20/11/09

PROMESSA SPOSA DEL MOSTRO, CHE SQUALLIDA ESIBIZIONE!

Quello che è accaduto nel pomeriggio di oggi durante la trasmissione l'Italia sul Due, condotta da Milano dal collega Milo Infante e, da Roma, dalla ex suorina di "A sua immagine", poi trasformatasi in show girl, Lorena Bianchetti, ha dell'incredibile.
Il clou del programma, secondo l'intenzione degli autori doveva essere quella che è stata presentata come un'esclusiva, cioè la presenza in studio a Roma della giornalista Donatella Papi, che sta vivendo il suo momento di notorietà dopo che sui giornali è apparsa la notizia del prossimo matrimonio con l'ergastolano Angelo Izzo, uno dei cosiddetti mostri del Circeo che, tornato in libertà, si è reso responsabile di un duplice omicidio e si è preso una condanna a vita.
La signora Papi, già consorte di uno dei figli di Amintore Fanfani, ha dato lettura di un suo "comunicato" del resto già letto durante altra intervista a Canale 5, sempre in esclusiva, col quale annuncia di credere all'innocenza di Izzo e di essere in grado di dimostrarlo facendo riaprire i processi.
Gli ospiti a Milano, tra cui la direttrice di Diva e Donna, Silvana Giacobini, l'attrice Lella Costa, ed altri personaggi sono insorti e, tranne la Giacobini, hanno abbandonato la trasmissione in segno di solidarietà con le famiglie delle persone uccise da Izzo, del resto reo confesso, come ha confermato lo stesso legale, avvocatessa Lucia Fusco, presente assieme ad un attonito Nino Marazzita che ha preso le distanze dicendosi pentito di aver accettato l'invito. Mentre Infante cercava di mettere una pezza, la Papi tentava di spostare il discorso sul piano sentimentale e la Giacobini si produceva in un durissimo intervento dando della mercenaria alla promessa sposa dell'ergastolano, la Bianchetti dava la parola alla sorella di una delle vittime della strage del Circeo, la povera Rosaria Lopez, amica di Donatella Colasanti che si salvò fingendosi morta.
Via telefono, la congiunta della sfortunata ragazza violentata e seviziata da Izzo e dai suoi degni compari, ha urlato tutto il suo sdegno invitando la ormai disorientata Papi ad avere rispetto per chi ha perso i suoi cari.
Un esempio di pessima televisione, per la gestione del programma da parte dei conduttori, sui quali certamente si abbatterà una valanga di critiche. La telenovela delle nozze tra la bionda collega romana e il feroce criminale che si vorrebbe far passare per innocente non finirà tanto presto, l'augurio che la tv, almeno quella di Stato, non cada più in errori del genere.

10/11/09

ALLA GALLERIA MONOGRAMMA MOSTRA FOTOGRAFICA DI TERESA EMANUELE

Ancora un appuntamento artistico di grande rilievo alla galleria Monogramma di via Margutta, a Roma, di cui è titolare il reggino Giovanni Morabito.
Sfidando tutte le regole della scaramanzia, Teresa Emanuele inaugura la sua personale fotografica venerdì 13, giorno della sua nascita, con 13 opere. La mostra resterà aperta fino al 16 dicembre e sarà possibile visitarla tutti i giorni non festivi dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19,30. L'ufficio stampa è curato da Gianluca Morabito. L'inaugurazione sarà preceduta alle 18 da un cocktail all'Enigma, sempre in via Margutta, è prevista la presenza di noti personaggi della cultura, dell'arte, della politica, del giornalismo.
"Come l'arte iconografica si serve dell'occhio, Teresa Emanuele si serve dell'obbiettivo cercando di creare un'immagine inclusiva fatta di svariati momenti, fasi ed aspetti delle cose".
Così si esprime il professor Mauro De Felice nella presentazione del catalogo, ed aggiunge che con la fotografia, la Emanuele "offre un mondo interiore di fantasie e di sogni, una presentazione delle idee in una sequenza d'inquadrature e non fotografie, alla ricerca del proprio specifico. L'artista mima, sì, il quadro, ma con la possibilità di ritagliare il particolare, emancipando le capacità visive artistico-creative attraverso le quali ipotizzare quella funzione narrativa che possa accrescere in parte il patrimonio formativo comunicabile".
Per Teresa Emanuele, osserva ancora il professor De Felice, "l'impostazione operativa è caratterizzata tanto dal suo mondo interno, quanto dalla sua relazione con il più ampio contenuto ambientale. L'artista è consapevole che, osservando la natura, si impari a conoscere il mondo dal quale si trae esperienza. Gli elementi naturali o fisici diventano immagini, necessariamente legate con la struttura emozionale dell'artista; le gocce d'acqua, infatti, campeggiano nelle sue opere come nella vita e rivaleggiano, per effetto romantico, con la natura".

