolo”.
Alvaro descrive l’abbigliamento del pastore che suona la zampogna e gli spari, perché “in questa festa i fuochi artificiali non turbano le sacre ombre della montagna” mentre le donne strofinano la lingua sul pavimento e i muti gesticolano emettendo grida gutturali con la fede intensa che traspare dagli occhi.
Le madri tendono le braccia invocando, offrono le vesti dei loro piccoli alla Vergine. E’ tutto un popolo che invoca, spera e crede.
Il pellegrinaggio è nei ricordi di Fortunato Seminara: è il viaggio senza speranza di due donne, la metafora della Calabria delle baracche, della Calabria chiusa, angusta, oppressa, immobile.
La Madonna della montagna, che ha i lineamenti d’una contadina e tiene in braccia un robusto bambino, protegge buoni e cattivi. Spesso l’immaginetta insanguinata è stata trovata nelle tasche di uomini straziati dalla lupara, o nei rifugi dei latitanti.
L’hanno chiamata, perciò, la Madonna della ‘ndrangheta, ma non è così. Come ogni anno, si rinnova l’appuntamento di Polsi, sotto il suo manto la Vergine accoglie tutti, benefattori e assassini, uomini e donne con e senza peccato perché a Lei tocca il perdono.

NELLO VINCELLI, UNA VITA PER LA POLITICA

Un sabato mattina di fine agosto giusto nove anni fa, Sebastiano Vincelli, per tutti Nello, uomo di punta della politica reggina per molti anni, concludeva la sua lotta con un male incurabile.
Quel giorno, arrivato come al solito di primo pomeriggio al giornale, vi trovai il direttore che sapevo essere in ferie: ti sta cercando, mi disse il portiere. Entrato nella stanza, quasi nascosto nella semi oscurità, Nino Calarco mi apparve assai rattristato, con Vincelli aveva condiviso, oltre che l’esperienza del giornale nei primi anni di vita, anche quella parlamentare.
“Sarai tu a scrivere il pezzo, il ricordo nostro, avanti, mettiti al lavoro”.
Sinceramente sorpreso per questa grande prova di fiducia, data a me che con il direttore a vita non aveva rapporti facili, scrissi di getto l’articolo che in gran parte ripropongo ai lettori. Eccolo:
Reggio, nei primi anni Cinquanta, è una città che sta superando abbastanza bene i traumi del dopoguerra.
Dal ’52 la “Gazzetta” è nelle edicole, il fondatore, Uberto Bonino, col piglio del pioniere, decide che è il momento di tentare l’avventura in Calabria, secondo l’antica tradizione che vede Messina e la regione dirimpettaia impegnate in una sorta di scambio sinergico, in fatto d’informazione.
A Reggio affida la redazione, due stanzette in via Logoteta, a pochi passi da piazza Italia, al vulcanico Ciccio Liconti, assicuratore col pallino del giornalismo.
Con lui lavorano alcuni giovani di belle speranze: Nello Vincelli, vicino al mondo cattolico, dirigente nazionale dei giovani Dc, Renato Turano, che in seguito sceglierà di fare il bancario, Umberto Paladino, reporter di razza, che, passato alla concorrente “Tribuna del Mezzogiorno,” abbandonerà poi anche lui la professione.
Vincelli resta al giornale per un paio d’anni, ma si capisce che il suo destino è già scritto.
Grazie a uno sponsor che si chiama Amintore Fanfani, questo giovane mite, umile, che piace alla gente semplice, viene eletto, a neppure 27 anni, deputato, con più di quarantamila preferenze.
Reggio porta a Montecitorio, oltre a lui, Peppino Reale, austero professore di lettere, che vivrà anni dopo una breve parentesi da sindaco, e un chirurgo di fama, Antonino Spinelli, anche lui di Catona, il rione dove Nello Vincelli, nato in Sicilia (a Melilli, in provincia di Siracusa) ma reggino d’adozione, è venuto a vivere quando il padre, maresciallo dei carabinieri, vi si è trasferito.
Inizia per Sebastiano Vincelli, che continuerà a farsi chiamare Nello, una lunga carriera politica, ricca di soddisfazioni, ma anche costellata da qualche delusione.
Lui, nei momenti difficili, non s’è mai perso d’animo e ha continuato a vivere la sua vita per la politica, la politica come vita.
Deputato fino al ’76, poi senatore dal ’79 all’83, più volte sottosegretario, sempre presente nei vertici dello scudo crociato, amico dei più prestigiosi leader ma, sino alla fine, vicino a Fanfani, una fedeltà che in politica lo faceva apparire quasi come un marziano.
Nello Vincelli ha legato il suo nome a più di quarant’anni di vita politica in Calabria e a Reggio, la città che ha amato profondamente, il rione dove tornava sempre, nella casa a pochi passi dal mare dove ha atteso la morte con grande serenità, col conforto della Fede, l’assistenza delle due sorelle, del fratello, dei carissimi nipoti, rivolgendo per l’ultima volta lo sguardo al cielo azzurrissimo mentre davanti agli occhi calava inesorabile una nuvola nera.
Per lui la politica era tutto, ma la “Gazzetta” era il suo più grande amore. Le ultime energie le ha spese per l’associazione Anassilaos, che presiedeva, sempre prodigo di consigli, sempre disponibile al sacrificio.
Era, sin dalla costituzione dell’ente morale, consigliere della Fondazione Bonino-Pulejo. Un paio di mesi prima della morte, già provato dal male, parlammo a lungo, al telefono, aveva appena un filo di voce, ma era felice, perché poteva parlare della “sua” Gazzetta e per un attimo dimenticò l’appuntamento che la signora con in mano la falce “che pareggia tutte le erbe del prato”gli aveva fissato.
E parlammo anche di come prepararsi all’altra vita, lui che era cattolico osservante mi chiese cosa sarebbe stato opportuno leggere, oltre alle sacre Scritture, per affrontare il distacco.
Sussurrai due nomi: Manzoni e Bernanos, la conversione dell’Innominato e il “diario d’un curato di campagna”. Ho saputo che, negli ultimi tempi, erano la sua lettura preferita.
Se n’è andato così come era vissuto, in punta di piedi, al giudizio divino si è presentato con l’animo puro, di uomo sensibile e fermo nei suoi principi, politico capace e onesto, che sapeva dire le cose, senza alzare i toni.
Era ancora capace di farsi ascoltare, soprattutto dai giovani, in cui credeva, riuscendo a conservare quella freschezza di pensiero che è propria delle menti nobili.

QUALE FUTURO SENZA MEMORIA E IDENTITA'?

