31/12/08

ADDIO AL 2008 SENZA TROPPI RIMPIANTI

Dunque, il 2008 toglie il disturbo, senza troppi rimpianti, arriva il 2009 con tante speranze ma poche certezze. Tutti sono concordi nel dire che ci attendono tanti altri mesi difficili, si parla di recessione alle porte, anche se da parte di chi ci governa arrivano inviti all’ottimismo, a dare fondo alle ultime riserve, per non fermare i consumi.
Noi crediamo che la virtù stia nel mezzo, che dobbiamo contare sul buonsenso degli italiani e sperare nel tradizionale “stellone” che nel bene o nel male ci ha sempre dato una mano nei momenti più bui della nostra storia.
Si prevede un altro anno nero per quanto riguarda l’editoria: illuminante è la lunga lettera che i componenti il comitato di redazione del Corriere della Sera hanno scritto agli azionisti che avevano preannunciato una “rimodulazione” (quanto è inquietante questa parola!) del piano editoriale, lasciando presagire una politica fatta di tagli.
Certo, il calo della pubblicità è evidente, basta vedere quanto sono “magri” i giornali che, solitamente in questo periodo, erano trasformati in contenitori d’inserzioni. Le vendite, poi, salvo qualche rara eccezione, segnano il passo, per cui addio ai bilanci sostanziosi e bloccati i progetti di nuove iniziative.
In Calabria, poi, la situazione della stampa quotidiana non è certamente incoraggiante: Gazzetta del Sud, Il Quotidiano, Calabria Ora, il Domani, cercano di mantenere le loro posizioni sul mercato. Sospese le pubblicazioni della Provincia cosentina, Il giornale di Calabria è su internet, si è parlato della nascita di un altro quotidiano nell’area dello Stretto, ma tutto s’è bloccato, di fronte alle previsioni di spesa che hanno allarmato i possibili sostenitori dell’iniziativa.
La Gazzetta soffre d’una lenta ma costante emorragia di copie, stando ai dati di Prima Comunicazione, tiene il Quotidiano che però sta pagando a caro prezzo l’idea dissennata di fare un giornale a Roma, un autentico fallimento, e l’aumento dei costi della redazione che è diventata pletorica, certamente sovradimensionata.
Vendite stabili, che da sole basterebbero a garantire il pareggio di bilancio, ma gli editori Dodaro hanno deciso, per evitare il tracollo, di far partire la cassa integrazione a rotazione, in attesa di tempi migliori.
I dati di Calabria Ora, che parevano incoraggianti, segnano adesso cifre in calo e ci pare che il giornale cosentino, troppo appiattito sulle posizioni di una parte del Pd ex Pds (Loiero, Minniti, Adamo) abbia perso gran parte della spinta propulsiva. Non sappiamo fino a quando gli editori saranno in grado di sostenere l’esposizione economica.
Vivacchia, rintanato nel Catanzarese, il Domani dell’intraprendente editore Guido Talarico, che pure, quando aveva lanciato il giornale con velleità regionali, aveva creduto di poter trovare sul mercato una decina di migliaia di copie.
Informazione on line: anche qui siamo ai verbi difettivi, con una eccezione, per Strill.it che Giusva Branca, a prezzo di grandi sacrifici, ha portato su livelli professionali notevoli. Il giornale ha acquistato autorevolezza, ma di soldi ne girano pochi, attorno a Strill si sta formando una nidiata di giovani cronisti veramente in gamba. Ma quali prospettive li attendono? Dio solo lo sa.
Via il 2008, si stappa lo spumante, s’accendono innocui bengala (ma come al solito si ripeterà il rito della stupidità dei botti e dei colpi d’arma da fuoco) e si mangiano lenticchie con la speranza che portino denaro in famiglia.
Ai miei affezionati lettori, agli amici più cari auguro un anno nuovo all’insegna della pace, della salute, dell’amore.

