28/10/10

DA REGGIO ALLA FERRARI, COSI' MAURO APICELLA HA REALIZZATO UN SOGNO


Mauro Apicella in tenuta Ferrari
I reggini appassionati di automobilismo, in particolare i ferraristi, l'hanno scoperto leggendo il magazine del Ferrari Club, una splendida rivista diretta da Alessandro Giudice, che è il diario delle attività che l'azienda di Maranello svolge in Italia e all'estero.
Scorrendo le pagine patinate de "Il club" hanno appreso che ci sono due giovani, Ilaria Maraviglia, e Mauro Apicella, definiti gli angeli custodi per l'attività che svolgono all'interno del club di appassionati della "rossa".
Mauro Apicella è nato a Reggio Calabria, ma ha sempre saputo, come lui stesso racconta nella ricca intervista che l'organo ufficiale del Club gli ha riservato, che il suo futuro sarebbe stato lontano da quello che D'Annunzio definì "il più bel chilometro d'Italia", il lungomare che s'affaccia sui colori intensi dello Stretto.
Mauro, una volta diplomatosi nella città d'origine, si trasferisce a Milano e s'iscrive allo IULM, l'istituto universitario per le lingue e la comunicazione.
Durante la pausa estiva del primo anno, vola a Londra dove comincia a pensare ad un'esperienza di studio all'estero: nel frattempo, fa le sue prime esperienze lavorative, tra le quali quella di tutor per il servizio orientamento all'università, arbitro di calcio e basket, stage all'agenzia Probeat. Quindi, con il progetto Erasmus a Madrid: al rientro in Italia, sceglie l'argomento della tesi di laurea "la comunicazione non istituzionale della Ferrari".
La sua avventura comincia sotto Natale del 2005, quando mette piede nel Club Ferrari prima con uno stage e qualche mese dopo, conseguita la laurea, con un rapporto di lavoro. Ma vediamo come Mauro Apicella lo racconta: "Per me la Ferrari rappresentava un sogno, tanto che i primi ricordi legati al Cavallino risalgono all'età di 3-4 anni quando, assieme a mio padre Renato (avvocato, funzionario d'un importante istituto di credito) seguivo i Gran Premi di Formula 1 davanti alla tv e lui mi spiegava che dovevo tifare per la macchina rossa. Più che un futuro in Ferrari, mi piacerebbe un giorno averne una, l'evoluzione di un sogno di quando ero bambino".
Mauro torna ogni tanto a Reggio, è legatissimo a papà Renato e mamma Caterina, rivede gli amici degli anni dell'adolescenza, lo tempestano di domande sul "mondo" della Ferrari, quanto si guadagna, cosa si prova a guidarne  una, quanto sono alti i piloti dal vivo, come si sta a Maranello.
Indossando la classica tuta rossa, Mauro Apicella gira l'Italia, assieme agli altri colleghi, per promuovere la Ferrari, sono manifestazioni che rimangono fisse nella memoria, come la prima cui partecipò a poche ore dalla laurea, a Genova.
Un ragazzo del Sud, come tanti che scelgono l'emigrazione intellettuale forzata: Mauro Apicella ce l'ha fatta a coronare un sogno, con tutto l'orgoglio di essere calabrese e reggino.