05/11/09

ADDIO A PEPPINO DIANO, BANDIERA DEL SINDACATO

L'ultimo saluto gli amici, i compagni di partito, quelli della Cgil, glielo hanno dato nella "sua" Catona, da dove non s'era mai voluto allontanare. Peppino Diano ha concluso la sua vicenda terrena lasciando dietro di sè la scia d'un unanime rimpianto. Un paio d'anni fa, in occasione del quarantennale dalla fondazione della Cassa Edile, avevo inserito un suo ritratto nel volume che ho curato per l'occasione. Quale migliore ricordo che riproporlo, ora che Lui ci ha lasciato, saranno in tanti a sentirne la mancanza.

Giuseppe Diano, Peppino per gli amici, porta i suoi quasi 80 anni con giovanile baldanza, anzi, come dice lui, li ignora continuando a fare, anche dopo la pensione, la stessa vita che ha fatto negli ultimi sessant’anni.
Era il 1943 quando, giovanissimo lavoratore in una segheria, gli capita tra le mani una copia del giornale ”Italia libera”, organo del Partito d’azione e il germe del socialismo gli s’insinua nel corpo.
Del resto, a Catona, dove è nato e ancora vive, le tradizioni socialiste sono antiche, basti pensare alla famiglia Musolino. Il ragazzo è sveglio, da autodidatta si tiene informato, tra i compagni di lavoro si conquista le simpatie e cerca con successo di far capire, e in quegli anni non era cosa facile, quali sono i diritti del lavoratore, spiega che il padrone non può più agire in maniera paternalistica, si comincia a parlare di assistenza, previdenza, ferie.
Ma tra i socialisti catonesi non c’è molto spazio per lui, per cui anche se i comunisti sono una sparuta presenza, passa al Pci e parte la sua lunghissima militanza che lo porterà di lì a qualche anno, a far parte dei “quadri” del partito e iniziare la sua attività di sindacalista nella Cgil.
Peppino Diano è una bandiera, il simbolo d’una classe dirigente del vecchio Pci della quale restano ormai solo pochi esemplari, ma la sua vita, che è un piacere sentirtela raccontare, è stata un vero e proprio romanzo.
La svolta arriva quando, dopo un infuocato comizio a Catona, siamo all’inizio degli anni Cinquanta, il segretario della federazione comunista, cui avevano riferito delle capacità oratorie, ma anche organizzative, di Diano, lo convoca e gli fa la proposta di lasciare il suo lavoro di segantino e diventare funzionario del Pci. I leader locali sono i vari Suraci, Misefari, Fiumanò.
Lui sulle prime esita (“ho famiglia, ho bisogno dello stipendio”) ma il segretario taglia corto e lo rassicura, avrà la stessa cifra che prende in segheria, ed ecco Diano che si trasferisce nella sede del partito, ma tenerlo dietro la scrivania non è facile, nel suo destino c’è fare il sindacalista, reclutare tesserati, andare nei cantieri e nelle aziende dell’epoca, quasi mai accolto con piacere, anzi tutt’altro, ma i lavoratori lo amano e ben presto si accorgono che organizzarsi sindacalmente conviene, le buste paga diventano più robuste, gli orari di lavoro meno pesanti, è la civiltà che prevale su un autentico schiavismo che per anni nel profondo sud ha imperato.
Lui c’è quella mattina di marzo del 1960, quando viene costituita la Cassa Edile, per mesi è andato nei cantieri, da segretario della Fillea, il sindacato degli edili della Cgil, ha parlato agli operai, si è procurato i contratti nazionali, lo statuto dell’unica Cassa presente sul territorio nazionale, quella di Genova.
Un giorno, racconta, quando il capocantiere tentò di mandarlo via, mentre stava con decine di muratori durante la pausa pranzo, tutti si ribellarono, o Diano sta qui, oppure oggi non si lavora.
Per sette anni, fino a quando gli impegni sindacali non lo portarono verso incarichi di prestigio, anche in campo nazionale, è stato nel consiglio d’amministrazione della Cassa Edile, assieme a Cisl e Uil: quando andò via, l’Ente era ormai consolidato e lui continua a sentirselo un poco anche figlio suo.
Diano era alla guida della Cgil quando a Reggio scoppiò la rivolta per il capoluogo e per chi militava a sinistra erano giorni difficili, con minacce, assalti alle sedi, aggressioni fisiche e ci voleva molto buonsenso per non lasciarsi travolgere dal clima di violenza che turbò l’intera Calabria.
Peppino Diano, sempre sorridente, ancor oggi accoglie amici e compagni, lavoratori, pensionati, chiunque varchi il portone della Cgil con l’entusiasmo e la passione di tanti anni fa, lo stesso entusiasmo e passione che lui ed altri benemeriti dimostrarono facendo nascere la Cassa Edile, con lo spirito di fratellanza, assistenza, mutualità, impegno nella difesa del posto di lavoro.