29/12/08

VITALONE, LE MENZOGNE POSSONO ESSERE MORTALI

Ho conosciuto Claudio Vitalone, magistrato romano di origine calabrese, qualche anno fa in occasione d’una serata conviviale. A presentarmelo fu un suo cugino, Bruno Vitalone, di Palizzi, un tipo un po’ guascone ma simpatico, amante della bella vita, che solo in età matura s’era deciso ad abbandonare le velleità giornalistiche per andare a lavorare, grazie alle sue entrature democristiane, in un ministero.
Bruno era solito passare dal giornale, portava spesso qualche notizia proveniente dal sottobosco politico, allora il gossip non trovava spazio, i cosiddetti retroscenisti non esistevano, l’informazione era abbastanza paludata, il mio giornale, poi, era decisamente schierato dalla parte di chi in quel momento governava.
Claudio Vitalone era già allora un magistrato abbastanza noto nella Capitale, ed ancor di più lo era il fratello Vilfredo, avvocato, coinvolto anche lui, come sarebbe accaduto anni dopo al germano togato, in qualche pasticcio giudiziario.
La sua notorietà era dovuta al fatto di essere nella ristretta cerchia degli amici di Giulio Andreotti, degli abituali frequentatori dell’ufficio privato del Divo, a San Lorenzo in Lucina, assieme ai vari Franco Evangelisti (il famoso “a ‘Fra, che te serve?” immortalato da Paolo Guzzanti in una memorabile intervista su Repubblica) Giuseppe Ciarrapico, vari cardinali, manager di Stato.
E grazie ad Andreotti, Claudio Vitalone, uno dei tanti “emigrati di lusso” a Roma, era approdato alla politica, a palazzo Madama, prima che una donna già appartenente alla famigerata banda della Magliana lo coinvolgesse nella brutta storia dell’omicidio di Mino Pecorelli. Vitalone era uscito da questa vicenda, ma ne era rimasto segnato nel fisico e, a soli 72 anni, la morte gli ha presentato il conto.
Personaggio discusso, che sapeva comunque muoversi con abilità in quel palazzaccio di Roma chiamato il porto delle nebbie, ma chi lo conosceva bene non esita a lodarne le qualità umane, di persona sempre pronta a dare una mano a chi avesse bisogno, specialmente se era della sua terra, la Calabria che non ha mai smesso d’amare.
Accuse incredibili, mesi e anni trascorsi nelle aule di giustizia, ma dall’altra parte, a difendersi, osservato dalla gabbia da quei mafiosi che spesso aveva fatto condannare. Nella bella autobiografia di Giulio Andreotti scritta da Massimo Franco, c’è una foto di Claudio Vitalone, a Perugia, seduto assieme ad Andreotti, mentre accanto passa, ammanettato, il boss Pippo Calò che li guarda di sottecchi, quasi non volesse farsi notare dalle guardie.
Saranno in tanti, adesso che Claudio Vitalone è morto, a dimenticare quanto di malvagio gli avevano rovesciato addosso, nel momento della bufera, ma è la vita. Quando arriva la fine, tutto si annulla e risolve, per sempre.

28/12/08

LATITANTI, LA "VENDEMMIA" CONTINUA

I giorni di festa, la voglia di famiglia, i contatti con il territorio, la possibilità di riscuotere i soldi delle estorsioni, tutte cose che per i latitanti finiscono col rivelarsi fatali.
La “vendemmia” di ricercati, ad opera della polizia e dei carabinieri, continua nemmeno ad un anno di distanza dalla cattura del boss Pasquale Condello, detto il supremo, per la posizione di vertice occupata nelle gerarchie mafiose.
Pochi giorni sono trascorsi dall’arresto di Giuseppe De Stefano, che aveva preso le redini della famiglia dopo la fine della dorata latitanza dello zio Orazio, ed ecco arrivare quello di Pietro Criaco, la cui foto da undici anni faceva mostra nell’elenco dei latitanti più pericolosi diffuso dal sito internet del ministero dell’Interno.
Uno ad uno prima o poi cadono tutti, niente dura tutta la vita, nel bene e nel male: ci sono i politici a vita, i direttori di giornali a vita, i truffatori in servizio permanente, i ladri di regime sempre attivi, ma anche per loro arriva il momento in cui cala il sipario.
Criaco era tornato nel suo regno per le feste, occasione spesso per regolare dei conti (vedi sparatoria che ha visto vittima un uomo di San Luca emigrato a Torino), il clima lascia pensare a momenti di rilassamento, di allentamento della tensione per chi, come i segugi di Cortese, seguono notte e giorno, sia festa o no, le tracce dei ricercati, gente che per anni è riuscita a farla franca. Ma non è così.
Certamente, senza appoggi e senza grande disponibilità di denaro, non si può restare per tanto tempo nascosti, ma adesso la musica è cambiata, i mezzi anche tecnici ci sono, prima o dopo nella rete qualcuno ci resta.
La cattura di Criaco, con la sua aria da intellettuale, conferma che i grandi latitanti non si allontanano quasi mai dal loro territorio “di competenza”, per il timore di essere scavalcati o addirittura soppiantati da personaggi venuti fuori adesso che i capi, del calibro di Peppe Tiradritto e Condello, sono costretti a lunghe assenze.
L’unica strada, per loro, se vogliono avere la speranza di uscire da quelle mura, è arrendersi allo Stato, diventare collaboratori: nel caso di Criaco e Condello non lo riteniamo possibile, ma non si sa mai, quando attorno a loro sarà creato il vuoto, forse saltare il fosso sarà l’unica soluzione.
Stavolta il brindisi si fa in Questura, in attesa che la “vendemmia” anche per il 2009 sia proficua.