23/10/10

DAVANTI AL CANCELLO DI CASA MISSERI VA IN SCENA UNA FICTION SENZA FINE


Sabrina Misseri e il padre Michele: hanno ucciso tutti e due?
Il cancello in ferro battuto della villetta dei Misseri, ad Avetrana, è ormai entrato a far parte della scenografia d'uno spettacolo che da due mesi va in scena ogni giorno, a tutte le ore, su ogni programma, su ogni radio o tv piccola o grande che sia.
Il tranquillo paese del Tarantino è il set d'una gigantesca fiction scritta giorno per giorno, dopo che si è consumato il dramma della atroce morte d'una ragazzina esile e bionda, che si chiamava Sarah (con la h, che fa tanto moderno) e che inseguiva, come tante adolescenti del Sud, il sogno di andare a vivere altrove.
E' veramente un bel cancello, quello della casa che ora viene chiamata degli orrori, con quel garage che somiglia ad un antro infernale: il fabbro che l'ha costruito vi ha disegnato motivi floreali, da fuori di può vedere benissimo il giardino e l'ingresso della villetta costruita coi risparmi di papà Michele, becchino in Germania per tanti anni, poi agiato coltivatore e proprietario terriero, quello che si dice un gran lavoratore.
Davanti a quel cancello c'è sempre tanta gente, lungo la strada intitolata a Grazia Deledda, oltre alle decine, centinaia, di giornalisti, anche tantissimi curiosi che arrivano da ogni dove, in una sorta di tour turistico sui luoghi del dolore e della rabbia per questa morte che tanto sgomento ha suscitato in tutto il Paese.
La vicenda si Sarah Scazzi terrà banco, come si suol dire, ancora per parecchio tempo, almeno fino a quando non sarà fatta piena luce e saranno chiariti i contorni d'un delitto che un padre ha tentato d'accollarsi da solo, salvo poi, probabilmente perchè in tal senso "consigliato", coinvolgervi l'amata figlia Sabrina.
Certo, viene spontaneo chiedersi perchè lo ha fatto: la sua coscienza lo avrà spinto a dire la verità, oppure con questo gesto intende punire la famiglia che lo avrebbe costretto a compiere un delitto tanto assurdo quanto feroce.
E' accaduto al rozzo contadino di Avetrana, dopo un colloquio col cappellano, d'incamminarsi sulla strada d'una conversione, quasi novello Innominato dopo l'incontro col cardinale nella notte raccontata dal Manzoni?.
Ne vedremo e ne sentiremo ancora davanti a quel cancello e nei salotti televisivi, con psicologi, psichiatri, criminologi che spuntano come funghi, oltre ai soliti personaggi sempre buoni per tutte le occasioni, tipo Sgarbi e la Pivetti. Sono tutti lì, pronti, in attesa forse, perchè lo spettacolo sia completo e l'audience salga alle stelle, che qualcuno decida d'ammazzare qualcun altro davanti alle telecamere e poi andare a confessare a La vita in diretta, o, a seconda dell'orario, a Porta a Porta.

16/10/10

ORA C'E' IL RISCHIO CHE I PROFESSIONISTI DELL'ANTIMAFIA RESTINO SENZA LAVORO


Giuseppe Pignatone
In questi giorni stiamo assistendo alle analisi dei cosiddetti mafiologi, di coloro che, proprio grazie a quel cancro che è la 'ndrangheta, hanno costruito le loro fortune professionali, politiche, economiche. Quei professionisti dell'antimafia, così splendidamente etichettati da Sciascia, sempre pronti a schierarsi in prima fila nei cortei e nelle fiaccolate, corrono, a mio avviso, un grosso rischio.
Se continua così, se Giuseppe Pignatone e i suoi uomini continueranno a lavorare come stanno facendo da un pò di tempo a questa parte, coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti,  si ritroveranno senza "lavoro". E sarà dura rinunciare alle passerelle, alle foto sui giornali, alle dichiarazioni a getto continuo. Mancherà loro la materia prima e anche a Reggio, come è avvenuto a Palermo, Napoli e, per non andare tanto lontano, nella vicina Messina, le cosche saranno costrette a mollare la loro presa sul territorio. Tra pentiti e boss che finiscono in manette a getto continuo, l'azione delle forze di polizia avrà lo stesso effetto della medicina nucleare sui tumori, le cellule malate saranno irrimediabilmente distrutte e sul corpo risanato della città potrebbe fiorire una nuova stagione fatta di legalità e di speranza per i giovani.
Sono in tanti, in queste ore, a non dormire sonni tranquilli, a mobilitare gli avvocati, qualche giornalista "amico", per cercare di carpire notizie sui nuovi scenari che si stanno aprendo, sul fronte delle collaborazioni, dopo alcuni anni di "silenzio".
A seguito dell'armistizio tra le cosche in lotta, agli inizi degli anni Novanta, tra i punti a base dell'accordo che mise fine alla mattanza (circa 700 morti in cinque anni) c'era, oltre alla fine dei sequestri di persona e alla decisione presa da un vertice ristretto sugli eventuali omicidi, il proposito di "lasciare in pace" i familiari dei pentiti storici e, anzi, di cercare con loro un rapporto tale da "ammorbidire" processualmente i congiunti che avevano, come si suol dire, saltato il fosso.
Io non parlerei, come sta facendo qualcuno, di ciclone, terremoto, attribuendo alla avviata collaborazione di Antonino Lo Giudice una particolare valenza: quello che certamente potrà emergere, anche grazie alla prima "gola profonda" del clan Tegano, sarà il ritratto della nuova fase aperta con l'avvento al potere degli eredi dei vecchi padrini o morti o carcerati a vita.
Si, la cosiddetta zona grigia tanto cara a Pignatone che ne intravide la permeabilità nel tessuto sociale reggino già dai primi mesi di lavoro a Reggio: poi, come foglie in autunno, boss e gregari sono caduti nella rete, gente di enorme spessore criminale.
Pur senza abbandonarsi ad eccessivi trionfalismi, crediamo che presto uno scossone ci sarà e potrebbe essere quello mortale per le organizzazioni mafiose che, in questi anni, hanno sottomesso politica, imprenditoria, tutti i settori dell'economia locale, al loro predominio. Una crepa s'è aperta, al di là del muro s'intravede una luce.

