28/01/09

GRANDE FRATELLO, TETTE E MUSCOLI, MA CHE IGNORANZA!


Da quando ho un po’ di tempo a disposizione per i miei svaghi, essendo un pensionato felice e ancora, grazie a Dio, abbastanza attivo, seguo anche quei programmi della cosiddetta tv spazzatura, tipo il Grande fratello, che Sky trasmette 24 ore su 24, a costo di fissare le immagini di gente che dorme saporitamente e che offre al pubblico uno spettacolo talvolta penoso.
Rispetto alla prima edizione, adesso i concorrenti sono più numerosi e ciò fa salire l’indice di litigiosità, già dai primi giorni, come sin dal primo giorno sono cominciati gli approcci diciamo così hard che, col passare del tempo, si sono trasformati in qualcosa di più…pesante.
Intanto, la presenza di ragazze dotate fisicamente, qualcuna come Cristina già soprannominata la tettona, manda in tilt i prestanti giovanotti che se ne stanno tutto il giorno a torso nudo per mostrare quanto la palestra abbia fatto il suo lavoro.
C’è chi, come il non vedente Gerry, che le cose le intuisce, eccome, si trova molto a disagio e non sopporta, al punto da star male, la musica ad altissimo volume. C’è qualche giovane aspirante modella o addirittura attrice che dedica quasi tutta la giornata a cambiarsi continuamente d’abito e curare il look, ma c’è anche qualcuna che, pur vantando un fisico da pin up, se la cava in cucina e dimostra di conoscere anche quelle che una volta si chiamavano le faccende di casa, come stirare e lavare la biancheria.
Credo che quest’anno ne vedremo delle belle e, come è avvenuto puntualmente finora, si formeranno delle coppie (una è già al centro dell’attenzione, quella dell’isterica biondissima agente di moda e dello svagato Nicola) che, una volta finito il programma, si scioglieranno come neve al sole.
Una cosa intanto mi ha colpito negativamente: l’assoluta impreparazione culturale di quasi tutti i concorrenti, alcuni dei quali hanno la laurea, in difficoltà di fronte a domandine facili anche per un ragazzino delle elementari. Ma questi sono i tempi, rassegnarsi conviene, noi che abbiamo perduto anni sui libri. E, ai miei tempi, il Grande fratello non c’era.

23/01/09

CHE MERAVIGLIOSA AVVENTURA E' LA VITA

La telefonata arriva da lontano, molto lontano, la voce è quella d’un amico che non vedi da tanti anni e che, beato lui, se n’è andato a vivere nella terra dei canguri. Ma anche da laggiù, grazie al web, dannata ma meravigliosa invenzione, mi ha ritrovato, ed è diventato uno dei miei lettori del blog che, da qualche mese, ho aperto, rendendo pubblico il diario delle mie giornate, ora che vivo diviso tra Roma e Reggio.
“Non sai quanto piacere mi procura poterti rileggere, dopo anni, prima lo facevo ogni giorno sui giornali per i quali lavoravi, ora si è riannodato il filo d’una antica amicizia”.
Non nascondo d’essermi un po’ commosso, anche perché questa prima telefonata intercontinentale (certamente ce ne saranno altre) è servita a fare un bilancio di questi anni in cui con il mio amico siamo stati lontani, lui a lavorare sodo in terra straniera, io a concludere anzitempo la mia avventura nella carta stampata, e certamente non per mia volontà.
Mi sono potuto sfogare con una persona che mi ha voluto e mi vuole un gran bene e che conosce come vanno le cose nella nostra terra, nella città dove il grande Nicola Giunta, con versi impareggiabili, descrive il fatalismo e purtroppo il cinismo del reggino sempre propenso a non riconoscere le doti di chi ha in casa, perché, anche “u chiù fissa è assai chiù megghiu i tia”.
In un certo senso, ho fatto come lui, che se n’è andato in Australia, anche se io ho scelto la Capitale, il posto più bello del mondo, dove ogni giorno ti ripaga delle sofferenze passate, senza avere a che fare con invidiosi, ignoranti (analfabeti di ritorno, chiamava costoro il grande Ugo Sardella), colleghi che non aspettano altro per infilarti un pugnale nella schiena, politici parolai e tangentisti da quattro soldi.
Che meravigliosa avventura è la vita, dice Venditti, in una sua splendida canzone, che miracolo dell’uomo poter navigare in internet e senti che il mondo è ai tuoi piedi, la tua voce, che nessuno in alcun modo, neppure un direttore arrogante o il mammasantissima di turno, possono mettere a tacere. Grazie amico mio, ci siamo ancora e ci saremo, se Dio vorrà, ancora a lungo.