Egregio dott. Calabrò
Solo un attimo, per parlare di futuro e per dirle che sono veramente contento che lei abbia aperto un blog tutto suo nel contempo di farle sapere che sarei lieto di poterle indirizzare i miei pensieri disinteressati, sperando che gli stessi siano utili a quanti vivono nella nostra bella città, tanto vituperata quanto "sciacallata" da decenni di inutile e quanto mai infruttuosi dibattiti su quale deve essere il futuro della nostra città.
Penso, come lei, dopo averne viste e sentite di cotte e di crude su ciò che accade quotidianamente a Reggio che la vera comunità sia quella silenziosa e che la stessa abbia il diritto-dovere di far sentire la propria voce, purtroppo come lei ben sa è difficile esprimersi liberamente in questa città perchè il concetto di libertà passa esclusivamente o quasi sui binari del potere ed io questo non credo di averlo mai avuto né cercato, salvo quello della comunicazione interpersonale subendo continuamente lo sciacallaggio di coloro i quali il potere lo cercano con grande intensità in modo più o meno lecito, non per esprimere il vero senso della parola futuro ma per sciacallare continuamente la nostra debole comunità.
Come detto in qualche occasione credo seriamente che la vera storia di questa città si debba ancora scrivere, di certo le nuove leve non compiono atti e gesti che possano essere ritenuti tali da poter lasciare a futura memoria pagine indelebili in modo serio e disinteressato sul vero senso che un comunità che si rispetti abbia delle parole memoria e identità tali da poter guardare al proprio futuro con forza serenità e fiducia.
Per il momento mi fermo qui, non vorrei tediarla troppo, però sappia che da oggi mi sento un poco più fiducioso perché conoscendola un poco so che il suo blog potrà essere una finestrella libera per quanti liberamente vogliono esprimere il proprio pensiero sui temi da lei trattati dando quel piccolo contributo che in un modo o nell’altro costruiscono più di ogni altra azione il senso di appartenenza ad una comunità.

Distinti saluti,

BY DECAMP

28/08/08

FINI, QUANTO RUMORE PER UN TUFFO NEL MARE BLU

Lungi da me l'idea di fare il difensore d'ufficio di Gianfranco Fini. Non sono stato, nè sarò mai, un uomo di destra, mio padre, che aveva fatto la guerra e la Resistenza, mi ha allevato al culto dell'antifascismo ed al sacro rispetto di valori quali la libertà, la tolleranza, la democrazia.
Tra l'altro, il nostro presidente della Camera, innamorato come non mai e attratto assai dalla giovane compagna ex fiamma di Gaucci, come hanno documentato recentemente alcune foto un pò...birichine, non è che mi sia tanto simpatico, ma non avendolo mai conosciuto di persona (ma non me ne faccio un cruccio) non sono in grado di esprimere un giudizio serio.
Ora, si è scatenata la bagarre per quella sua immersione nelle acque incontaminate di Gorgona (le conosco anch'io, essendo un modesto appassionato di mare e navigando di tanto in tanto) senza accorgersi che c'erano dei limiti fissati dalla riserva marina.
Lui si è subito cosparso il capo di cenere e si è detto disposto a pagare la multa per aver "inquinato" (dopo tutto è un politico!) quelle acque solcate comunque dalle imbarcazioni di altri personaggi più o meno inquinanti quanto Fini.
Io credo che, essendo su un mezzo dei vigili del fuoco (come presidente della Camera ne ha diritto, e il suo predecessore, compagno Bertinotti, di questi privilegi ha fatto ampiamente uso) qualcuno avrebbe dovuto informarlo, così come da prefettura e questura, responsabili della tutela di importanti personalità sarebbero dovuti arrivare i consigli su dove e come immergersi, anche perchè questa estate Gianfranco Fini è pedinato dai paparazzi più della coppia Briatore-Gregoraci. Il nostro elegante presidente non ha rubato coralli, per farne dono alla sua Elisabetta, nè ha arpionato qualche grosso pesce. Tanto rumore per nulla, ma i giornali, in questi giorni, con qualcosa bisogna riempirli, in attesa che ricominci il teatrino della politica.

27/08/08

GLI AFFANNI DEL GIOVANE PEPPE

Diciamolo chiaro e tondo: il sindaco giovane, Giuseppe Scopelliti, in arte Peppe Show, assomiglia ogni giorno di più al famoso Re Tentenna, indeciso se restare alla guida della città o accettare le affettuose(?) pressioni che gli vengono fatte perchè si candidi alla presidenza della Regione, scalzando dal trono il ras catanzarese Agazio Loiero.
Sono tanti a non prendere sonno, la notte, al solo pensiero che il primo cittadino sempre verde abbandoni la barca, che fa un pò acqua, ma galleggia ancora, che porta le insegne di San Giorgio, per acchiappare la poltrona di governatore.
Non tutti ricordano, però, che tra meno di due anni, si voterà sia per il rinnovo del consiglio regionale, che per Camera e Senato, in mezzo le Europee del 2009.
Il buon Peppe, quindi, ha ampie possibilità di scelta, anche se cosciente di lasciare tra le lacrime i cittadini reggini e, in particolare, gli organizzatori di feste, elezioni di miss, compleanni di pezzi grossi, spettacoli d'ogni genere, la scorta che fa tanto effetto, e fa capire al colto e all'inclita chi veramente è che conta.
Noi crediamo che, alla fine della fiera, il Peppe amico di tutti se ne andrà a Montecitorio: certo, gli mancheranno le serate nei locali pieni di vassalli e ragazze in fregola, questuanti e qualche ammiratore sincero. ma una vita da onorevole, con la pensione assicurata, non è certo da buttare via.
Sindaco, non tentenni più, lasci stare Loiero che tanto sarà capace di cadere da solo, con tutta la sua truppa di assessori senza più partito, di inquisiti, di mafiosi "coperti" massoni ed altra roba. Si decida, della sua assenza quotidiana sulle pagine dei giornali amici ce ne faremo una ragione.

25/08/08

CIAK, SI GIRA: MA E' DAVVERO ARTE?