25/12/08

BUON NATALE E FELICE (SE POSSIBILE) ANNO NUOVO

Quando, la scorsa estate, ho deciso di dare vita a un mio blog, anche a seguito delle affettuose insistenze di colleghi ed amici (“fallo, tu ne hai cose da dire”) non pensavo assolutamente che, in così breve tempo, il numero dei visitatori sarebbe cresciuto di giorno in giorno e le modeste mie pagine sarebbero state lette da tante persone.
Sento pertanto il bisogno di ringraziare tutti coloro che, conoscendomi per i miei tanti anni d’attività professionale, nelle varie testate in cui ho lavorato, hanno avuto piacere di continuare a seguirmi, non facendomi mancare, spesso, il loro sostegno e apprezzamento tramite email e telefonate personali.
L’occasione è data dalle festività di Natale e fine anno, per cui formulo a tutti i migliori auguri di serenità familiare, benessere fisico e materiale, insomma un po’ d’ottimismo dopo un 2008 davvero duro.
Sono tra coloro che sostengono la tesi del pensare positivo, della fiducia nel popolo italiano capace sempre di rialzare la testa anche di fronte a gravissime emergenze, quali guerre, terremoti, alluvioni.
Certo, il bilancio, nonostante le chiacchiere dei vari amministratori che convocano i giornalisti per la tradizionale consegna dei doni (quanta gente arriva in queste occasioni!) non è dei più incoraggianti. La Calabria, la provincia reggina in particolare, hanno ben poco da festeggiare, le cose non sono cambiate, come ognuno s’aspettava.
Gli organi di polizia hanno assestato sonore batoste assicurando alla giustizia pericolosi personaggi della criminalità mafiosa, ultimo dei quali il figlio del boss Paolo De Stefano (quello del “ciao, belli” indirizzato a giornalisti e fotografi) sono stati sequestrati beni per miliardi, ma la ‘ndrangheta continua a dominare ed a penetrare sempre più nel tessuto sociale ed economico della città.
L’industria, anche per la ormai accertata inadeguatezza dei responsabili di Confindustria Reggio, procede tra mille difficoltà, così come l’edilizia, mentre sullo sfondo si agitano sempre i soliti personaggi che, negli anni, si sono resi responsabili soltanto di disastri.
La politica?, meglio lasciar perdere, mentre si avvicina la campagna per le Europee: occasione per il recupero di qualche vecchia carcassa, speriamo non sia così.
Ma questi sono giorni di festa, di pace e di perdono, di ricordo degli amici che ci hanno lasciato, da Totò Delfino ad Aldo Sgroy a Ninì Sapone. Li ricordiamo nelle nostre preghiere e speriamo in un 2009 che, come dicono a Napoli, sia meno “fetente” di quello che si sta chiudendo.
Grazie a tutti, di vero cuore, e seguitemi ancora, anche su Strill, la magnifica creatura dell’amico Giusva Branca, che tanti sforzi sta facendo per dare alla città un giornale, anche se solo telematico, che alimenti un sano pluralismo e, soprattutto, serva a non nascondere le notizie che altri preferiscono ignorare.

24/12/08

ADDIO NINI' UN ALTRO AMICO CHE SE N'E' ANDATO

Vigilia di Natale a Roma, ma sembra di stare a Londra: la città è avvolta dalla nebbia e questo accentua il magone che da ieri mi porto dentro, da quando una telefonata del caro collega Rosario Cananzi mi ha avvertito della morte di Ninì Sapone, amico d’una vita, persona di straordinaria generosità.
Il mio rammarico è di non poter essere presente al funerale, il caos che regna a Fiumicino, l’autostrada da bollino rosso, insomma, in questi casi ti rendi conto quanto sia lontana, non solo geograficamente, la nostra Calabria dal resto del Paese.
Sono stato testimone, qualche anno fa, alle seconde nozze di Ninì Sapone con Maria Sorgonà, la donna che ha molto amato e l’ha ripagato di tante amarezze, dopo che la sua unione con Nuccia, che pure gli ha dato due figli, era inesorabilmente naufragata.
Ho vissuto con lui, che spesso veniva a casa mia per mangiare il “soffritto” che mia moglie gli preparava, quei momenti e credo di essergli stato vicino, e non lo ha mai dimenticato.
Alla figlia Adriana teneva moltissimo e ne aveva incoraggiato la passione, quella di diventare una fotoreporter. Ricordo di essermi adoperato con l’allora direttore del “Quotidiano della Calabria”, Pantaleone Sergi, perché questa ragazzina con l’hobby della fotografia, peraltro ereditata dal padre, venisse assunta alla redazione reggina, dove la trovai, nel 2002, durante la mia breve ma bellissima esperienza in quel giornale.
Ninì era noto per la sua passione di presepista, ho in casa un paio dei suoi lavori, e lo vidi veramente felice quando, sempre per mia modesta intercessione, riuscii a farlo invitare e presentare qualche suo capolavoro, ad una trasmissione di Rai2 condotta da Enza Sampò.
Non dimenticava mai gli auguri per il mio onomastico e s’informava costantemente dei miei ragazzi, che conosceva da piccoli e a lui erano molto affezionati, non ho ancora avuto il coraggio di comunicare che Ninì non c’è più al primogenito, che si trova all’estero.
Da qualche anno la sua principale occupazione era costituita dal museo del presepe che aveva creato, con l’appoggio di Maria, donna di grande cultura, sotto casa, in via Filippini, nel cuore del Mercato. Non vedevo Ninì da qualche mese, a Reggio ormai scendo sempre più di rado, ma mia moglie era passata a salutarlo, un mese fa, ed era stato affettuoso, come al solito, aveva chiesto di me, le aveva fatto promettere che, appena possibile, avremmo organizzato un bel pranzo. Ninì, questo impegno non potremo onorarlo, almeno da questa parte del mondo.
Ad Adriana dico di affrontare con serenità questa grande perdita, papà continuerà a seguirla anche da lassù, dove certamente gli avranno riservato un bel posto, da cui inviare qualche foto, di quelle magnifiche che tu, attraverso lui, continuerai a fare, ogni giorno.
Ciao, Ninì, un altro amico, un grande uomo che se n’è andato, sento attorno a me un terribile vuoto.