21/01/09

UN ESEMPIO DI "NUOVO" GIORNALISMO SPORTIVO


Capisco benissimo che in questo momento i colleghi della redazione sportiva del quotidiano d’oltre Stretto, per via dello “stato d’agitazione” (ma non troppo) provocato dal caso Pinizzotto, siano un po’ distratti. Ciò non toglie che, almeno i pezzi dedicati alla Reggina che, ancora è in serie A, si evitasse di affidarli al solito “figlio d’arte” del quale ci siamo occupati altre volte per le sue ineguagliabili performace stilistiche.
Il solito collega malizioso ci segnala una intervista (?) al malcapitato Pillon per il quale, ma la notizia la dà un altro quotidiano, già spirerebbe aria d’esonero in caso di fallimento dei due prossimi impegni con Chievo e Torino.
Lasciamo da parte la punteggiatura, le ovvietà, i luoghi comuni in quantità industriale, per segnalare, a proposito della campagna acquisti cosiddetta di riparazione, che i TANTI SOSPIRATI rinforzi non arrivano.
Il motivo, la promessa del giornalismo sportivo e non, l’individua con spiccata perspicacia, nella mancanza di soldi perché C’E’ NE SONO POCHI e, quindi, SINO ADESSO, non è arrivato nessuno.
Non sono riuscito ad arrivare in fondo alla brillante intervista a Pillon, nonostante la buona capacità respiratoria, considerati gli anni non più verdi. In certi casi, il correttore elettronico non è sufficiente, forse qualche rinfrescatina a grammatica e sintassi, basta procurarsi un buon libro di terza media. Alla prossima.

LABATE FA RIVIVERE IL DRAMMA DEL TERREMOTO


“E’ dunque una spaventosa voragine di morte, aperta nell’estremo lembo d’Italia: le rovine si accumulano con i cadaveri innumerabilmente. Non si osa più fare un’ipotesi sull’enormità del massacro, nel terrore che l’ipotesi più nera debba domani, fra un’ora, con il primo telegramma essere superata dalla realtà. Come una luce sinistra di verità si leva sulla tenebra della nostra ignoranza inorridita. La mente non osa più di fermarsi alla visione atrocissima”.
Con questa prosa un tantino contorta l’anonimo cronista del Corriere della Sera, qualche giorno dopo il terremoto che, all’alba del 28 dicembre 1908, rase al suolo le città di Reggio e Messina, e numerosi centri delle due province, su entrambe le sponde, descrive la terribile catastrofe che aveva seminato terrore e morte.
Più di centomila, tra siciliani e calabresi, rimasero sotto le macerie, e molti di loro non sono stati mai trovati, così come quelle migliaia spazzate via dall’onda di maremoto. In questi giorni, tra una commemorazione, qualche servizio di maniera, “speciali” confezionati ad hoc, vede la luce l’ultima produzione del regista reggino Gaetano Labate, già autore di pregevoli documentari sulla storia della sua città e su argomenti di archeologia il cui valore è stato riconosciuto da giurie specializzate.
Terremoto, è il titolo del dvd che Labate ha pubblicato e che tanto successo sta riscuotendo anche al di là dei confini di Sicilia e Calabria. La ricostruzione di quel dramma, i cui segni, purtroppo, sono ancora visibili, specialmente a Messina, è affidata ad un meticoloso lavoro di ricerca sia iconografica che filmografica, il tutto condito dal commento di una “voce” impareggiabile, quella di Riccardo Mei.
Labate, come al solito, non è rimasto insensibile al “grido di dolore” che si è levato in questi mesi, nell’anno del centenario, ed ha regalato a messinesi e reggini, ma anche agli abitanti di quei paesi che in trenta secondi hanno visto sparire ogni cosa, come inghiottita da un gigantesco vortice partito dal centro della terra, momenti di grande emozioni tra immagini saltellanti e urla disperate.
Il lavoro di Gaetano Labate induce a delle riflessioni, specialmente da parte di chi pensa alla faraonica idea del ponte sullo Stretto che, se allora ci fosse stato, sarebbe stato spazzato via come un castello fatto con le carte da gioco. Certamente, il sisma adesso non provocherebbe i danni materiali di allora, le costruzioni sono ben altra cosa, ma al maremoto, che ora chiameremmo tsunami, ci pensate?-
A cento anni da quei terribili giorni, risentire le testimonianze di chi si salvò, perdendo il resto della famiglia, come Gaetano Salvemini, rende palpabile l’angoscia e, quasi sembra di respirare la polvere che si levò dopo il tremendo scossone della terra.
Grazie a Tanino Labate, amico affettuoso, per avermi riservato il privilegio di vedere in anteprima il suo lavoro. Queste mie modeste riflessioni sono espressione di gratitudine per un figlio di Reggio che ci fa onore.