Rallentamenti sul Lungomare, ad un'ora insolita, quasi le nove del mattino. Ma il mistero è presto scoperto: all'interno del Sireneuse, uno dei locali alla moda della città, si stanno girando le scene di un film.
Gli ancora pochi clienti del bar-pasticceria-gelateria-rosticceria di antica tradizione, anche se da qualche tempo la proprietà è passata di mano, vengono trasformati in comparse (senza cachet, ovviamente) mentre una ragazza dà gli ordini all'operatore tra il vai e vieni dei camerieri. Ormai a Reggio, diventata terra di conquista, ognuno che ha bisogno di produrre artisticamente qualcosa, ha solo da mettersi in contatto con qualche assessore di peso, o con l'entourage del sindaco Peppe Show, come definito da Gianantonio Stella sul "Corriere", ed è cosa fatta. C'è pure una sempre sorridente assessoressa ai grandi eventi che, ricca di famiglia, si diverte tanto ad organizzare mostre, premiazioni, convegni, non importa il costo, qualcuno pagherà.
La gente si chiede, ma la produzione artistica di qualità, esiste davvero? Nessuno ha smentito quanto (coraggiosamente) pubblicato dal Quotidiano della Calabria, i cui giornalisti, a dire del sindaco, sono quelli che "rumpunu i cugghiuni", perchè fanno, come si suol dire, le pulci ai conti del Comune. Cose che altrove vengono pagate il loro giusto valore, quando arrivano in riva allo Stretto, sono grandi eventi, e la conferma è data dalla foto pressochè quotidiana (controllare la collezione) dell'assessoressa che ride sempre sulle pagine del giornale del Ponte.
E allora, centinaia di migliaia di euro, accomodatevi prego, viva l'arte, viva il cinema, viva i cosiddetti grandi eventi, mentre la città vive momenti difficili a causa della carenza idrica, delle serie interminabile di attentati per lo più estorsivi, del degrado della periferia, del traffico incontrollato.
Ogni giorno, c'è qualcuno che nel salone dei lampadari di palazzo San Giorgio, presenta qualcosa, tutto è importante, tutto è eccezionale, ognuno viene a Reggio a miracol mostrare, siamo un popolo di allocchi.

23/08/08

REGGINA, SIAMO FATTI PER SOFFRIRE


Nella città del nulla, come amava definirla il compianto Saverio Pedullà, giornalista-tifoso che più tifoso di così non si poteva, anche le leggende metropolitane, le più grossolane corbellerie vengono spacciate per verità. C'è l'amico che ha l'amico che lo informa, c'è chi pretende di farvi abboccare alle panzane da bar dello sport e, passa parola dopo passa parola, si finisce con il trasformarle in notizie, e c'è anche qualche cronista che le prende per vere e le divulga, magari via radio, e la frittata è fatta.
C'è chi porta avanti una teoria secondo la quale se Foti, in estate, fa la squadra troppo forte, come è successo in passato, (ma la gestione era affidata al Signor so tutto, alias Pino Benedetto) questa è la volta buona che si retrocede.
E allora? Meglio aspettare a gennaio e cominciare la corsa ad ostacoli verso la salvezza, dopo tutto finora è andata bene, vero?. Toh, menagramo che non siete altri, l'uomo dal sigaro e il baffo all'ingiù avrà avuto ancora una volta ragione.

Amici, prepariamoci, quindi, ad altri mesi di sofferenza, d'imprecazioni davanti al televisore, della pasta al forno domenicale andata di traverso, delle discussioni feroci anche con vecchi amici, che vi terranno il broncio, almeno fino alla prossima partita, quando vi ritroverete fianco a fianco ad imprecare e qualche volta ad esultare, mentre il solito bene informato pronuncerà la frase cult lanciata da Baccillieri, antipatico ai più, ma capace di fare audience a Radio Touring. "Tanto Foti, tri cchiu fissa i nui i trova sempre". Li troveremo anche quest'anno?. Gli amanti dei sondaggi sono serviti.

22/08/08

REGGINA, QUANDO IN RITIRO SI ANDAVA A...SCUOLA


Alberghi a cinque stelle in località mondane, piscine, palestre attrezzate, sale per gli svaghi, possibilità di essere raggiunti da mogli e compagne, insomma un esilio dorato, anche se di breve durata. E’ questo il mondo del calcio, adesso, anche per chi gioca nelle serie inferiori: Tutt’altra cosa era tanti anni fa per la Reggina, che dopo un lungo Purgatorio in serie C, era approdata alla sospirata B.
La preparazione pre campionato, il primo anno nella serie cadetta, la Reggina la fece a Palmi. La comitiva amaranto venne sistemata nel complesso dell’istituto agrario, immerso nel verde, e per le sedute atletiche e col pallone si scendeva al campo sportivo “Lo Presti”, terra battuta, sole cocente.
Per il resto, corse in pineta e lunghe passeggiate fino alla Marina tra la curiosità della gente che, però, non disturbava più di tanto il lavoro di Persico e compagni.
Le camere erano state ricavate nelle aule, dal lato dove il sole batteva meno, Tommaso Maestrelli aveva una stanza un po’ isolata e la chiave della segreteria per poter telefonare di sera alla famiglia che stava a Bari, ancora non aveva comprato la casa al mare. Potè farlo solo dopo l’ingaggio più ricco che gli aveva dato il presidente del Foggia, la squadra alla quale approdò dopo i 4 anni in amaranto.
Della truppa, oltre alla rosa completa, integrata dalle promesse del calcio reggino, Sbano, Campagna e Mannino, facevano parte il massaggiatore Cecè Catalano, che assicurava il buonumore, e il cuoco Pepè Ippolito.
Io lavoravo alla Tribuna del Mezzogiorno, redazione sportiva assieme a Paolo Marra, detto il conte di Lanzina (provincia di Bagaladi, lo sfottevano i colleghi) e quasi ogni giorno ci si trasferiva a Palmi.
Tommaso c’invitava a pranzo, dopo che i giocatori avevano finito, e andavano a fare una passeggiata, e attorno al tavolo ci trovavamo con il professor Enzo Dolfin, dal fine umorismo calabro-veneto, spesso Mimmo Morace, e Oreste Granillo che ne approfittava per trattare l’ingaggio dei nuovi e chiudere i conti in sospeso con i vecchi.
Cifre che al giorno d’oggi farebbero sorridere anche un ragazzino della Primavera: gente come Mupo, Santonico, Ferrario, Persico, non andava oltre i cinque milioni, più qualche premio, vitto e alloggio assicurati nella palazzina di Reggio Campi, chi voleva un appartamento suo doveva pagarselo.
A questa incombenza provvedeva Giovanni Cuzzocrea, sensale di professione, abilissimo nel trovare alloggi e in grado, grazie alle sue entrature tra le “signorine” della Sip, di farsi passare in pochi secondi una interurbana.
Il menù era spartano, riso al burro e carne ai ferri, lo stesso dei giocatori, un frutto e un bicchiere di vino: la damigiana era “presidiata” da Pepè che, solo in particolari occasioni, e soltanto a tarda sera, quando i calciatori erano a letto, sfatti dalla fatica, si decideva a preparare un pò di salsicce alla griglia o un piatto di pasta alla carrettiera.
Che tempi, quelli, vedere professionisti che si adattavano a trascorrere lunghi giorni in ritiro accampati in una scuola, col minimo del comfort e qualche volta, una doccia improvvisata in giardino con la pompa.
Né le cose cambiarono l’anno dopo, quando finalmente venne scelta una sede fuori regione, a Pergola, provincia di Pesaro, grazie ai buoi uffici di un amico del farmacista Gianni Sculli, compagno di interminabili poker con Maestrelli, Marra e il ragionier Parisi nell’omonimo bar-tabaccheria di via Valentino.
Ma anche lì, quando con tutta la comitiva, arrivammo, dopo un viaggio in treno durato diverse ore (seconda classe, naturalmente) la sorpresa per me, unico inviato al seguito, fu grande: Anche lì era stata “attrezzata” la scuola media di questo ridente paesino marchigiano. Aule a due-tre letti, unico lusso un saloncino con la tv, un bigliardino, e una sala mensa assai spaziosa.
Si viveva come in famiglia e il cronista, che era molto giovane, una volta telefonato il pezzo al giornale, aveva il tempo di fare qualche escursione: quando Morace portò un anno la sua 850 coupè e stavamo a Belluno, le nostre incursioni in Francia e Svizzera furono frequenti e trovammo anche qualche compagnia femminile (mogli, il reato è prescritto). Quanti ricordi, che non si fermano qui. Alla prossima, per aneddoti speriamo piacevoli che hanno fatto la storia della Reggina d’altri tempi.