20/12/08

ALL'"AVANTI" LA CRISI LA PAGA SOLO IL DIRETTORE

Può succedere anche questo, in tempi di crisi, anche per la carta stampata, quella però “assistita” dallo Stato che eroga contributi a testate che, in teoria, dovrebbero essere gestite da cooperative, oppure che sono state recuperate, come è il caso del glorioso Avanti, da fallimenti.
Succede che l’editore, sentendo aria di ridimensionamento delle provvidenze per i quotidiani, cosa che peraltro non è ancora avvenuta, e noi crediamo che non avverrà, altrimenti alcune testate sarebbero condannate a morte, pensa bene di fare qualche “taglio”, una parola assai di moda.
E qual è la prima testa che cade?, quella del direttore, un giovane giornalista napoletano molto capace, Fabio Ranucci, che in questi anni ha guidato la fragile barchetta dell’ex giornale socialista all’insegna del risparmio, con poca gente, facendo un prodotto dignitoso, utilizzando, senza dare loro un euro, anche firme di prestigio.
A Ranucci l’editore, che sembra abbia velleità politiche (è stato candidato per Forza Italia due elezioni fa) ha dato il benservito, ma senza sostituirlo, come sovente accade, con uno che costerebbe meno, oppure perché non più convinto della “linea” data dal direttore al giornale.
Niente di tutto questo: Ranucci è stato licenziato senza preavviso e senza il pagamento, ai sensi del contratto di lavoro giornalistico, di tutte le spettanze. La motivazione offerta dall’editore, il quale dovrà adesso dimostrarlo in Tribunale, è data da presunte difficoltà economiche che verrebbero aggravate dal taglio dei denari governativi di cui si parla da tempo, ma che non sono ancora stati quantificati, né si sa quali testate saranno colpite. Intanto, il giornale lo firma lui editore-direttore foraggiato dallo Stato!
Ma la cosa più grave di tutta questa vicenda è la totale indifferenza del sindacato dei giornalisti, in particolare di Stampa Romana, l’associazione alla quale Ranucci, che l’avvocato comunque lo pagherà di tasca sua, si è rivolto per ottenere, come sarebbe da attendersi, appoggio e quantomeno solidarietà.
Nulla, silenzio totale, nemmeno una noticina di maniera, come si fa in questi casi, la Fnsi, d’accordo, è alle prese con la grana del contratto, ci sono cose più gravi del licenziamento del direttore de l’Avanti.
Da parte nostra, conoscendo Ranucci, più volte commissario agli esami di Stato per i giornalisti, docente all’università di Sora, autore col giudice Izzo d’un pregevole testo per la preparazione dei giovani che intendono affrontare la professione giornalistica, sappiamo che egli sta vivendo questo difficile momento con grande dignità.
Siamo convinti, che pure in un momento tanto difficile, qualcuno si servirà di lui come professionista valido, mentre la giustizia civile farà, con i tempi che tutti conosciamo, il suo corso. A Fabio, fiduciosi che lo facciano anche altri più titolati di noi, la solidarietà umana e l’affetto personale.

