30/12/09

I BRONZI SLOGGIATI DAL MUSEO IN "CURA" NEL PALAZZO DEGLI INQUISITI

C'è un viavai di gente, a palazzo Campanella, dove sono stati "ricoverati" i Bronzi di Riace per il restauro conservativo: i due giganti distesi sulle barelle, attorno è un continuo affaccendarsi di tecnici, c'è chi scatta foto, chi prende appunti, chi usa il computer.
Mi mescolo alla piccola folla di curiosi e osservo, il cronista d'una vita il vizio non lo perde mai. Guardo i Bronzi schiodati dai loro piedistalli e mi pare di cogliere nei loro sguardi immobili qualcosa d'umano, quasi volessero dire qualcosa, esprimere i loro pensieri, dopo tutto al centro della scena sono loro.
Mi pare di vederli piuttosto scocciati, questa trasferta forzata nel palazzo della politica, che ospita, ancora per qualche mese, il consiglio regionale unanimemente definito il più inquisito d'Italia, non deve averli divertiti.
Certo, ne hanno approfittato un pò tutti per fare passerella, il giorno in cui, con una scenografia degna d'un colossal cinematografico, è avvenuto il trasloco dal Museo per il momento chiuso anche lui per restauro, all'edificio tutto angoli e cubi che ospita il parlamentino calabrese.
Il presidente Bova, mi raccontano, non ha mai smesso di sorridere, quasi a voler fare concorrenza alla ormai nota assessoressa ai piccoli e grandi eventi; è diventato serio quando nel palazzo ha fatto irruzione il sindaco Scopelliti che, per la mole e l'imponenza qualcuno non ha esitato a definire il terzo Bronzo, quello che forse ancora dorme nei fondali dello Jonio.
I due potrebbero essere rivali nella corsa alla presidenza della giunta regionale che Loiero è ben lontano dal voler abbandonare, guai a sottovalutare l'ex parlamentare di non ricordo più quali partiti, che le sue carte se le giocherà, col suo sguardo sornione.
Non solo li hanno costretti ad abbandonare la loro comoda casa di piazza De Nava, non solo li lasceranno chissà quanto tempo distesi mentre tante mani frugheranno sul loro corpo, in aggiunta i malcapitati Bronzi devono anche sorbirsi le chiacchiere dei politici tutti sorrisi in pubblico, pugnalate alla schiena in privato.
Comunque, faccio anche a loro gli auguri di buon anno: quando la "cura" sarà completata potranno tornare, ma non si sa quando, nella loro sede naturale, a meno che qualcuno, se lo scenario politico sarà nel frattempo cambiato, non penserà di mandarli altrove.



25/12/09

IL NATALE DEI CALABRESI NON E' QUELLO CHE CI FA VEDERE LA RAI

Il Natale dei calabresi, nelle sue varie rappresentazioni, non è certamente quello che il tg Rai ci ha presentato in questi giorni, fatto solo di feste, mangiate pantagrueliche, servizi allo zucchero filato, solo sorrisi e tante, tantissime, favole cui la gente ormai non crede più.
I colleghi della sede Rai della nostra regione, alcuni dei quali stimiamo dal punto di vista professionale ed ai quali, tra l'altro, ci lega un rapporto d'antica amicizia, hanno trovato, e ci spiace sottolinearlo, il sistema in questi giorni di festa, ma non per tutti, di eludere la realtà, che è drammatica, per proporci solo l'aspetto eno gastronomico e la sagra dei mille presepi, viventi o no.
Nel momento in cui la crisi fa sentire ancor più i suoi morsi, non è possibile proporre servizi che, sia ben chiaro, servono solo a nascondere sotto il tappeto la polvere di un degrado che si fa ogni giorno più preoccupante. E adesso incombe la campagna elettorale per le regionali con due personaggi, o forse tre, che si daranno battaglia per conquistare la poltrona più ambita a suon di promesse che puntualmente non verranno mantenute.
Certo, ai calabresi, se toccherà scegliere tra Loiero e Scopelliti, sarà un bel problema, sapendo in partenza che dalla padella finiranno direttamente nella brace. Il sindaco più amato dai reggini, come viene definito dai suoi corifei in servizio permanente effettivo, pur rilasciando dichiarazioni a getto continuo, quale che sia l'argomento, e tenendo in pratica una conferenza stampa al giorno, festivi inclusi, ha dimenticato che Reggio è precipitata agli ultimi posti della classifica delle città dove si vive peggio.
Ancora una volta, troveremo nelle liste cariatidi della prima e seconda repubblica, riciclati, assolti o prescritti, gente che dire chiacchierata è far loro un complimento. Poi ci sono le famiglie della mafia, che qualche indicazione, visti alcuni cambi di casacca che si sono registrati in questi giorni, l'hanno già data. E ci saranno, anche stavolta, i loro uomini ad entrare direttamente nell'istituzione principale della Calabria che resta la regione del Paese più militarizzata, più spiata, più sottoposta a pressione da parte degli organi inquirenti. Nei giorni della festa, un invito ai calabresi, ai reggini in particolare: riflettete bene, prima di scegliere, perchè poi non ci sarà più tempo per pentirsi.
Intanto, auguri a tutti quelli che amabilmente in quest'anno hanno seguito il mio blog ed anche a quelli, veramente pochi per fortuna, che non gradiscono, anche se sanno di rappresentare la parte peggiore della nostra società. Sono loro che talvolta ti fanno vergognare di essere calabrese, quando vivi altrove.