18/01/09

CASO PINIZZOTTO, NON MI SONO SORPRESO

Non mi ha sorpreso più di tanto l’iniziativa della società editrice siciliana di chiedere a un redattore di Gazzetta del Sud, Filippo Pinizzotto, per anni apprezzato cronista giudiziario e da qualche tempo alla redazione sportiva, di pagare “in solido”, come si dice in gergo forense, il risarcimento danni deciso dal tribunale a seguito d’una condanna per diffamazione.
Quello che mi ha sorpreso, invece, è stato il documento (chissà che sofferenza) di solidarietà al collega reso noto dalla redazione (a proposito, le firme ci sono di tutti?) e che ho potuto leggere, ma solo parzialmente, su Strill.it. Si tratta di una iniziativa senza precedenti, anche se in proposito avrei qualcosa da aggiungere, ma si tratta di questioni personali che, per ora, intendo mantenere riservate.
Col collega Filippo ho mantenuto, nei lunghi anni di lavoro alla Gazzetta, rapporti personali eccellenti, c’è stata stima reciproca, più volte mi sono permesso di dargli qualche consiglio, ho raccolto le sue confidenze. E, sì, perché fare la giudiziaria alla Gazzetta, specialmente a Messina, non è facile, il controllo della proprietà, della direzione, è severo, e mi fermo qui, perché loro le querele non amano riceverle, ma le fanno, anche ai dipendenti, se necessario.
Caro Filippo, ove dovessi leggere questa nota, sappi che sono, anche se fortunatamente a notevole distanza, al tuo fianco, con tutto l’affetto e il massimo della solidarietà. Sarei curioso di sapere qual è la posizione presa da qualche collega, in una vicenda d’inaudita gravità come questa, data la sua “vicinanza” con i padroni del vapore (lo chiamavano leccalecca) e la tendenza a eliminare i rivali con qualsiasi mezzo, non esclusa la calunnia.
Ricordi (io e te siamo stati nel comitato di redazione in epoche diverse) le difficoltà insormontabili che ci trovavamo davanti, se c’era da scioperare. E anche quando, con enorme fatica, si riusciva a maggioranza ad aderire agli scioperi (per onestà debbo dire che, negli ultimi anni, le cose sono cambiate e gli scioperi si sono sempre fatti) c’era la minoranza che andava regolarmente al lavoro, rompendo il fronte sindacale.
Caro Filippo, fatti coraggio, nella speranza che si ponga rimedio a questa sciagurata iniziativa, sai di poter contare sull’appoggio di tanti colleghi anche fuori dalla Sicilia, me compreso. Tu difenditi coi mezzi consentiti dalla legge, anche se per te non sarà facile lavorare nello stato d’animo migliore e nessuno meglio di me è in grado di comprenderti.