19/12/08

QUESTA TANGENTOPOLI NON E' STRACCIONA

Napoli, Pescara, Potenza, e forse presto anche Catanzaro e Reggio Calabria: sono le tappe di quella che già i giornali non hanno esitato nel definire la nuova Tangentopoli italiana che vede, non tanto sorprendentemente, protagonisti politici, affaristi, manager, e purtroppo anche uomini delle Istituzioni.
Ma stavolta i giudici hanno colpito a sinistra, sbattendo in galera e indagando personaggi del partito democratico, tra cui ex comunisti che, solo qualche anno fa, avevano issato la bandiera del giustizialismo. Ora sono i leader del partito di Veltroni a chiedere che, sì, la magistratura faccia il proprio dovere, manifestando per le toghe non più rosse la più grande fiducia, ma nello stesso tempo negando, fino all’inverosimile, anche cose che tanto inverosimili non sono.
Veramente risibili le affermazioni di Renzo Lusetti, col suo muso di topo, che giustifica i contatti con appartenenti al mondo degli appalti e delle tangenti con la sua disponibilità a tenere sempre acceso il telefonino.
Anche lui, come tutti gli altri, compreso il nanetto Bocchino, noto a Napoli per essere dentro tante situazioni di carattere editoriale, negano tutto, dando al significato delle loro telefonate quello di ingenue chiacchierate. Ma non è così, almeno noi crediamo che i magistrati inquirenti non abbiano perso il loro tempo dando rilievo penale a cose che il grande Montanelli, per definirne l’inutilità, diceva che erano “roba da Rotary”.
In questi giorni mi tornano alla mente gli avvenimenti, che ho vissuto personalmente, dal punto di vista professionale, nell’ormai lontano 1992 quando Reggio Calabria, a seguito delle “confessioni” del giovane sindaco pentito Agatino Licandro, Titti per gli amici, venne sconvolta dal turbine di arresti, “avvisi” e perquisizioni. Era quella che io definisco, e credo di non poter essere smentito, la “Tangentopoli stracciona”.
Ma di quello che cominciò una luminosa mattina di settembre, mentre in città si festeggiava la Patrona, vi parlerò in altra occasione, amici lettori che con tanto affetto seguite il mio modesto blog. C’è qualcuno a cui i nostri discorsi risultano alquanto indigesti, ma se ne faccia una ragione e prenda un Alka selzer. A presto.

15/12/08

GIORNALISTA SCOMODO? BECCATI UN CEFFONE

Non posso non essere d’accordo con il segretario nazionale dell’Ordine dei giornalisti, l’amico nonché concittadino Enzo Iacopino che, con decisione, ha preso una posizione netta sul caso del collega napoletano Migliaccio, redattore di E polis, quotidiano gratuito che ormai edita numerose edizioni in quasi tutto il Paese.
Come è ormai noto, il giornalista, convocato nella sede del comando vigili urbani di Napoli, per non meglio precisate “comunicazioni”, è stato proditoriamente schiaffeggiato dal comandante, Luigi Sementa, ex ufficiale dell’Arma. Migliaccio, incassato il ceffone, ha giustamente sporto querela contro il manesco capo dei vigili che non ricordiamo altrettanto duro con i mafiosi nella sua esperienza calabrese da carabiniere.
Del suo passaggio a Reggio Calabria, infatti, non è che sia rimasta una traccia particolarmente importante.
Non sappiamo se la sindachessa Iervolino, che pure è stata ministro dell’Interno, anche lei senza lasciare grandi tracce, abbia preso i provvedimenti invocati da Iacopino e da tutta la categoria, che non ha fatto mancare al collega Migliaccio la solidarietà. In ogni caso, indipendentemente dal fatto specifico, si sia trattato d’un giornalista o d’un comune cittadino, il comportamento violento dell’ex carabiniere non merita alcuna attenuante.
Sementa può benissimo restare in servizio (anche lui tiene famiglia) ma destinato ad incarichi diversi nell’ambito del Comune partenopeo, in un posto dove non debba avere a che fare con giornalisti fastidiosi.
Napoli è una città paragonabile per tanti versi a Reggio Calabria, ma ciò non significa che si debbano tenere nei confronti d’un cronista atteggiamenti simili a quelli usati da Sementa che è stato il successore a Napoli di un altro ex ufficiale dell’Arma, il colonnello Giosuè Candita, valoroso comandante della Compagnia di Taurianova in anni difficili.
Prerogativa del carabiniere, come mi hanno insegnato anni di frequentazione, che ancora continua, con i militari dell’Arma, ed anche per tradizione familiare, è l’uso del buonsenso, che spesso aiuta ad ottenere dal cittadino quella collaborazione necessaria ad avere conoscenza del territorio. Sementa, evidentemente, è uno che esce da questi schemi e crede, che picchiando il giornalista scomodo, si possano risolvere i problemi che, col suo giornale, Migliaccio non ha fatto altro che evidenziare, sottolineando, tra l’altro, le insufficienze del corpo dei vigili fino al momento, ma speriamo ancora per poco, affidato al comando dell’intollerante Sementa.