21/08/08

IL DIRITTO DI SAPERE


Mancava qualche giorno a Natale ma, quella sera, l’aria era tiepida. Sopra i tetti di plexiglas delle serre ricolme di fiori e piante d’ogni genere, in mezzo alle campagne un po’ brulle della riviera ionica, il cielo era stellato.
Luci sparse sulle colline, una calma irreale: dal buio sbucarono almeno in quattro, con le armi in pugno, le facce nascoste da cappucci di lana, quelli usati dai pastori, quando portano le greggi in alta montagna.
Vincenzo Medici, ultrasessantenne ancora vigoroso, venne strappato dal suo tavolo di lavoro e portato via, come una bestia.
Sui giornali il titolo, scontato: “L’anonima sequestri ha colpito ancora”.
La moglie Giovanna, quella sera del 21 dicembre 1989, l’aspettava per cena. Una coppia non più verde, ma ancora unita come il primo giorno, un rapporto mai turbato dall’unica ombra sul loro destino, quella di non potere avere figli.
Un vuoto colmato da affettuosissimi nipoti, dagli interessi culturali comuni: la lettura, i viaggi, la conduzione d’una azienda florida e che ha anche rischiato di morire.
Giovanna è una donna minuta e composta nei suoi gesti. Di tanto in tanto, qualche giornalista le telefona, accade quando, per un motivo o per l’altro, il fenomeno sequestri torna a fare notizia.
E’ accaduto anche quando è esploso il caso dei fondi riservati del Sisde, impiegati per pagare qualche riscatto e non meglio precisati “informatori”.
Sembra che nella Locride ci sia stato, in questi ultimi anni, uno strano movimento: 007 deviati, mafiosi, pentiti della ‘ndrangheta, ambigue figure di avvocati e giornalisti, centinaia di milioni che non si sa che fine abbiano fatto.
Ma questa è una storia ancora da scrivere: quella che è stata scritta è fatta da migliaia di giorni d’angoscia, nella casa piena di luce dalla quale, quel pomeriggio, Vincenzo Medici era uscito.
Ora restano i sospiri e il dignitoso silenzio d’una donna sempre più sola. Col passare dei giorni, dei mesi, degli anni, la villa immersa nel verde è sempre più vuota: Vincenzo Medici era un uomo attivo, che dietro l’aspetto del pacioso agrario di provincia, nascondeva una sensibilità e una cultura notevoli.
Nelle parole di Giovanna ielasi, sposata Medici, non c’è ombra di rancore, soltanto amarezza, eppure, di motivi per scatenare polemiche, anche violente, ne avrebbe.
Suo marito è stato vittima della cosiddetta linea dura dello Stato, che poi tanto dura non era, se si pagavano i banditi ed altri personaggi con i soldi della collettività, come lo stesso prefetto Parisi, messo alle strette durante un’audizione in commissione, fu costretto ad ammettere.
Su queste pagine nere della storia italiana non si è ancora voluto fare luce, ognuno si augura che salti fuori, prima o poi, la verità, quella che una donna disperata chiede di conoscere.
Il diritto di sapere: la moglie di Vincenzo Medici, gli altri familiari, chiedono solo che qualcuno dica loro qualcosa, se l’inchiesta è chiusa, se su questo sequestro dimenticato è calato il sipario dell’archiviazione.
Ogni anno, quando questo triste anniversario ricorre, le persone che a Vincenzo Medici erano care, si chiedono perché non viene loro riconosciuto il diritto di sapere.
Certo, non si fanno illusioni, ma in questi casi, il passare del tempo non lenisce il dolore, i ricordi non s’annebbiano.
Giovanna Medici s’è stancata ormai di fare appelli, ha chiesto umilmente di avere qualche notizia, di poter sapere dove suo marito è stato sepolto dai carnefici della banda.
Il resto non la riguarda. Quando si allontana, e ciò avviene sempre più raramente, dalla grande casa vuota, porta con sé un cellulare. Una telefonata, secondo un fortunato slogan della Sip di qualche tempo fa, allunga la vita. In questo caso, purtroppo, non riesce neppure ad alimentare la speranza.
Di quell’uomo che era l’anima d’una azienda, fonte di lavoro per decine di persone, resta l’immagine sorridente, abbracciato alla nipote prediletta, momenti sereni, senza presagire ciò che sarebbe accaduto una sera di dicembre, con il Natale alle porte, le strade del paese illuminate, un’insolita animazione.
Altre famiglie soffrono, piangono e pregano, mentre nelle case si brinda: è il Natale triste di chi non ha potuto, neppure a caro prezzo, far tornare a casa la “preda” nelle mani dei sequestratori. Nell’Italia che scivola ogni giorno di più, c’è chi crede ancora nel rispetto dei diritti costituzionali, perciò Giovanna Medici rivendica il diritto di sapere. Qualcuno, finalmente, l’ascolterà?.

