31/08/10

A PEZZI L'IMMAGINE DELLA CITTA', CHE BRUTTA ESTATE. CI MANCAVA ANCHE IL CONCORSO BURLA

L'auto del calciatore Giacomo Tedesco "dissidente"
Ora che il mese d'agosto declina, come avrebbe detto il grande poeta Cardarelli, è tempo di riflessioni, ma non certamente quelle stucchevoli, vetero giornalistiche che si leggono su un quotidiano che un tempo era "re" della diffusione.
Qualche considerazione, ispirata da amici "emigrati" come me, coi quali in estate ci ritroviamo, vorrei farla anch'io, senza catastrofismi e senza farmi influenzare, ma non è facile, dagli accadimenti di questi giorni, dalla politica alla cronaca. La nostra città, che quando vivi fuori ti accorgi di amarla ancor più, nella sua immagine esce a pezzi, dopo lo squallido teatrino della crisi comunale, passando per gli episodi di criminalità, l'attacco al procuratore generale Di Landro, l'incendio all'auto del calciatore Tedesco.
Mentre anche il giudice Roberto Pennisi, che saluto caramente, affida al web le sue argomentazioni, sempre cariche di tensione sociale, assistiamo alla proiezione mediatica di un film già visto, col presidente Scopelliti che annuncia la "rivoluzione" nella sanità, prevedendo anche di risparmiare sulle spese di quelle persone che vanno a curarsi fuori regione, vuol dire che celebreremo qualche funerale in più in Calabria e l'economia, almeno in un settore, qualcosa ne ricaverà.
Un ex amministratore regionale, incontrato per caso a Roma, mi ha fatto, come si suol dire, "gelare" il sangue, con una affermazione perentoria quanto sconcertante. "Dicevano che eravamo noi i banditi, vedrete questi cosa faranno".
Mi rifiuto di credere che questa convinzione del politico forse deluso e quindi prevenuto sia fondata su dati di fatto, ma mentre rifletto su ciò, ecco la notizia del concorso-burla per l'assunzione di giornalisti alla Regione, con un bando venuto fuori, come ha scoperto il segretario della Fnsi calabrese Carlo Parisi, proprio nell'imminenza del Ferragosto. Tutto secondo la migliore tradizione delle giunte dei "banditi". 
Il presidente della rinascita, che viene seguito (neppure Berlusconi ce l'ha) da un fotografo personale, pronto ad immortalare tutti i momenti della sua giornata, i giornalisti di cui la Regione avrebbe bisogno, li ha già reclutati e tutti sappiamo chi sono e chi sono gli "sponsor" politici e familiari. Ma, finchè non c'è reato penale, che l'Ente Regione se li tenga, tanto alla gente non è che interessi molto.
Rimane lo sconcerto di chi ha creduto in questo nuovo progetto politico, che aspetta  "novità" che forse, purtroppo, come è avvenuto in questi ultimi vent'anni, non arriveranno mai.
La città senza guida politica, i festeggiamenti della Patrona (come reagirà la gente?) in dubbio o in ogni caso ridimensionati, e forse dietro la processione potrebbe esserci il commissario al posto di un Raffa in preda alla disperazione e certamente non più ormai in possesso della necessaria lucidità.
Ai microfoni di Radio Touring la gente, invitata dal conduttore Baccillieri e rivolgere domande al buon Raffa, presente in studio, si è sfogata, ha manifestato quello che esce dal cuore di chi vorrebbe essere amministrato, che non chiede altro se non i servizi essenziali, la pulizia, l'acqua potabile, le strade senza buche, la burocrazia che dia risposte. Patetica, per non dire altro, qualche telefonata "suggerita" a favore di un assessore, sincera qualche altra nel condannare senza appello altro componente la giunta che Raffa sta cercando, con poche speranze, di mettere in piedi. Forse, ma non ne sono sicuro, soltanto la madonna della Consolazione, con un suo intervento, può rimettere a posto le cose, ma bisognerebbe pregare, e molto.