09/10/10

ARRIVA L'ESERCITO, REGGIO DIVENTA CITTA' SUDAMERICANA AVVOLTA DA UNA NEBBIA GRIGIA

Uno scirocco impietoso fa calare sulla città una nebbia sottile, fastidiosa, l'umidità la senti nelle ossa. Ma c'è anche un'altra nebbia che avvolge la politica, l'informazione, la giustizia, tra polemiche roventi, accuse "sparate" in diretta tv, querele minacciate e che, forse, non verranno mai presentate. Un momentaccio, mentre nuovi scenari sembrano sul punto di aprirsi nel lavoro che i magistrati inquirenti stanno svolgendo, per assestare colpi decisivi alla piovra mafiosa.
Ci sono fatti, circostanze, avvenimenti, contatti e parentele, che, come sostenne per la prima volta in un'ordinanza che ha fatto epoca nella storia giudiziaria non solo reggina, il magistrato Agostino Cordova, "fanno parte del notorio", specialmente in una città di provincia che tale è rimasta, nonostante il grado di "metropolitana".
Sono di dominio pubblico, pertanto, amicizie, relazioni anche extra coniugali, iscrizioni a logge massoniche o a club service che le fanno da anticamera, i soliti personaggi che stazionano in permanenza nelle anticamere dei potenti di turno in attesa della prebenda di sottogoverno. Per cui, ti ritrovi magari un geometra che si occupa di sanità, un ferroviere che s'improvvisa manager, cosiddetti figli d'arte che, non sapendo nella vita cosa fare, diventano giornalisti e scavalcano quelli che magari le qualità ce l'hanno, ma non le "spinte".
Una nebbia fitta, grigia, che non sarà facile spazzare via col vento pulito della legalità, della meritocrazia, del riconoscimento delle qualità che in tanti possiedono, ma che sono costretti a trasferire altrove, se vogliono campare.
Si parla tanto, se ne parla da mesi, degli sviluppi che recenti inchieste della Procura potrebbero avere, all'esito di indagini sui contatti, non solo telefonici, tra esponenti dei clan che controllano il territorio e rappresentanti del mondo politico, imprenditoriale e, purtroppo, anche istituzionale. Fa parte del notorio, per dirla ancora con l'ex procuratore capo di Napoli che istruì agli inizi degli anni '80 il primo processo alla 'ndrangheta con una sessantina d'imputati, che le collusioni c'erano allora e ci sono tuttora. E portarle alla luce non dovrebbe essere tanto difficile.
Intanto, arriverà l'esercito, lo Stato mostra la faccia dura, li vedremo i nostri baldi giovani non più di leva, fare la guardia agli obiettivi cosiddetti "sensibili", si dice che così la gente si sentirà più tranquilla, poco importa se Reggio ci sembrerà una città sudamericana ai tempi delle varie dittature.
La nebbia grigia imperversa, ma dopo quello che è successo l'altra sera a piazza Duomo, c'è la concreta speranza che stia arrivando il vento della speranza, che qualcosa possa cambiare, e non basteranno le querele per mettere a tacere i colleghi scomodi o troppo curiosi. Io già lo sento arrivare, questo vento di verità.