20/08/08

AUTOSTRADA, TANTE VITE, TANTE STORIE


Per chi viene dal Nord, superato lo svincolo di Mileto, l’autostrada è una lunga striscia d’asfalto tra dolci colline e s’insinua tra giovani uliveti per andare ad infilarsi, qualche chilometro più avanti, tra i verdi e sterminati agrumeti: è la Piana.
Di mattina presto, dalle Serre, viene giù, anche d’estate, una nebbiolina che fa tanto campagna inglese, ai lati del Mesima maestosi pioppi.
Per chi va verso Nord, la marcia è meno veloce, due curvoni frenano lo slancio di chi vuol dare gas. Le ammaccature e le tracce di vernice sul guard-rail sono il segno inequivocabile di quello che può accadere agli imprudenti.
Ma non c’è autovelox che tenga, quando l’ansia di tornare a casa, e per chi va in Sicilia, una cinquantina di chilometri lo separano dallo Stretto, fa dimenticare la stanchezza di lunghe ore al volante.
La morte è sempre in agguato, in quel tratto dove ti sembra di volare, lì come più avanti, quando da Sant’Onofrio inizia la lunga discesa verso Vibo.
E non è un caso se proprio qui, con agghiacciante cadenza, l’asfalto si tinge del rosso del sangue. Si rischia la morte anche se ci si ferma a soccorrere qualcuno: è ancora vivo il ricordo della tragica fine del professor Alberto Neri, che pagò con la vita un gesto d’altruismo.
Il cronista riavvolge il nastro della memoria e torna all’inizio degli anni Settanta. Quattro banditi incappucciati sbucarono da dietro un albero, e afferrarono due valigie piene zeppe di denaro che l’emissario della famiglia quasi lanciò dal finestrino.
Era il riscatto pagato per la liberazione di Paul Getty, erede d’una immensa fortuna, “ospite” per mesi in una prigione dell’Anonima sequestri calabrese.
E, andando ancora più su, quando il Reggino cede il passo alla giovane provincia vibonese, qualcuno s’affiancò all’auto sulla quale viaggiava una famigliola americana, diretta verso la Sicilia.Un proiettile centrò al capo Nicolas Green, che dormiva beato sul sedile posteriore, la sua morte commosse il mondo intero, la volontà dei genitori ha restituito la vita a sei persone che hanno avuto in dono gli organi del piccolo Nicolas.
Tante storie, tante vite, e lungo la A3 il serpente di auto procede, ora lento, ora veloce. Le vacanze non possono attendere.

19/08/08

lo Stretto...da S.Trada


QUEL DESIDERIO (INSODDISFATTO) D'UN CAFFE'

L'auto con targa straniera si ferma nella piazza del paese sulla costa ionica, una zona, come si legge nelle cronache locali, ad alta densità turistica, tra emigrati di ritorno e villeggianti, la popolazione ad agosto si quadruplica.

Gli occupanti, piuttosto accaldati (chi è del Nord non è facile che tolleri le nostre temperature...africane) si dirigono verso l'unico bar, piuttosto civettuolo, con gli ombrelloni aperti, qualche vaso coi fiori, ed al titolare che sta mettendo in ordine alcune bottiglie di liquore, chiedono qualcosa che, quando la canicola colpisce, è un vero toccasana: la granita di limone.

"Signori, sono spiacente, niente granita, manca l'acqua, stamattina non ho ancora potuto lavorare".
E allora, un buon caffè, la granita la prenderemo più avanti, la Jonica è piena di locali. Ma anche stavolta la risposta è da gelo:"non posso fare il caffè, la corrente manca da ieri sera, se volete qualche bibita, ma vi avverto che è calda".
I nostri malcapitati turisti risalgono in auto e si dirigono a tutta velocità verso il centro, molto più popoloso, diamine qui troveremo granite a iosa. In mezzo alla strada, due operai del Comune stanno caricando a fatica rifiuti raccolti sul ciglio della strada, c'è un pò di tutto, dalle gomme d'automobile a dei sanitari smontati dall'idraulico che sta rifacendo il bagno a qualcuno, e poi un materasso, scatole di cartone, tante bottiglie e roba in plastica, tutto materiale da far felici i fanatici della differenziata.
Anche nel paese più grosso, però, dove affittare una casa per un mese ti costa almeno duemila euro, l'acqua manca, la gente è in rivolta, molti turisti hanno disdetto le camere e sono andati alla ricerca di luoghi meno inospitali. Questa è l'estate in tante zone del Reggino dove parlare di turismo diventa sempre più una esercitazione verbale. E, infatti, meglio lasciar perdere, in attesa delle scuse di Loiero.

18/08/08

IL TURISTA? MA SI' BASTONIAMOLO UN PO'

Le segnalazioni sono ormai parecchie ogni giorno e arrivano da tutti i centri della Calabria dove, in questo periodo, maggiore è l'afflusso di turisti e villeggianti, che continuano purtroppo ad essere i classici "polli da spennare", tanto passano e vanno via, chi li vede più.
E di questo passo, sì che non ne vedremo più davvero, se al ristorante il conto è salato più di un barile di alici in salamoia, se una gita in barca ti costa la bellezza di 70 euro, se un ombrellone (mai in prima fila) lo paghi non meno di 15 euro, e te ne devi stare per tutta la giornata rannicchiato sulla sua sdraio, se non vuoi che i tuoi piedi vadano a...massaggiare la schiena di chi sta nell'ombrellone davanti al tuo, e che per quella posizione ha pagato più di te.
Ci chiediamo che fine facciano i reclami, le vere e proprie denunce che cittadini esasperati, talvolta infuriati, inoltrano alle organizzazioni di tutela dei consumatori e se qualcuna delle richieste di risarcimento arrivi a buon fine.
Certamente, di questo passo, parlare di sviluppo turistico resta una mera enunciazione, un modo per dare fiato alla bocca nei convegni che, a iosa, vengono fatti un pò dovunque, nelle fresche serate in montagna o in riva al mare, con l'immancabile presenza dei politici di zona che queste occasioni, magari mettendosi in tenuta casual, per sembrare ancora più vicini al cittadino, non se le perdono di certo.
Tutto questo ambaradan estivo finisce e i problemi restano insoluti, da anni, mentre gli assessori passano con i loro programmi mirabolanti, i viaggi promozionali all'estero, le consulenze a noti (?) giornalisti perchè esaltino le bellezze della nostra terra, previa adeguato cachet. Qualcuno di loro, tanto per arrotondare, si dà da fare anche nel settore pubblicitario, un mondo tutto particolare nel quale si muovono personaggi che, in altri contesti, faremmo bene ad evitare.
Arrivano i turisti, ma sì, continuiamo a bastonarli, tanto al massimo protesteranno un pò, e si metteranno in fila sulla A 3 facendo lo slalom tra i cantieri. Buone vacanze.