15/01/09

LELLO, SEI ANDATO LASSU' CON LA TUA ROLLEI


All’anagrafe era Raffaele, ma da bambino tutti lo chiamavano Lello, nel quartiere di Santa Caterina dove era cresciuto e, sin da giovanissimo, aveva intrapreso l’attività di fotografo, faceva il lavoro di quelli che i titolari di studio chiamavano gli “scattini”, che si guadagnavano da vivere immortalando le coppie di fidanzati alla villa comunale o sul Lungomare e, quando capitava, un matrimonio o un battesimo.
Lello Spinelli, popolarissimo fotoreporter della Gazzetta del Sud, ha allevato generazioni di cronisti, me compreso, anche se per anni, prima di ritrovarci nello stesso giornale, ero stato su altre barricate. Baffetti alla Clark Gable, capelli sempre impomatati, occhiali da professore, passava le sue giornate praticamente in redazione, correndo da una parte all’altra, poi sviluppando in bianco e nero nel rudimentale laboratorio allestito nella sede della Gazzetta, e prima di andare a casa, quando ci andava, perché una partita a carte c’era sempre, provvedeva ad archiviare, meticolosamente, con la sua grafia chiara, i negativi.
Le due sue passioni erano il gioco e le donne, cosa che gli aveva procurato non pochi fastidi in famiglia, una bella famiglia, governata dalla pazientissima moglie che gli ha sempre perdonato, anche in tarda età, le sue scappatelle.
Ma Lello Spinelli, che per anni è stato inseparabile amico di un altro reporter di razza, Umberto Paladino, standogli vicino nei momenti della malattia, aveva continuato a frequentare l’ambiente della stampa locale anche dopo la pensione, quando a sostituirlo era stato chiamato Rosario Cananzi. Aveva accettato, dietro un modesto compenso, che peraltro bruciava appena incassato giocando a tutto quanto era possibile giocare, dal Lotto al Totocalcio, di “presidiare” la sala stampa alle Poste centrali. Negli ultimi tempi aveva scoperto le infernali macchinette mangiasoldi e davanti ad una di queste che gli americani chiamano slot machine,lo avevo visto, qualche mese fa, in una tabaccheria del rione San Brunello, dove ha vissuto per tantissimo tempo.
Avevamo preso l’impegno di sentirci e andare assieme a trovare Umberto Paladino ricoverato in gravi condizioni in ospedale. Non ci sono riuscito e adesso che Lello, con la sua inseparabile Rolleiflex è salito in Cielo, mi resta il rammarico di un incontro mancato, ancora una volta avremmo rievocato episodi del passato, la cronaca da noi vissuta dal di dentro, tra omicidi e sequestri, rivolte di popolo e incontri di calcio.
Chissà, Lello, se capiterà di ritrovarci, ma questo non possiamo deciderlo noi, sono sicuro che ne saresti felice.