13/12/08

MAFRICI PRESENTA LA SUA ULTIMA FATICA LETTERARIA

L’appuntamento è per giovedì 18 dicembre nell’esclusivo circolo antico tiro a volo, a piazzale delle Muse, zona Parioli, a Roma. Un reggino, già direttore generale di Confagricoltura, Arcangelo Mafrici, presenta la sua ultima fatica letteraria “Magia del mito greco. La prima notte di nozze di Zeus e di Era durò trecento anni.
Alla presenza dell’autore, e dell’editore, anch’egli reggino, Giuseppe Gangemi, di questa interessante performance di Mafrici parlerà il presidente della Suprema Corte di Cassazione, dottor Vincenzo Carbone. Saranno presenti esponenti di primo piano del mondo artistico, letterario, politico, sindacale, giornalistico, della Capitale, tra cui molti calabresi che frequentano l’associazione Fata Morgana, fondata da Mafrici qualche anno fa, che raccoglie numerosi reggini e di altre città della Calabria che a Roma vivono e lavorano, occupando posti di grande responsabilità e distinguendosi nei campi più diversi, dalla magistratura alla medicina.
Ci stupiamo al ricordo di Eurinome che, venuta al mondo dal Caos, scrive l’autore, non trovò nulla di solido su cui poggiare il piede: e ci stupiamo della bella Afrodite perché nata dalla candida spuma del mare; di Ermes, che proteggeva i ladri e gl’imbroglioni; di Efesto, nato talmente brutto, che la madre lo scaraventò giù dall’Olimpo; della spietata ira di Achille che trascinò più volte, intorno alle mura di Troia, il corpo dell’eroico Ettore ucciso per poi, pietoso, restituirlo alla moglie Andromaca; delle sirene il cui canto ammaliava i navigatori; di Caronte che, nel mondo degli Inferi, pretendeva un obolo per traghettare le anime da una sponda all’altra del fiume Stige; degli alberi i cui frutti facevano vivere la vita a ritroso.
Di tutto questo ci stupiamo, e delle mille e mille altre leggende che gli aedi e i rapsodi recitavano e cantavano presso le corti degli aristocratici, sulle piazze e per le strade della Grecia.

12/12/08

QUEL RAGAZZO BRUNO CHE ACCAREZZAVA IL PALLONE

Il campo sportivo di Pellaro è a pochi passi dal mare. Il terreno di gioco è duro, a tratti sabbioso, il vento sferza i vecchi olmi che qualcuno piantò, anni fa, quando quel rione sonnolento a pochi minuti dalla città, ma così lontano dai ritmi incalzanti del quotidiano, era una piccola repubblica.
Sul quel campo senza erba si allenano due squadre, la Pro Pellaro, che attraversa il suo momento d’oro, e la Libertas, che va avanti a stento, facendo leva sull’entusiasmo del presidente, il professor Aiello, e sulla guida tecnica di “Tuzzo” Battaglia. Il regista di centrocampo è un giovane bruno dal tocco felpato, si chiama Italo, studia all’università, idee di sinistra, vorrebbe fare lo storico.
Ho tra le mani una foto ingiallita, ed eccolo Italo, accanto a Battaglia e altri tre ragazzi che guardano l’obiettivo con aria spavalda, lui è lì col suo sorriso e le braccia conserte. Quanto tempo, Italo, io e gli altri della mia età stavamo dall’altro lato, con i primi in classifica e con aria di sufficienza trattavamo i “parenti poveri” della Libertas cui qualche soldo arrivava dai notabili dc del rione.
Da allora avevi scelto di essere minoranza, perché in fondo lo sei stato tutta la vita, e anche quando il favore popolare, la gente che ancora non dimentica di amarti, decisero di portarti sullo scranno più alto di palazzo San Giorgio restasti sempre tale, dalla parte degli umili, di quelli che parlano sapendo di non avere voce.
Quanto tempo, Italo, da quei giorni ad inseguire un pallone su quel campo gibboso, fino a ritrovarci tu consigliere comunale appena eletto, io giovane cronista alle prese con la difficile esperienza di “fare” l’informazione in una città che di lì a qualche anno sarebbe stata indicata ad esempio di degrado, di centro di corruzione e strapotere della mafia, il buio era calato su Reggio.
E vennero quegli incontri della domenica mattina, quando passavi dal giornale e si parlava di tutto meno che di politica, le cose del tuo partito le tenevi dentro anche con una certa sofferenza, del resto la tua “anomalia” era nota, eri l’uomo del dialogo, del confronto sereno e portavi nei ragionamenti la tua cultura storica, quell’approccio “salveminiano”, ci si passi il termine, che ti faceva vedere la realtà attraverso una lente tutta speciale.
La cultura, osservavamo, non la si compra al mercato, la formazione politica, ed era questo un tuo cruccio, la cosa che già allora (e non avevamo certo la classe politica di adesso) lo angustiava non può essere improvvisata, fatta di slogan.
Poi, il discorso prendeva altre direzioni, e veniva fuori la comune passione per la ricerca storica, lo studio delle radici di questa terra, il pensiero dei grandi uomini che nell’arco dei secoli l’hanno attraversata, tanti di loro sono stati dimenticati. Ricordo che avevamo anche pensato a qualcosa da fare assieme, ma gli impegni suoi e miei (intanto avevamo messo su famiglia) non ce lo avrebbero consentito.
“Vedrai, mi disse, che potremo farlo, ci sarà pure per noi il momento del riposo”.
Per lui è arrivato in un giorno grigio di dicembre l’appuntamento con la signora vestita di nero con in mano quella falce che, come disse il Poeta, “pareggia tutte le erbe del prato”.
Quanto tempo avremmo avuto, Italo, da dedicare alla nostra amata storia, so che tu ne parlavi coi figli, che hai cercato, come cerco di fare io, di inculcare dentro di loro la passione per questa disciplina fondamentale nella formazione dei giovani, e chissà quanto bisogno ce n’è in questo mondo che dimentica i valori, cancella le tracce del passato, non apre alle nuove generazioni le porte della speranza.
Tu volevi farlo e l’hai fatto finchè hai potuto, da docente, da politico, da guida illuminata d’una Reggio ripulita dalle macerie accatastate da una classe di governanti avidi e incapaci, solo poche stelle hanno brillato in un firmamento scuro come un antro dell’Inferno dantesco. Ora attorno a te è il silenzio, dovunque tu sia, ne sono certo, ti vedranno incedere col tuo passo elegante, silenzioso, come quando accompagnavi, con lancio perfetto, il pallone verso il compagno in attesa.
Ci saranno giorni e giorni, ma il tuo ricordo resta incancellabile anche in coloro i quali, e io sono tra quelli, che lavorando altrove, non ti hanno seguito nel cammino di primo cittadino conosciuto in tutto il Paese e additato ad esempio, capace di rispondere con un sorriso agli attacchi più feroci e di trovare il coraggio di dire tutto alla gente, anche quando non era piacevole, come dare l’annuncio della malattia, che vile agguato del destino, caro Italo.
Guardo questa foto e un brivido mi percorre la schiena, ma dentro di me si fa forza la speranza che non tutto è finito, che quel discorso interrotto lo riprenderemo. Ne sono sicuro.