16/08/08

INCENDI, MA NON SI PUO' FARE PROPRIO NULLA?


E' stato un Ferragosto tragico, anche se per fortuna non ci sono stati incidenti stradali di particolare gravità, ma è stata ugualmente una giornata terribile (nel ricordo della strage di Duisburg) per via degli incendi che hanno devastato il territorio calabrese, in tre province su cinque, e i dirimpettai monti Peloritani.

Già di prima mattina, mentre la gente si affrettava a raggiungere le mete della gita tradizionale, prima che il traffico diventasse difficile, era possibile ammirare sulle colline di Messina, zona san Filippo, proprio sottto il Santuario di Dinnamare, un'alta colonna di fumo, che è durata fino a sera provocando un aumento della già torrida temperatura e rendendo difficile la vita a quei messinesi che avevano scelto il litorale ionico per trascorrere il giorno di festa istituito (bontà sua) dall'imperatore Augusto.

Quello che il cittadino comune si chiede, di fronte a tanto scempio, considerato che il novanta per cento degli incendi è di chiara matrice dolosa, è se sia possibile attuare una strategia, da parte delle Istituzioni, delle amministrazioni locali, per porre fine ad un fenomeno che è diventato la costante di ogni estate. Noi crediamo che, senza spese eccessive,si possano costituire gruppi di giovani, con contratti trimestrali, incaricandoli non solo della sorveglianza, ma anche dei rapporti con coloro che la montagna la frequentano, facendo opera di sensibilizzazione e "battendo" i boschi a tutte le ore, per scoraggiare chi avesse intenzione di trasformarsi nel Nerone di turno.
Si darebbe lavoro, anche se temporaneo, a tanti ragazzi, il territorio verrebbe presidiato non militarmente, ripetendo una formula studiata dall'ex presidente del Parco d'Aspromonte, Tonino Perna, che riuscì ad ottenere risultati eccezionali con un abbattimento pressochè totale della percentuale di roghi che hanno finito quest'anno col trasformare tante amene contrade in gironi infernali. Siamo sicuri che non è possibile proprio fare nulla?.

15/08/08

LA MODA E' UNA COSA, LA POLITICA UN'ALTRA

Ormai ci siamo quasi abituati alle esternazioni pressochè quotidiane dell'onorevole Santo Versace che, come la Madonna pellegrina, passa da una visita all'altra portando in giro il suo "verbo" di politico che ha fatto della coerenza il suo programma elettorale. Infatti, dopo aver accettato l'incarico di assessore in una delle Giunte a getto continuo che il presidente Loiero sforna, mostrando tutta la sua simpatia per la sinistra, si è poi rifugiato tra le accoglienti braccia di Berlusconi e, tanto per cambiare, è venuto a farsi eleggere nella sua (?) terra dalla quale era fuggito dopo aver preso una colossale fregatura, finanziando la squadra di basket Viola, accogliendo il "grido di dolore" lanciato dal suo sodale d'allora, l'onorevole Marco Minniti, la testa più lucida del Pd.
L'ultima di Versace è il ricordo affettuoso di Vincenzo "Dracula" Visco, quello che s'incazzava se non gli trasferivano i finanzieri che indagavano sui maneggi diessini attorno a una grossa banca. Secondo Versace, la cui uscita non sarà certo piaciuta al Silvio nazionale (gliela diamo, Cavaliere, una tiratina d'orecchi?) Visco avrebbero dovuto lasciarlo sulla poltrona delle Finanze, sulla quale siedeva Quintino Sella, anche col nuovo Governo. Masochismo, o colpo di sole ferragostano. Se continua così, il buon Santo finirà col doversi cercare un'altra collocazione, magari accanto a Di Pietro, sempre a caccia di transfughi, basta che la pensino come lui, a morte Berlusconi, il resto non conta.

14/08/08

LO SPIONE CRETINO PER CONTO TERZI

Capita anche questo. C'è un individuo che passa le sue giornate bighellonando per la città e trascorrendo ore nella redazione d'un giornale sul quale, di tanto in tanto, delizia i lettori con la sua prosa, occupandosi per lo più di argomenti pseudo-culturali, insomma cose che nessuno legge.
Ufficialmente non risulta abbia mai svolto una attività lavorativa, anzi, secondo i maligni, avrebbe trovato il modo di farsi mantenere da una moglie ricca che, dopo qualche anno, l'ha mollato. In quanto alla politica, nella quale si sente particolarmente versato, dopo aver cambiato diversi partiti, è approdato alla corte dei seguaci del capo del cosiddetto partito delle manette, prima di fondare con altri perditempo come lui, un movimento che non si sa esattamente cosa voglia proporre ai per fortuna pochi adepti.
Di tanto in tanto, per giustificare la loro esistenza in vita, qualche squillo di tromba sotto forma d'una compiacente nota pubblicata sul giornale del cui capo è amico e per conto del quale si occupa di segnalare i movimenti dei "nemici".
E allora, quale migliore occasione, sorprendendomi mentre tranquillo passeggio nella sala imbarchi dell'aeroporto, in attesa dell'arrivo di mio figlio, che spiare i miei movimenti ed eventualmente riferire al suo "padrone" col quale, notoriamente, il modesto autore di questa nota, non è in corrispondenza d'amorosi sensi, anzi è stato un suo critico (è un eufemismo, ma oggi sono buono) quando ha avuto la sventura di averlo come collega nella stessa testata.
Con lo stile dello 007 di periferia, il nostro si è appostato a una certa distanza fino a quando non si è reso conto che nessuna donna mi è corsa incontro (magari stesse aspettando l'amica, stavolta lo becchiamo, avrà pensato lo Sherlok Holmes da strapazzo) ma un giovanottone sorridente, felice di passare qualche giorno di vacanza coi genitori.
Stavolta, hai fallito amico: la telefonata al suo "capo" l'avrà fatta lo stesso, del resto si è sempre vantato di avere spie dappertutto. Ma c'è anche chi spia lui, quando mangia a sbafo in locali alla moda. Ma questa è un'altra storia, circola una lettera anonima che è una delizia, peccato che ho potuto solo sbirciarla, ma qualcuno l'avrà pure ricevuta. Perchè non incaricare lo spione per conto terzi?.