14/01/09

QUELLA SFAVILLANTE SEGRETERIA SUL CORSO

Trovo davvero sconcertante che il quotidiano più diffuso nell’area dello Stretto abbia totalmente ignorato un particolare dell’inchiesta della Procura reggina che ha portato in carcere Gioacchino Campolo, meglio conosciuto come il “re dei videopoker”, ma anche come una delle persone più facoltose della città.
Non c’è traccia, infatti, dei rapporti tra questo personaggio e l’attuale primo cittadino (se non con lui direttamente, questo non lo sappiamo, certamente con persone del suo entourage) il quale, durante l’ultima campagna elettorale per le comunali, che lo vide trionfare sul malcapitato Lamberti Castronuovo, ricco anche lui, ma non quanto Campolo, non esitò ad aprire una faraonica segreteria in locali risultati di proprietà del "Paperone" reggino.
La segreteria, sfavillante di luci ed effetti speciali, fu visitata anche dal presidente del Consiglio Berlusconi, che s’intrattenne a lungo anche con i parenti del sindaco giovane, il più amato dai concittadini, tanto da essere definito la Lorella Cuccarini di palazzo San Giorgio.
La segreteria è stata precipitosamente chiusa quando s’è avuto sentore dell’inchiesta su Campolo e del sequestro di parte dei suoi beni. Stando allo stesso figlio del “re” delle cosiddette macchinette mangiasoldi, che si lamentava del padre tirchio, sarebbero 250 gli appartamenti legittimamente (noi siamo garantisti fino in fondo) acquisiti al patrimonio familiare.
Ma questo è lavoro per l’ottimo avvocato che da anni assiste Campolo, cioè Antonio Managò, che metterà in campo tutte le strategie possibili per smontare l’ enorme castello d’accuse. Si annunciano sviluppi, la battaglia legale sarà lunga.
Torniamo a Scopelliti e alla segreteria in comodato generosamente d’uso, certamente cosa poco piacevole, dato che Reggio non è New York e si sa tutto di tutti. A lenire gli affanni di Beppe Rambo, come lo definisce Franco Arcidiaco, riferendosi all’impegno per la sicurezza del sindaco, ampiamente reclamizzato, ci ha pensato un noto (?) opinionista che ha fatto un “servizietto” esaltando il cammino di questo ragazzo, arrivato sulla poltrona di palazzo San Giorgio distinguendosi per decisionismo nell’affrontare i problemi della città.
Dopo gli elogi, il riconoscimento: si, è vero, il buon Peppe qualche errore lo fa pure lui, ma la città scala le classifiche della vivibilità e del buon governo. E della storia dei (presunti, mi raccomando, presunti) rapporti con personaggi tipo Campolo?. Meglio non parlarne.

12/01/09

REGGINA, FUNZIONERA' IL TRIO DEI BAFFUTI?


Solo a leggere quel titolo della Gazzetta dello sport, c’è da sentirsi male: “Reggina schiantata dalla Lazio”. Ma ad essere “schiantati” (ci si perdoni la trasposizione dialettale che ha tutt’altro significato) sono i tifosi della squadra amaranto affidata alle cure del trio di baffoni Foti, Martino e Pillon.
Inutile dire che, come i miei (non tanto pochi, grazie a Dio) lettori ormai ben sanno, avendo trasferito quasi in pianta stabile la residenza nella Capitale, anche stavolta ho dovuto sborsare una discreta somma e onorare le scommesse perse per la felicità del mio caro collega Paolo Farneti e del portiere dello stabile, Giancarlo, di provata fede biancazzurra.
E’ stata una domenica di sofferenza, in parte attenuata dalla bella prova della magica Roma, seconda mia squadra del cuore, che non ha concesso al Milan di uscire vincitore dall’Olimpico. Dopo le recenti delusioni, e non volendo essere polemico con i colleghi reggini che, a mio avviso, sono responsabili quanto Foti della “malattia” della Reggina, mi ero ripromesso di non esprimermi sull’argomento.
Ma la rabbia è tanta e non posso fare a meno di esternare alcune opinioni che, credo, siano condivise dalla gran parte della tifoseria, ma che non trovano eco sulle pagine sportive dei quotidiani calabresi che, sull’argomento Reggina, sono stranamente (ma non tanto, a ben pensarci) omologati. Critiche?, Ma quando mai. Tutto viene edulcorato e si pubblicano pezzi che sono come minestre senza sale, nessuno osa disturbare il manovratore.
Cominciamo, a proposito di minestre (riscaldate) dal gran ritorno di Gabriele Martino, dopo anni di esilio, tra un contratto rescisso e un altro. Sono per principio contrario ai cosiddetti cavalli di ritorno, in genere nello sport funzionano poco.
Non sappiamo se il baffuto Martino c’entri con l’ingaggio di Pillon, anzi mi piacerebbe sapere se il tecnico fa ancora parte della scuderia moggiana e se, pertanto, continua la corrispondenza d’amorosi sensi tra Reggina e Gea, una società che, superata la bufera giudiziaria, con tanti ringraziamenti all’indulto di mastelliana memoria, opera, eccome, nel mondo del calcio, controllando allenatori e giocatori in gran numero.
Certo, Bepi Pillon non ha avuto molto, ma nemmeno poco, tempo per cercare di dare una fisionomia alla squadra che, tra qualche giorno, potrebbe essere rivoluzionata con gli acquisti invernali. Rispetto alla gestione Orlandi non c’è dubbio che, almeno per quello che s’è visto contro la Lazio, è stato fatto un passo indietro.
Urgono drammaticamente rinforzi, gente motivata capace di dare un contributo importante per un’impresa che appare pressoché impossibile, a meno che, vincendo già sabato prossimo a Siena e poi alla prima di ritorno col Chievo, possa cominciare la risalita. Vogliamo essere ottimisti fino in fondo, con la speranza che Martino torni ad essere mago del mercato, che Foti tiri fuori i soldi, e Pillon si riveli il trascinatore che ci vuole. Come Mazzarri, appunto.