29/08/10

LIGATO VITTIMA DEL CONNUBIO PERVERSO MAFIA-POLITICA

Lodovico Ligato quando era parlamentare

La bomba al procuratore generale Di Landro, con tutto lo "sconquasso" giornalistico che ne è seguito, ha fatto passare in secondo piano, e quasi nessuno se n'è ricordato, l'anniversario, il ventunesimo, del barbaro omicidio di Lodovico Ligato, politico, giornalista, uomo di punta della vecchia Dc. Ricordo perfettamente tutti i dettagli di quella tragica notte.
Allora ero redattore di Gazzetta del Sud a Reggio Calabria e seguivo in particolare la cronaca. Ero nella mia casa al mare, a qualche centinaio di metri dalla casa del delitto ed ero andato a pesca, la notte era senza luna, per cui si potevano prendere i totani.
Intorno alle due ero tornato a casa quando mi raggiunse la telefonata del collega Rosario Cananzi, il fotoreporter del giornale. “Hanno ammazzato Ligato”, mi disse brutalmente. Qualche minuto dopo, eravamo nel cortile della villa dove Vico Ligato giaceva crivellato dai proiettili, noi due, assieme ai familiari, alle forze dell’ordine e a qualche amico, siamo stati gli unici a vedere l'ex presidente delle Ferrovie cadavere, gli altri colleghi arrivarono quando era già giorno.
La mia impressione immediata fu quella che era stato un omicidio di mafia, da inquadrare nell’ambito dello scontro cruento che era in corso tra le cosche dominanti. Ricordo lo scetticismo degli investigatori e del sostituto procuratore Bruno Giordano, ma i fatti hanno confermato che la mia intuizione era quella giusta, che ha avuto i riscontri dopo le rivelazioni di uno degli assassini, il pentito Giuseppe Lombardo, detto “cavallino”.
Mi tornarono in mente alcuni episodi, accaduti nei giorni precedenti l’omicidio, quando, per due sere di seguito, telefonate anonime avevano segnalato non meglio precisate sparatorie a Bocale, che era la zona dove Ligato stava. Pensai dopo, queste erano le prove generali, invece si è appurato successivamente che il pentito Filippo Barreca aveva tentato di scoraggiare gli assassini del cui piano era a conoscenza.
Vico l’avevo visto due giorni prima della sua tragica fine e, in bicicletta, gli avevo fatto compagnia, lui era sulla muntain bike in tuta e cappellino per un bel tratto lungo la statale 106. Ricordo che mi aveva chiesto notizie sulla situazione politica, c’era se non sbaglio la crisi al Comune e lui se ne uscì con una battuta (“se non voglio io, qua non si fa nulla”) che in un certo senso mi sorprese, dato che si diceva avesse ormai intenzione di abbandonare la politica, comunque di non interessarsi più delle questioni reggine.
Evidentemente, non era così, e per questo qualcuno decise che era giunta l’ora di eliminarlo. Nei giorni successivi si scatenò la ridda delle ipotesi e si andava dall’omicidio d’onore, conoscendo Ligato come un “tombeur de femmes”, al delitto di Stato legato alla vicenda delle cosiddette “lenzuola d’oro”, una pista questa in qualche modo incoraggiata anche dalla vedova Nuccia. Ricordo ancora l’agghiacciante titolo d’un settimanale “lenzuola di piombo”.
 Certamente Ligato, che era stato un giornalista brillante e un politico emergente, uomo di grande intelligenza ancorché spregiudicato nei rapporti con certi ambienti, era diventato scomodo, ostacolo a chi, negli ambienti della criminalità, lo aveva visto tra i possibili alleati d’una cosca che ancor oggi è tra le dominanti sul territorio reggino.
Dal punto di vista giudiziario, il delitto Ligato è stato risolto, con arresto e condanna di esecutori e mandanti: resta un esempio di dove può portare il connubio mafia-politica, quando si oltrepassa un certo confine non è possibile tornare indietro.