19/12/09

SEQUESTRO MEDICI, UN SILENZIO CHE DURA DA 20 ANNI


C’è una donna che, ogni notte, da venti lunghissimi anni, fa lo stesso sogno.
Poco prima che scocchi la mezzanotte, sente qualcuno che bussa alla porta: è uno che ha la chiave di casa, ma che non può usarla, perché da migliaia di giorni è scomparso, come inghiottito dalle tenebre, sparito nel nulla.
E’ uno dei sequestrati che non sono tornati, è Vincenzo Medici, rapito il 21 dicembre del 1989 a Bianco e di cui, come recita l’arida forma dei mattinali di polizia, “non si hanno più notizie”.
Giovanna Ielasi, la moglie, lo rivede col suo sorriso bonario sul faccione rubizzo, ha in mano un enorme fascio di rose.
Era il mestiere suo, quello di coltivare piante e fiori, e anche quella sera, sotto un cielo stellato, era andato in azienda a vedere se tutto fosse a posto, a seguire, quasi tenendo il fiato sospeso, la crescita nelle serre illuminate in quel mare di verde.
Casa e lavoro, famiglia e lavoro: pur non avendo avuto figli, Vincenzo, Enzo per gli amici, e Giovanna erano assai uniti, colmavano questa lacuna riversando ondate d’affetto sui nipoti, i fratelli.
E su un mobile, nella casa silenziosa, dove nessuno quasi mai, da “quel” giorno, apre le finestre, c’è una bella foto a colori, che ritrae Vincenzo Medici (“zio Enzo”) con la nipote Patrizia, figlia del fratello Giulio, l’avvocato, che venne bloccato a Roma all’uscita d’una banca con nella borsa il denaro che faticosamente era riuscito a raccogliere, nella speranza di poter aprire una trattativa con gli spietati “esattori” della cosiddetta Anonima sequestri della Locride.
Lo Stato mostrò la sua faccia più dura, i soldi vennero sequestrati, e il telefonista della banda non fece più sentire quella voce metallica, quasi spaziale, una voce che ancor oggi mette i brividi, a risentirla, incisa sul nastro d’una vecchia cassetta.
I Medici vivono questo dramma in dignitoso silenzio: non si sono affidati ad altri, se non alla speranza.
Niente taglie, neppure appelli sui giornali, una composta sofferenza vissuta ogni giorno, una sorta di calvario che lascia dietro di sé soltanto un senso d’impotenza, una spossatezza morale.
Niente più visite in Procura, a Locri, dove ancora non si è riusciti a squarciare il velo del mistero sui cosiddetti “riscatti di Stato”, pagati, eccome, per la liberazione di altri sequestrati. Una pagina nera per le Istituzioni, mentre c’è chi si gode ancora il denaro ricevuto in cambio di presunte “informazioni”.
Il caso è ufficialmente ancora aperto, l’inchiesta è però inesorabilmente finita sul binario morto dell’archiviazione.
Si è sperato, in questi anni, nella pletora di pentiti più o meno attendibili, ma nessuno di loro, almeno finora, ha detto di sapere qualcosa della sorte di Vincenzo Medici, uomo generoso, che aveva creato lavoro e benessere per tanta gente, in una zona dove, a tratti, il profumo intenso della salsedine, si mescola a quello del gelsomino in fiore, e ne viene fuori un’essenza inebriante, che stordì i primi coloni greci sbarcati migliaia d’anni fa, che dalla costa risalirono le sassose fiumare fino ad incontrare i brulli calanchi tipici d’un paesaggio che ispirò Cesare Pavese, esule a pochi chilometri, a Brancaleone.
Giovanna Medici non ha ancora smesso di credere in quella gente ionica, è rimasta tra loro, non cova odio, rivendica soltanto il diritto di sapere e non vuol rassegnarsi alla rassegnazione.