09/01/09

PREMIO OPEN ART 2009 CERIMONIA DOMENICA 18

Si apre il 16 prossimo, nelle sale del Bramante di piazza del popolo a Roma, la mostra delle opere di pittura, fotografia e poesia partecipanti all'edizione 2009 del Premio Open Art. La cerimonia di premiazione è fissata per il pomeriggio di domenica 18. Il catalogo è curato dalla critica d'arte Nuccia Micalizzi, l'ufficio stampa da Gianluca Morabito di Margutta arte.
L’arte in scena, non solo come luogo privilegiato della libertà espressiva, riflesso di molteplici mondi interiori, ma come fatto, come realtà, propositiva e tangibile, fonte di sinergie e confronto. Arte che rompe gli schemi convenzionali e coniuga talento e vita.Arte che parte ed arriva dai luoghi più lontani per riappropriarsi di tutta la forza e l’autenticità della sua essenza comunicativa. Arte che interpreta il reale, declinandolo in varie sfumature, in una commistione di generi e stili che ha come leit motiv il linguaggio universale della creatività.
Arte per ridestare la coscienza collettiva attraverso un dialogo partecipativo, dinamico, la cui linfa sono la diversità e il confronto interculturale.
La mostra effettua i seguenti orari : 10.30 – 13.00 / 14.00 – 20.00

05/01/09

CONDARCURI, UN COMUNISTA LONTANO DAI SALOTTI

Con la scomparsa di Virgilio Condarcuri se ne va non soltanto un pezzo della storia politica calabrese, ma anche il ricordo di quello che è stato, per tante generazioni, il vecchio partito comunista. Condarcuri, che era arrivato al seggio senatoriale dopo una lunghissima militanza nel partito e nel sindacato, era rimasto l’uomo semplice che ha dedicato tutta la sua esistenza alla difesa dei principi della democrazia, della solidarietà, della pace, della libertà in tutte le sue espressioni.
L’ho visto per l’ultima volta un paio di anni fa nella redazione a Siderno, del periodico “La Riviera”, di cui è coraggioso editore il figlio. Quel giorno, avendo saputo della mia visita, era voluto venire personalmente a salutarmi, ed era stata l’occasione per uno scambio di idee sulla politica attuale, sui “mali” della Calabria, e su altre tematiche scottanti quali la lotta alla mafia. Lo avevo trovato, nonostante l’età, estremamente lucido, ed anche se prudentemente, critico nei confronti dei dirigenti di quello che era stato il suo partito, si può dire dalla nascita.
La domanda che mi sono posto, adesso che Condarcuri ha raggiunto, come spero, la pace eterna, è cosa resta di quello che era stato il Pci, cosa rimane di “quella” sinistra degli Eugenio Musolino, dei Suraci, dei Ciccio Catanzariti, dei Tommaso Rossi (perché no, lunga vita a lui e ad altri superstiti), tutta gente che con Togliatti, Longo, Secchia, Bufalini, Napolitano, e via discorrendo, ha combattuto le battaglie cruente del dopoguerra, davanti alla “muraglia” democristiana.
Il Pci è morto da tempo, e attraverso le sue mutazioni, sono venuti fuori i vari Peppe Bova, Marco Minniti, Nicola Adamo, Carlo Guccione, il defunto Lillo Zappia, per non dire dell’attuale rappresentanza regionale, in gran parte formata da politici di mestiere, che man mano si sono staccati dalla realtà, la gente li vede lontani da sé, e i risultati elettorali ne sono la drammatica conferma.
Virgilio Condarcuri non condivideva da tempo questa sinistra salottiera alla Bertinotti e pseudo culturale alla Veltroni, che a Roma, dopo la scoperta delle tante favelas sorte in città, chiamano “er baracca”, altro che emulo di Barak Obama. Lui se n’è andato in silenzio, senza voler dare fastidio, e certamente le commemorazioni di maniera, i ritratti di facciata non gli saranno piaciuti, ma il suo dissenso lo ha tenuto dentro di sé, come sempre, con lo stile degli uomini puri ai quali il Padreterno, noi crediamo, al di là delle ideologie, un posto lo riserva sempre.