13/08/08

'NDRANGHETA, L'ARMISTIZIO POTREBBE FINIRE

Sono d'accordo con Giusva Branca, che su Strill scrive di un possibile autunno caldo delle cosche reggine, intravedendo anche lui segnali preoccupanti, a cominciare da recenti episodi avvenuti in città e, principalmente, da quanto è accaduto con l'agguato fallito al presunto anziano boss di Santo Stefano d'Aspromonte, Rocco Musolino.
Nessuno si era mai azzardato a toccare un uomo in grado, per età e prestigio, di avere un dialogo con gli esponenti di primo piano delle varie "famiglie" mafiose della città e della provincia. Un personaggio, Rocco Musolino, ricchissimo ed ancora assai attivo nonostante gli 80 passati da un pezzo, che è riuscito a uscire indenne da tutte le guerre di mafia che hanno insanguinato la nostra provincia negli ultimi trent'anni ed è stato, assieme ad altri capi bastone, certamente uno dei garanti dell'armistizio siglato tra i vari clan in lotta a settembre del 1991, pochi giorni dopo il barbaro assassinio del giudice Antonino Scopelliti.
Una tregua che finora ha retto, grazie appunto alla presenza sul territorio di uomini come Pasquale Condello, Giovanni Tegano, Giuseppe De Stefano che dalla latitanza erano in grado, ed alcuni di loro lo sono ancora, di dirimere eventuali controversie, partecipare a summit per prendere decisioni importanti, tenere a freno qualche testa calda, scongiurare azioni temerarie che potrebbero provocare una reazione ancor più decisa dello Stato.
Con l'arresto del "Supremo" e prima ancora di Peppe Tiradritto, qualcosa è cambiato e qualcosa ancora cambierà. Il problema è capire se prevarrà la linea di persone come Musolino, o quella dei giovani "figli d'arte" della 'ndrangheta anni Duemila. Credo che lo sapremo molto presto.

12/08/08

IL MALE DI UN SILENZIO CHIAMATO RACKET

Una donna piange accanto ad una saracinesca sventrata dal tritolo. Il fuoco ha annerito la facciata del palazzo, all’interno è tutto cenere e fumo nero, ognuno passa e guarda, poi tira dritto. Nell’animo della gente s’è insinuato un terribile veleno, è quello dell’abitudine a vedere ogni giorno scene del genere: Dietro ogni rappresaglia del racket c’è il dramma d’una famiglia, anni di sudore e sacrifici, le lacrime di chi, in un attimo, perde tutto.
Un reato abietto, l’estorsione, che spesso resta impunito perché chi potrebbe parlare non lo fa, le stesse vittime restano prigioniere del loro silenzio e le forze del male hanno vita facile.
Le condanne, le belle parole, i comunicati dai toni infuocati, i suggerimenti dei moralisti da strapazzo, di coloro che, magari, mentre tuonano contro i criminali che taglieggiano e intimidiscono, poi, sotto sotto, “trattano” perché il loro sonno non venga più interrotto dal fragore d’una bomba.
Tutto fa parte d’un copione scritto da tempo.
L’estorsore vive nell’ombra, delinque per conto terzi, a lui, magari, la cosca cui appartiene riserva solo le briciole di questo “fatturato” criminale.
Per chi viene preso di mira, la vita diventa un inferno, nella coscienza si agitano, come in un dramma di Shakespeare, sentimenti opposti.
Andare incontro ai “nemici”, schierandosi dalla parte della giustizia, col rischio certo di dover chiudere, non solo l’impresa, l’attività commerciale, la fabbrica, cambiare tutto, oppure accettare lo squallido compromesso che fa dire a chi del racket ha fatto la sua ragione di vita: anche stavolta abbiamo vinto.