11/12/09

ITALO, QUEL RAGAZZO BRUNO CHE ACCAREZZAVA IL PALLONE


Era una serata fredda e piovosa, quella del giorno in cui Italo Falcomatà concluse la sua avventura terrena e la ricordo come fosse ora. Anch'io, in quei giorni stavo male, il cuore aveva fatto i capricci, dopo intensi mesi di lavoro, le tensioni accumulate, i rapporti non facili con il mio ex direttore (che Dio lo abbia in gloria) mi avevano costretto al riposo. Non potei partecipare ai funerali, come avrei voluto e mi tenni dentro questo rammarico. Ad un anno dalla scomparsa, durante la mia breve ma importante esperienza al Quotidiano della Calabria, preparammo uno speciale ed io scrissi il pezzo che leggerete (se vorrete, miei affezionati amici del blog) al quale ho lasciato lo stesso titolo d'allora. Italo, da lassù, sarà contento. Chissà che, un giorno, qualche partitella potremmo farla, come tanto tempo fa.


Il campo sportivo di Pellaro è a pochi passi dal mare. Il terreno di gioco è duro, a tratti sabbioso, il vento sferza i vecchi olmi che qualcuno piantò, anni fa, quando quel rione sonnolento a pochi minuti dalla città, ma così lontano dai ritmi incalzanti del quotidiano, era una piccola repubblica.
Sul quel campo senza erba si allenano due squadre, la Pro Pellaro, che attraversa il suo momento d’oro, e la Libertas, che va avanti a stento, facendo leva sull’entusiasmo del presidente, il professor Aiello, e sulla guida tecnica di “Tuzzo” Battaglia. Il regista di centrocampo è un giovane bruno dal tocco felpato, si chiama Italo, studia all’università, idee di sinistra, vorrebbe fare lo storico.
Ho tra le mani una foto ingiallita, ed eccolo Italo, accanto a Battaglia e altri tre ragazzi che guardano l’obiettivo con aria spavalda, lui è lì col suo sorriso e le braccia conserte. Quanto tempo, Italo, io e gli altri della mia età stavamo dall’altro lato, con i primi in classifica e con aria di sufficienza trattavamo i “parenti poveri” della Libertas cui qualche soldo arrivava dai notabili dc del rione.
Da allora avevi scelto di essere minoranza, perché in fondo lo sei stato tutta la vita, e anche quando il favore popolare, la gente che ancora non dimentica di amarti, decisero di portarti sullo scranno più alto di palazzo San Giorgio restasti sempre tale, dalla parte degli umili, di quelli che parlano sapendo di non avere voce.
Quanto tempo, Italo, da quei giorni ad inseguire un pallone su quel campo gibboso, fino a ritrovarci tu consigliere comunale appena eletto, io giovane cronista alle prese con la difficile esperienza di “fare” l’informazione in una città che di lì a qualche anno sarebbe stata indicata ad esempio di degrado, di centro di corruzione e strapotere della mafia, il buio era calato su Reggio.
E vennero quegli incontri della domenica mattina, quando passavi dal giornale e si parlava di tutto meno che di politica, le cose del tuo partito le tenevi dentro anche con una certa sofferenza, del resto la tua “anomalia” era nota, eri l’uomo del dialogo, del confronto sereno e portavi nei ragionamenti la tua cultura storica, quell’approccio “salveminiano”, ci si passi il termine, che ti faceva vedere la realtà attraverso una lente tutta speciale.
La cultura, osservavamo, non la si compra al mercato, la formazione politica, ed era questo un tuo cruccio, la cosa che già allora (e non avevamo certo la classe politica di adesso) lo angustiava non può essere improvvisata, fatta di slogan.
Poi, il discorso prendeva altre direzioni, e veniva fuori la comune passione per la ricerca storica, lo studio delle radici di questa terra, il pensiero dei grandi uomini che nell’arco dei secoli l’hanno attraversata, tanti di loro sono stati dimenticati. Ricordo che avevamo anche pensato a qualcosa da fare assieme, ma gli impegni suoi e miei (intanto avevamo messo su famiglia) non ce lo avrebbero consentito.
“Vedrai, mi disse, che potremo farlo, ci sarà pure per noi il momento del riposo”.
Per lui è arrivato in un giorno grigio di dicembre l’appuntamento con la signora vestita di nero con in mano quella falce che, come disse il Poeta, “pareggia tutte le erbe del prato”.
Quanto tempo avremmo avuto, Italo, da dedicare alla nostra amata storia, so che tu ne parlavi coi figli, che hai cercato, come cerco di fare io, di inculcare dentro di loro la passione per questa disciplina fondamentale nella formazione dei giovani, e chissà quanto bisogno ce n’è in questo mondo che dimentica i valori, cancella le tracce del passato, non apre alle nuove generazioni le porte della speranza.
Tu volevi farlo e l’hai fatto finchè hai potuto, da docente, da politico, da guida illuminata d’una Reggio ripulita dalle macerie accatastate da una classe di governanti avidi e incapaci, solo poche stelle hanno brillato in un firmamento scuro come un antro dell’Inferno dantesco. Ora attorno a te è il silenzio, dovunque tu sia, ne sono certo, ti vedranno incedere col tuo passo elegante, silenzioso, come quando accompagnavi, con lancio perfetto, il pallone verso il compagno in attesa.
Ci saranno giorni e giorni, ma il tuo ricordo resta incancellabile anche in coloro i quali, e io sono tra quelli, che lavorando altrove, non ti hanno seguito nel cammino di primo cittadino conosciuto in tutto il Paese e additato ad esempio, capace di rispondere con un sorriso agli attacchi più feroci e di trovare il coraggio di dire tutto alla gente, anche quando non era piacevole, come dare l’annuncio della malattia, che vile agguato del destino, caro Italo.
Guardo questa foto e un brivido mi percorre la schiena, ma dentro di me si fa forza la speranza che non tutto è finito, che quel discorso interrotto lo riprenderemo. Ne sono sicuro.