28/08/10

INTERVISTA A GIORGIO BOCCA: "SONO NOVANTA, DIAMINE!"

Novant’anni oggi, tra sconcerto e rassegnazione, tra provocazione e pacata analisi: la scadenza delle 90 primavere trova Giorgio Bocca più che compiaciuto, quasi stizzito (“perchè sono 90, diamine!”), ma sempre arguto e attento alle vicende del Paese. Che lui, in una lunga chiacchierata con l’Asca, arricchisce con i suoi ricordi, offrendo spunti per certi versi inediti, o almeno poco noti.
Così il suo rapporto con Berlusconi di cui fu un sostenitore, almeno nella sua veste imprenditoriale, o della Lega, al suo nascere. Allo stesso modo, Bocca svela il rimpianto di non essere mai stato direttore di un giornale, a differenza di altri mostri sacri del giornalismo, cui viene spesso affiancato, come Biagi e Montanelli. Ma il suo occhio attento resta sempre puntato all’attualità, di cui è implacabile giudice. E’ il caso della Fiat di Melfi e della “svolta” che Marchionne sembra voler dare agli stessi rapporti sindacali, ai rapporti tra “il padrone e l’operaio”, al riconoscimento dei diritti.

- E’ il nuovo che avanza o il vecchio che ritorna?

“E’ l’età dello schiavismo che ritorna. Il criterio di Marchionne è: l’unica cosa che conta è la produzione. Bella scoperta, è sempre stato l’ideale di tutti gli imprenditori, di tutti i tempi. Quello che attiene ad una società evoluta è, invece, intraprendere consentendo la crescita democratica e civile del Paese. Fare come fa Marchionne è la negazione totale della democrazia. Ed è un segno anche del mutamento di valori in atto non solo in Italia. Si tratta di un mutamento epocale, dove il mercato globale rappresenta un caso specifico. Penso alla Fiat e dico, ma come: ti sei fatto la grande azienda con i nostri soldi, i soldi degli italiani, con l’appoggio del governo che si è prodigato affinché non la perdessi, e poi quando ti fa comodo e non produci più come vorresti, prendi e vai dai serbi? E’ una violazione incredibile dei rapporti sociali. Marchionne avrebbe ragione se si trovasse in una sorta di società delle nazioni, un impero, ma non se esistono varie economie e rifuggendo dalle regole”.

- Ma dalla parte di Marchionne si sono già schierati apertamente anche Scaroni, Geronzi. Sallusti sul “Giornale” sottolinea il perfetto parallelismo di questa svolta auspicata nell’economia con quella invocata dal premier in politica, per costruire il futuro del Paese…

“Ci credo che si siano schierati Scaroni e gli altri, è per conservare i loro posti. La loro è una prova del sultanato in essere. I grandi manager di Stato se non obbediscono a Berlusconi vengono subito eliminati. Sallusti poi, così lugubre…è un condor!”.

- Restiamo sempre nell’attualità. Come giudica la sinistra oggi? Di quali valori si deve far portatrice per avere un senso ed un ruolo? Bersani propone il ritorno sulla strada e lo spirito dell’Ulivo del ‘96 e la contemporanea creazione di un’alleanza democratica per sconfiggere Berlusconi. Ha un senso o finirà per reiterare un insuccesso?

“Quello che manca alla sinistra oggi è un vero leader. Molte volte, nella storia, quando un partito è stato debole di idee si è risollevato quando ha trovato un capo. Il fascismo non sarebbe stato tale senza Mussolini. Mancano personaggi fatali. Sulla sinistra poi si è persa completamente di vista la sua definizione esatta, che vale ancora oggi. La sinistra è composta da chi si preoccupa dei più poveri e li aiuta. Sotto questo profilo la sinistra è in piena fioritura nel nostro Paese, basti pensare alla diffusione ed al radicamento del volontariato e dell’assistenza. Questa forse è la nuova sinistra cui guardare. Quella ufficiale dei partiti, fa parte dello stesso mondo degli altri partiti ed il centrosinistra, o lo stesso Pd, è molto simile al berlusconismo”.