09/12/08

CATANZARO, E' ARRIVATA LA BUFERA

A Catanzaro non passa giorno che non soffi il vento, sia inverno o estate. Un vento gelido spazza la strana piazza che s’apre davanti al vecchio palazzo di giustizia che, fino a non molti anni fa, era a pochi metri dal carcere e dall’albergo Moderno, ora trasformato in banca.
E’ in quelle stanze che soggiornavano i boss di Cosa Nostra liberi e i parenti di quelli detenuti mentre si celebrava il processo che vedeva alla sbarra, tra gli altri, personaggi come Angelo La Barbera e Frank Coppola detto tre dita.
Per tutti, secondo la migliore tradizione dell’epoca, arrivò l’assoluzione e la sera, al Moderno e nelle trattorie dove si cucinava il “morsello” fu festa grande, da Reggio arrivarono personaggi tipo don Ciccio Canale, detto “u gnuri”, per il suo aspetto da gentiluomo di campagna.
Il vento sbatte contro le finestre stile piacentiniano della Procura dove, nei giorni scorsi, un allibito procuratore generale e un altrettanto meravigliato procuratore capo, del resto in servizio lì da pochi giorni, si sono visti consegnare un malloppo di quasi duemila pagine, un decreto di sequestro così corposo non s’era mai visto, preparato dai “colleghi” di Salerno che hanno raccolto le denunce di Luigi de Magistris, cacciato come un reprobo da Catanzaro e rimandato nella sua Napoli con il divieto di fare il pm investigatore, di non rompere più le scatole, insomma, con le sue inchieste.
Come finirà questa brutta storia Dio solo lo sa, ma il danno d’immagine che tutta la magistratura, e quella catanzarese in particolare, hanno subito, è incalcolabile, mentre l’opinione pubblica non capisce bene cosa sia successo anche perché nessuno l’ha spiegato. Ci sono indagini ancora coperte da segreto, una caterva d’indagati, tra cui parecchi giornalisti, la seria prospettiva che tutto vada a carte quarantotto e si finisca con il nascondere, dietro un grosso polverone, le magagne che un gruppo di massoni, affaristi, politici di professione, magistrati distratti (?) hanno combinato in questi anni che, per la Calabria, governata malissimo, sono stati drammatici.
Dopo tutto, ai calabresi poco importa di questo scontro tra Procure, delle perquisizioni di prima mattina come si fa in casa dei delinquenti, dell’indignazione del presidente della repubblica, affari loro, sti cazzi di magistrati pensassero a mettere dentro il maggior numero di mafiosi possibile, di fare inchieste nella pubblica amministrazione dove le mazzette, a quanto pare, hanno ripreso a girare.
Non sarebbe meglio, a questo punto, una salutare “purga” in quegli uffici giudiziari molto inquinati, per usare un eufemismo, allontanando (in Italia, si sa, non si licenzia nessuno) coloro che hanno dimostrato di pensare più alle lotte intestine che a scrivere sentenze?.
Forse qualcosa accadrà, sempre che gli incappucciati che s’annidato in ogni struttura statale, non entrino in azione. Ricordo la confessione che anni fa mi fece un questore venuto dal Nord a Catanzaro, dove in quel periodo mi trovavo in “soggiorno obbligato” professionale. Quasi scoraggiato, mi rivelò che nella città dei tre colli aveva trovato più logge massoniche che a Milano. Mi dicono che, col tempo, il numero sia cresciuto.