05/10/10

QUANDO LA LOCANDINA E' INGANNEVOLE, OVVERO, COME TI FREGO IL LETTORE


Un gruppo di arrestati del clan Tegano, tra cui Moio
Non è mio costume criticare il lavoro che fanno i colleghi delle cronache locali, anche perchè, avendolo fatto per tantissimi anni, so benissimo che l'errore può sempre essere in agguato. A volte sono tentato di riportare sul mio blog le autentiche castronerie che quotidianamente appaiono, anche sul giornale che una volta era leader su piazza, ma conoscendo bene i "produttori", preferisco evitarlo, i lettori sanno giudicare da soli e, per fortuna, il mercato offre altre alternative.
Quello di cui oggi voglio parlare, però, non si riferisce a qualcuna delle "perle" linguistico-sintattico-grammaticali che ci vengono offerte senza risparmio, senza parlare della sagra delle ovvietà che si può ammirare (si fa per dire) scorrendo i titoli.
Arrivando stamane in edicola, sempre la solita, quando sono a Reggio, gestita da persone gentili e competenti, sono stato attirato dalla locandina del Quotidiano della Calabria, ormai sempre più "napoletanizzato" con la direzione di Matteo Cosenza. Come si sa, la locandina è detta anche "allodola" e serve ad incuriosire il potenziale acquirente con un argomento interessante. E certamente interessantissimo sarà apparso, a chi segue, per antico vizio, come me, per mera curiosità altri, le cronache giudiziarie, il richiamo ai "verbali" dell'ultimo arrivato nella schiera dei collaboratori di giustizia, tale Roberto Moio, nipote acquisito del boss Giovanni Tegano.
Ma la sorpresa era dietro l'angolo: all'interno c'era, sì, un articolo sulle deposizioni che questo pentito-sprint (dopo nemmeno 24 ore s'è consegnato ai magistrati, la cosa m'insospettisce alquanto) starebbe dettando ai solerti verbalizzatori della Procura. Un articolo che ricostruiva la vicenda di Roberto Moio e del suo "travaglio" nella cella del carcere, fino alla decisione lampo di vuotare il sacco sulle malefatte della famiglia di cui per tanti anni ha fatto parte, c'era.
Nulla di nulla però che facesse riferimento a verbalizzazioni depositate (non sarebbe ancora possibile, del resto, ci sono sei mesi di tempo per raccoglierle) ma soltanto un pezzo, come si suol dire, di maniera, niente di sconvolgente per il lettore, fregato dalla locandina-trappola.
  Sono ben contento d'avere, con il mio euro, contribuito alla diffusione del Quotidiano, nel quale tra l'altro, anche se per breve tempo ho lavorato, ma non posso fare a meno di stigmatizzare l'iniziativa dei colleghi autori dello scoop fasullo. Siamo nel profondo Sud, è vero, ma sono finiti i tempi dei lettori allocchi, cui tutto potevi rifilare. Certe delusioni, alla fine, fanno perdere credibilità nell'informazione della nostra regione che già mostra gravi difetti, spesso prigioniera di lobby e d'una classe politica autoreferenziale e collusa. Colleghi del Quotidiano, non fatelo più, per piacere.

01/10/10

ANTONIO MORABITO DA OGGI AMBASCIATORE A MONACO, SI PARLA DI REGGIO NON SOLO PER LA 'NDRANGHETA

L'ambasciatore reggino Antonio Morabito

Mentre della nostra città si parla, ancora una volta, per il suo ruolo di "capitale" della 'ndrangheta e non passa giorno che le cronache non vengano nutrite da notizie di arresti, inchieste, contrasti tra magistrati, intimidazioni d'ogni genere, dalla splendida Costa Azzurra, dal Principato di Monaco arriva un messaggio che è nello stesso tempo di speranza e di legittimo orgoglio.
Antonio Morabito, reggino di Gallina, 55 anni, da oggi è il nuovo ambasciatore d'Italia a Monaco: la cerimonia alla presenza, oltre che del principe Alberto e di tutti i dignitari, delle maggiori autorità locali e di una rappresentanza della comunità italiana nel Principato.
La notizia campeggia sulla prima pagina del quotidiano online Montecarlo news, diretto dalla collega Sara Contestabile: già tempo addietro, sul mio blog avevo anticipato la nomina, da parte del Consiglio dei ministri, del diplomatico reggino che lo scorso anno aveva ricevuto la promozione a ministro plenipotenziario.
Antonio Morabito, che ha compiuto a Roma gli studi universitari, prima alla Gregoriana e poi alla Sapienza, laureandosi in filosofia e scienze politiche, non ha mai interrotto il legame con la sua città, con il rione collinare che lo vede ogni anno tornare per le feste e nel periodo estivo nella casa dei genitori, ai quali è molto legato. Sposato con una argentina, conosciuta nel periodo in cui è stato console a Mendoza, è padre di due bambini.
Tra gli incarichi ricoperti, quello di componente l'ufficio del consigliere diplomatico della presidenza del Consiglio, all'epoca del primo governo Prodi e al ministero per le politiche della famiglia quando era retto da Rosy Bindi. Dopo un'esperienza di tre anni all'ambasciata di Teheran, Morabito è stato richiamato alla Farnesina dove già s'era distinto nel settore della cooperazione e delle tematiche della comunicazione.
Prima della nomina ad ambasciatore, si è occupato d'importanti iniziative culturali, tra cui la partecipazione italiana alla Fiera internazionale del libro di Guadalajara e l'organizzazione della collezione Farnesina design voluta dal ministro Frattini.
Lo scorso anno, è stato coordinatore in Italia dell'anno italo-egiziano della scienza e della tecnologia. Tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo il pregevole volume, edito da Laruffa, sull'Indonesia. Gli è stato conferito di recente il prestigioso premio "Bergamotto d'oro" dei Lyons.