- Berlusconi ed il berlusconismo. Una sorta di ossessione. Eppure lei ha lavorato in Fininvest con il Cavaliere, negli anni 80. Lui non era ancora sceso in politica…

“Si, è vero. Ricordo Scalfari che allora diceva: Giorgio si è innamorato di Berlusconi. Forse non è bene che si sappia troppo, ma allora difesi molto Berlusconi ed il suo diritto di intraprendere nella televisione. Mi chiese di andare da lui e scoprii che l’azienda funzionava molto bene, assai meglio che la Rai. Era essenziale, un’intervista si faceva in 5 minuti, non dopo settimane e alla presenza delle corti, come alla Rai. Berlusconi diede una spinta propulsiva positiva al settore, anche se era un imprenditore dai modi molto poco gentili, diciamo che era spiccio, ma devi essere così se vuoi sopravvivere alla concorrenza, era così ovunque”.

- Un rapporto positivo il vostro, dunque.

“Sotto un certo punto di vista anche perfetto, anche se per molti versi spiacevole. Io allora ero una firma già nota. Ma lui mi aveva preso e voluto solo per quella. Del lavoro che facevo non gli importava nulla. Io continuavo a sfornare inchieste, che lui imperterrito collocava nella fascia oraria “dell’insonnia”. E io dovevo anche sorbirmi gli sfottò di Mike Bongiorno, che con i suoi quiz “sforava” sempre. Era un modo anche quello per affermare: in azienda conto solo io, tu nulla. Poi tutto si chiarì con Craxi che chiese il mio licenziamento, che gli fu immediatamente concesso. Avevo peccato di ingenuità, i giochi erano abbastanza chiari, in fondo come sarebbe finita, si sapeva”.

- Alla luce della sua conoscenza diretta, come ricorda oggi Berlusconi?

“E’ un uomo molto abile, intelligente, mascalzone e pronto a tutto. Berlusconi però è politicamente un super-capo nel peggio, riassume in lui le peggiori qualità, esprime i desideri più bassi degli italiani e li interpreta alla perfezione. Se c’è un uomo che deve muovere la mano e di cui io so prima come farà, quello è lui”.

- Il suo non è solo un giudizio politico di condanna di Berlusconi, ma etico.

“La prima repubblica è stata sepolta da Mani pulite perchè ha dimostrato che il sistema politico che c’era era sbagliato. Ma allora si rubava sostanzialmente per il partito non per le persone, era il metodo del craxismo, finanziare la politica per arrivare al potere. Ora siamo al finanziamento delle bande, della corte. Anche questo possiamo dire non sia un fenomeno nuovo, Elisabetta d’Inghilterra già nel Seicento scritturava i pirati per fare soldi. Ma qui siamo al sovvertimento dei valori, che sono capovolti. L’onorabilità non interessa più nessuno, come gli altri valori etici. Anche la Chiesa ha mollato sull’etica, ed io vedo la società italiana cambiata drammaticamente: siamo una società pagana, imperiale. Siamo più una Roma di Cesare che un Paese democratico. Guardavo in tv i servizi sulla cena nella villa Campari tra Berlusconi e Bossi e vedevo questa spudorata celebrazione di se stessi e del potere. Un’altra villa, non bastasse Arcore e tutte le altre già note, lui che arriva in elicottero tra schiere di poliziotti… Ma non si vedono ogni sera a cena, mi domandavo, che bisogno c’era di tanto sfarzo, di tanti soldi buttati? Non ci siamo, una volta chi era accusato di corruzione si suicidava, oggi questo rappresenta quasi un titolo di merito e l’onesto viene visto come un cretino, un povero Cristo”.