02/01/09

GRAND HOTEL, PERCHE' NON LEGGERLO ANCORA?


Ebbene, si, lo confesso, sono stato anch’io, come il malcapitato e pluri sfiduciato direttore di Liberazione, Sansonetti, un lettore di Grand Hotel, popolarissimo giornale familiare degli anni 40-50 che tuttora ha un suo spazio editoriale.
E allora, mi chiedo, anche io sono rimasto, come Sansonetti, un bambino del ’68, legato ai sogni di un’epoca senza riuscire a sganciarsene? Si è aperta una polemica finita anche sulle pagine del Corrierone, in questi giorni che vedono il quotidiano di Rifondazione Comunista, il partito che non c’è più, o quasi, conteso da due gruppi, uno capeggiato dallo stesso direttore, intenzionato più che mai a non mollare la poltrona, e l’altro guidato da un giovane editore, Luca Bonaccorsi, assai vicino allo psichiatra Fagioli che conta su un seguito notevole nel Paese.
Liberazione, come tutti i giornali politici, e non solo quelli, attraversa un momento difficile, con un deficit pesante e vendite in caduta libera, anche se Piero Sansonetti, ex Unità e dato di ritorno nel giornale fondato da Gramsci, sostiene il contrario.
Ora, paragonare l’organo di stampa del partito che annovera “duri e puri” come Bertinotti, Ferrero e Nichy Vendola, alle pagine rosa di Grand Hotel ci sembra una esagerazione, se non una provocazione.
Gran Hotel è stato il giornale che è entrato per anni in casa mia e, mi perdonino i miei figli, anch’io divoravo i romanzi cosiddetti d’appendice che pubblicava a puntate, e i foto romanzi che grondavano sentimentalismo in quantità.
Mio padre lo acquistava regolarmente per mia madre, che lo prestava anche alle vicine di casa, a me, il martedì, portava l’attesa copia di Calcio e Ciclismo Illustrato. Dentro cresceva impetuosa la vocazione per il mestieraccio che avrei fatto e continuo a fare, anche se gli anni avanzano e qualche volta la memoria fa brutti scherzi.
Alcune delle grandi firme di quel giornale, anni dopo, le avrei incontrate negli stadi dove, modestamente, il giornale mi mandava come inviato per lo sport, calcio o ciclismo, boxe o tennis, è stata per me una grande scuola di mestiere e di vita.
Leggendo quanto si sta scrivendo in questi giorni sul “ruolo” di Grand Hotel nella società italiana del dopoguerra, non posso fare a meno di rivolgere un pensiero grato a coloro che quel giornale facevano, rivolti alle famiglie, nell’epoca in cui non c’era la televisione e il grado di alfabetizzazione era minimo. Era scritto in corretta lingua italiana, e raccontava buoni sentimenti, alimentava la fantasia. Provate a dare uno sguardo a qualcuno dei tanti giornali che vivono sul cosiddetto gossip e vi renderete conto del perché i giovani crescano in un certo modo, alla ricerca del tutto subito e tutto facile, coi soldi di papà o con quelli guadagnati illegalmente. Grand Hotel c’è ancora, non vi nascondo che oggi sono stato in edicola e l’ho comperato. Non senza un pizzico di commozione. Grazie a Liberazione e a Sansonetti.