09/08/08

SCOPELLITI, UN EROE DIMENTICATO

Tanto tempo è passato, ormai, da quel nove agosto del 1991, il giorno dell’uccisione, per mano mafiosa, del giudice Antonino Scopelliti, nato a Campo calabro, sostituto procuratore generale della Cassazione, colto, brillante, popolare per le sue apparizioni in importanti trasmissioni televisive.
L’appuntamento, la morte lo fissò quel limpido pomeriggio lungo una stradina dalla quale si domina lo Stretto che, quando il sole sta per tramontare, si colora quasi di viola.
E lui arrivò, guidando in jeans e camicia la sua Bmw blu: lasciatasi alle spalle la tortuosa e panoramica statale 18, imboccò la rampa, assai stretta, e poi un rettilineo tra i vigneti, un bersaglio facile per un sicario esperto e spietato.
Il cronista, a volte, fa come l’assassino: torna sul luogo del delitto. Va alla ricerca di nuove sensazioni, di qualche spunto che, su questo drammatico “omicidio eccellente” nessuno può dargli. Sulla morte di Nino Scopelliti è calato il silenzio, troppo presto. L’inchiesta, partita male, non ha avuto lo sbocco giudiziario che tutti s’attendevano, la sua morte è rimasta, desolatamente, “ad opera d’ignoti”.
I chi e i perché sono destinati a rimanere sospesi, come le nuvole che s’addensano, sul cielo della Costa Viola, un pomeriggio d’agosto, di tanti anni dopo.
Tutto è rimasto quasi come allora: qualcuno ha provveduto a riparare il cancelletto che, travolto dall’auto del giudice, era stato divelto, la recinzione di filo spinato è stata sistemata alla meglio, rimessi a posto anche i paletti della vigna dove l’auto precipitò quando chi la guidava, col collo squarciato dai pallettoni, non fu più in grado di controllarla.
Adesso, in quel punto dove si consumò il dramma c’è una stele, neppure tanto bella, ma c’è, di pietra grigia, assediata dalle erbacce che, ad ogni anniversario, qualcuno ripulisce, perché nel giorno della memoria c’è ancora chi viene quassù a ricordarlo e pregare, deporre un mazzo di fiori. Si ricorda un uomo assassinato dalla mafia ma che, stranamente, è come se non fosse mai morto. Nell’ondata di rievocazioni, nel mare di opinioni, interviste, polemiche, discussioni, il ricordo di Scopelliti è come disperso.
Era in vacanza, quando fu ucciso, ma non aveva messo da parte il suo rigore, il senso del dovere: a casa, sulla scrivania, montagne di carte, gli atti del maxiprocesso di Palermo.
E’, più o meno, la stessa ora di quando l’agguato, preparato con cura, venne messo in atto, la stradella è deserta, guardando in giù, verso Santa Trada, si vedono le auto sfrecciare lungo l’autostrada. Le navi traghetto solcano il mare lasciandosi dietro una scia di schiuma, la spiaggia, laggiù in fondo, dove Scopelliti amava trascorrere gran parte della giornata, è punteggiata da ombrelloni variopinti.
Allora, nessuno vide o sentì nulla: qualcuno, da una stazione di servizio, notando quell’auto precipitare e schiantarsi tra i tralci già carichi d’uva, pensò a un incidente stradale.
E così si perse tempo prezioso, i primi ad arrivare pensarono a tutto (un malore, persino il suicidio) meno che a un feroce delitto.
Un omicidio preventivo, frutto di “sinergie” mafiose, un accordo criminoso tra la ‘ndrangheta e le cosche siciliane, ucciderlo nella sua terra per dare un preciso messaggio.
Come cancellare dalla memoria quelle ore: la concitata telefonata che ti dà il primo, incerto, annuncio, l’altalena di conferme e smentite, finchè non arrivi sul posto dove a centinaia le persone assistono alle prime operazioni, seguono il lavoro del medico legale, dei fotografi.
Come dimenticare i volti pallidi, le lacrime dei colleghi reggini amici di Nino, di quelli che, solo pochi minuti prima, avevano fissato con lui l’appuntamento per una cena sotto le stelle.
E ancora una volta, al centro dell’attenzione, ci sarebbe stato lui, tanto riservato e schivo al punto da sembrare scostante, nella sua vita romana, divisa tra il piccolo appartamento di via della Scrofa e l’ufficio al Palazzaccio di piazza Cavour, quanto aperto e cordiale durante i suoi soggiorni calabresi.
Per i colleghi era un esempio, per i giovani un idolo, alle donne piaceva, portava con straordinaria disinvoltura i suoi 56 anni, era troppo facile amarlo, essergli amici, affrontava duri scontri dialettici, nell’esercizio del ruolo di grande accusatore, ma sempre col sorriso sulle labbra.
Col Ferragosto alle porte, l’omicidio Scopelliti riportò l’attenzione dello Stato sulla Calabria, sulla disastrata Reggio dove l’”armistizio” tra i clan in lotta da anni non era ancora stato siglato.
Per giorni, il blocco marittimo attuato dai pescatori delle “spadare”, aveva trasformato le due coste in bolge infernali, mentre i giornali dedicavano grande spazio al delitto di via Poma, a Roma, anche questo destinato a restare insoluto.
Cossiga, terreo in viso, Martelli fresco d’abbronzatura, il povero Falcone, Sica con la barba sempre più bianca, il questore arrivato da poche ore, e che durò solo sei mesi, momenti di grande sgomento nella notte davanti alla prefettura, mentre a Campo Calabro la gente vegliava davanti a quella casa nella quale Antonino Scopelliti veniva riportato, disteso nella bara, col collo fasciato da un fazzoletto di seta, per nascondere l’oltraggio della lupara.
“Questo assassinio è contro la vita e contro lo Stato”, dice Cossiga, stremato su un divano nell’abitazione del prefetto, il ministro della giustizia promette, genericamente, leggi più severe. Ma ci vorranno ben altri morti, tanti lutti, perché lo Stato si decida a reagire e mettere in campo nuove risorse.
Torniamo sui nostri passi, lungo la strada angusta e scoscesa che, da Ferrito, attraverso Piale, porta a Campo Calabro. Nell’aria c’è un odore strano, d’erba tagliata di fresco e di terra smossa. Quel giorno, ne siamo certi, tanti occhi hanno visto come adesso, siamo sicuri, stanno osservando noi. Ma nessuno ha parlato. La moto con le “vedette”andava su e giù, in attesa che Lui arrivasse. Poi, in trenta infernali secondi, tutto finì, in una nuvola di polvere e un forte rumore metallico.
In questi giorni ne sentiremo tante di chiacchiere, i cosiddetti giornalisti antimafia (meglio sorvolare su qualche nome) ne approfitteranno per avere un po’ di visibilità in convegni e presentazioni di libri, una squallida opera di sciacallaggio che a chi amò veramente Nino Scopelliti fa veramente male.

06/08/08

LA CALABRIA DELLE FESTE E DEI PREMI IMMERITATI

Questa è l’estate del gossip politico che ha finito col portare in piazza, alla portata di tutti, il pettegolezzo più sguaiato e a mostrare attraverso il buco della serratura le “qualità” più o meno nascoste delle bellezze parlamentari.
Con la vicenda Saccà, poi, abbiamo toccato il fondo di quel pozzo dei desideri che è la tv di Stato, dove, con largo impiego di denaro pubblico, (ma la gente sa quanto in questi anni ha guadagnato il nostro conterraneo padrone delle fiction?) si consente a stelle e stelline, mezze calzette dal punto di vista professionale, di portare a casa ricchi cachet, poco importa se il prodotto è scadente, tanto l’utente dimentica presto. C’è sempre un’isola dei famosi pronta.
Del boss televisivo Saccà ho un ricordo personale, avendo lavorato, anche se per un breve periodo, (lui spiccò il volo verso la Capitale) nello stesso giornale e debbo dire che la memoria riporta un personaggio piuttosto grigio, di non eccelse qualità, ma ben introdotto nei meandri del socialismo manciniano e craxiano, fino ad avvicinarsi al pianeta berlusconiano.
Ma questo poco importa, in questa estate che lo ha visto rientrare sotto la gonnella di mamma Rai, mentre in tutta la regione impazza la giostra dei premi, premiucci, elezioni di miss, sagre di ogni tipo.
E anche quest’anno si è ripetuto il fenomeno dei cosiddetti calabresi illustri, pronti a venire a ritirare, per i loro indiscussi meriti, riconoscimenti talvolta anche di un certo valore venale, tanto a pagare sono le varie amministrazioni che elargiscono contributi, sottraendo risorse per cose che servirebbero forse più di altre, basti pensare alla viabilità, alla carenza idrica, ai rifiuti, all’abusivismo dilagante, al racket imperante.
Ci si chiede quanto siano meritati questi premi a calabresi che si ricordano della loro terra solo un paio di giorni l’anno e che, quando li incontri a Roma o altrove, quasi s’infastidiscono a sentire parlare dei nostri guai, della Regione che non funziona, della sanità sempre più malata, degli omicidi di mafia, delle intimidazioni nei confronti di chi s’azzarda a fare il suo dovere, in ogni campo.
Una foto sui giornali (l’estate spesso è un problema riempire le pagine) un bel servizio televisivo, insomma una bella rinfrescata all’immagine, un’altra medaglietta da appuntare, un altro trofeo da mettere in mostra nel salotto di casa.
Noi restiamo qui, a parlare della crisi economica che da noi si sente più che altrove, dei politici sempre più inquisiti, del mare sporco, dei prezzi alle stelle, mentre arriva la notte, con le sue luci, i locali all’aperto pieni di voci e musiche, un premio tira l’altro, mentre il gossip più volgare aiuta a far scorrere il tempo sotto l’ombrellone. Tutto il resto conta poco.