06/12/09

DELITTO INZITARI, QUANDO LA MORTE E' UN GIOCO DA RAGAZZI

L'assassinio del giovane figlio di Pasquale Inzitari ha suscitato, anche fuori dalla Calabria, orrore e allo stesso tempo provocato riflessioni su quanto possa imbarbarirsi in una regione che ha già tanti problemi, la lotta politica se s'intreccia con quella tra clan mafiosi ormai inseriti a pieno titolo nel tessuto economico e sociale.
Le vendette trasversali, tranne rare eccezioni, al di fuori delle cruente faide che per anni hanno insanguinato le nostre contrade, non hanno riguardato donne e bambini, i figli sono stati tenuti fuori. Non è raro, all'interno di "famiglie" della 'ndrangheta anche le più potenti, vedere i rampolli compiere studi universitari, diventare professionisti anche se con un cognome scomodo.
Chi ha voluto "punire" Pasquale Inzitari, di cui le cronache giudiziarie si sono occupate spesso negli ultimi tempi, lo ha fatto per "motivi politici", come da qualche parte è stato ipotizzato?.
Personalmente credo poco a questa ipotesi, alla luce di quella che è la mia modesta esperienza di cronista per tanti anni alle prese con i fatti di sangue più eclatanti commessi in città e in provincia e con processi ai clan della 'ndrangheta con centinaia d'imputati.
Avendo letto con attenzione gli atti dell'inchiesta che ha portato il padre del povero ragazzo ucciso nel fiore degli anni mentre si apprestava a vivere un momento di sana gioia, tenderei a collegare il gravissimo fatto di sangue sul quale l'opinione pubblica pretende a giusta ragione che venga fatta piena luce, ad altri moventi.
Ma questo non è compito mio, c'è chi è titolato ad indagare, e certamente con grandi difficoltà, se si pensa che l'omicidio è avvenuto nella Piana di Gioia Tauro, non a Rizziconi, dove gli Inzitari risiedono, ma "fuori zona" e, come certe regole non scritte impongono, sicuramente con l'autorizzazione di chi governa quella parte di territorio.
Mi è capitato tante altre volte di occuparmi della morte di giovanissimi, non riesco a cancellare, ad esempio, la feroce eliminazione di due minorenni, ad Archi, durante la seconda guerra di mafia. Scrissi allora, e ripeto adesso, che talvolta la morte diventa un ...gioco da ragazzi. E l'angoscia è quella di allora.