05/12/08

LUXURIA AD "ANNOZERO" SPETTACOLO PENOSO

Seguo raramente, e con qualche difficoltà, la trasmissione Annozero di Santoro che, negli ultimi tempi, sentendo evidentemente puzza di bruciato, assume un atteggiamento buonista, preferendo, come ha fatto con Celentano, far prendere, come s’usa dire dalle nostre parti, il fuoco con le mani degli altri.
Ma ho provato veramente un senso di disgusto quando il noto(anche alle questure) trans gender Pasquale Guadagno, in arte Vladimir Luxuria, ha letteralmente aggredito la collega Norma Rangeri, una delle critiche televisive più apprezzate e che lavora per un giornale, il Manifesto, che all’ex (per fortuna) deputato di Rifondazione non dovrebbe sembrare nemico.
La colpa della Rangeri sarebbe stata, ad avviso di Luxuria, che ha potuto smettere di prostituirsi, come da lei stessa (o stesso?) dichiarato, grazie all’elezione in Parlamento, quella di averla definita, a seguito dei comportamenti tenuti sull’Isola dei famosi, “donnetta da ballatoio”.
Una critica, questa della collega Rangeri, che ho condiviso in pieno, io al suo posto sarei stato molto più duro nei confronti di questo personaggio che, lautamente retribuito, ha partecipato al reality che io seguo (ebbene, sì) su Sky, che ritrasmette tutte le puntate in orari diversi.
Non ci rendiamo conto di come gli italiani che l’hanno votata non si siano accorti che dal primo giorno ha assunto atteggiamenti quantomeno ipocriti, palesemente falsi nei rapporti, cattivi nei giudizi, spietati nel tentare di eliminare quelli che, a suo giudizio, avrebbero potuto insidiare il suo pacco di euro.
Adesso, i suoi ex compagni di partito, che dopo il tracollo elettorale, come ammesso dalla stessa Luxuria, l’avevano scaricata, l’hanno trasformata in una icona della sinistra, proponendole di candidarsi alle Europee, nel tentativo di raccattare un po’ di voti che, a mio avviso, comunque, non serviranno ad evitare ai compagni di Rc una nuova batosta.
Paragonare la vittoria del travestito foggiano a quella di Obama, come segnale epocale di cambiamento della politica, mi sembra una cosa tanto assurda quanto disgustosa. Con certi simboli che si sta cercando di rispolverare, gli orfani di Bertinotti, guidati dall’integralista Ferrero e dal gay dichiarato Vendola, non andranno molto lontano.

02/12/08

LA TELEFONATA CHE NON POTRO' PIU' FARE

Pomeriggio piovoso a Roma, è da tre giorni che va avanti così. Per vincere la noia, si fa zapping: a canale 5 c’è la trasmissione condotta da Barbara D’Urso e in studio c’è Walter Nudo, il vincitore della prima edizione dell’Isola dei famosi.
Sto per cambiare canale, quando la soubrette napoletana annuncia un collegamento con Maria Scicolone, sorella di Sofia Loren, nota per le sue frequenti apparizioni in tv nella qualità di cuoca. Le sorelle Scicolone sono nate a Pozzuoli, che era il luogo natale di mia madre, che ho perso pochi mesi fa.
A Pozzuoli ho trascorso nell’infanzia e nell’adolescenza, in casa dei nonni, affacciata sul golfo di Napoli, momenti bellissimi, per cui quando sul video appaiono le immagini della casa paterna della diva del cinema che mia madre aveva visto crescere sgambettante nei vicoli della Pozzuoli pre terremoto, sento un tuffo al cuore.
Tante volte la mamma mi ha telefonato, quando c’era qualcosa in televisione che riguardava la “sua” Pozzuoli, e ne approfittava per raccontarmi qualche aneddoto, lei che la mamma delle sorelle Scicolone la conosceva, sapeva della vita difficile d’una donna bella, romantica, ma che all’epoca, essendo una separata, veniva additata come una poco di buono.
In casa, come ha ricordato l’altra sera alla D’Urso la stessa Maria, la carne era merce rara, Sofia ha mangiato tanta, ma tanta frittata.
Il primo impulso, appena ho visto le immagini di Pozzuoli, è stato quello di prendere il telefono e chiamare la mamma, ma questa telefonata non ho potuto, né potrò più farla, mai più.