- La decadenza di oggi che ci descrive è più pericolosa della deriva fascista e totalitaria che visse il Paese nel ventennio e che lei combatté da partigiano?

“Dirò di più. Ai tempi della guerra, durante la guerra civile, perché è giusto chiamarla così, era rimasto un legame comune tra noi ed il fascismo morente. In montagna mi capitò spesso di pensare a Mussolini, come ad una figura quasi paterna. I valori etici del fascismo e della democrazia non erano così separati e distanti. Anche nel fascismo l’onestà e tutti i valori della società borghese venivano premiati. Ora i valori sono capovolti. Il dramma è che sembra che agli italiani vada bene così. Dopo la fine della guerra si è rivelato che l’adesione degli italiani al fascismo era stata molto più massiccia di quanto pensassimo. Ancora oggi per gran parte degli italiani questo modo di pensare fascista: il capo sono io, io decido, gli altri si adeguino, in fondo va bene. Il favore che ha Berlusconi sta nell’alibi che offre agli italiani di essere disonesti, se lo vogliono. In alto si ruba, chi può rubi anche lui”.

- Sarà seppellita anche la seconda Repubblica?

“La mia risposta sconta il fatto che la mia origine politica è nella guerra partigiana. Per me fu un tale miracolo assistere alla prova degli italiani che costituivano un esercito di volontari e costruivano un tessuto democratico su tutto il territorio, che spero nel fatto che se è stato possibile una volta sia così anche nel futuro. Un’opportunità che vedo però sempre minore”.

- Parliamo di Lega. Lei fu un sostenitore del Carroccio della prima ora. Adesso?

“E’ un’esperienza simile a quella di Berlusconi. Essendo, sì anch’io, un uomo del fare, mi interesso alle cose concrete e realistiche. Quando uscì la Lega scopersi che in fondo le sue qualità erano nel paesaggio italiano, non rubavano, erano disciplinati nel perseguire i loro obiettivi dichiarati. Quando la Lega vinse a Milano io scrissi un articolo intitolato: “Grazie barbari”. Dicevo, siete ignoranti e cafoni ma portatori di novità nella politica italiana. Adesso ho cambiato idea. La Lega, diventando ricca e potente, è diventata autoritaria e non regge bene alla crescita. L’assurdo è che la Lega, che dovrebbe essere vilipesa dagli italiani che dovrebbero inneggiare all’unità d’Italia, viene invece inneggiata da molti nel Sud, perché hanno capito che lì c’è il nuovo potere”.

- L’accusano di essere antimeridionalista. Cosa rappresenta per lei il federalismo?

“Io sono antifederalista. Data la situazione italiana il federalismo consisterà nella ricostruzione dei Granducati, in cui ognuno fa i propri comodi. L’Italia deve essere un Paese unito dove tutti pagano le tasse allo stesso modo (e basta con le regioni a statuto speciale). Credo poi che una certa fonte di autorità perenne vada trovata. Non si può tornare ai prefetti, ma un rappresentante del governo con poteri esecutivi sarebbe utile. Le autorità locali concedono tutto”.

 Le-i viene sempre ricordato e annoverato tra i grandi del giornalismo italiano, insieme a Biagi e Montanelli. A differenza loro non è mai stato direttore. E’ un fatto che la disturba?

“Io direttore? Si, mi manca, ma non mi è stato mai offerto, forse intuivano che non ero un uomo adatto per farlo. Ricordo che all’Europeo quando morì Michele Serra andai da Fattori e mi proposi. Sono inviato ma se ti serve uno che faccia il giornale sono disponibile. Mi rispose: per carità, tu continua a scrivere. Poi penso a Scalfari, un vero direttore d’orchestra, noto per saper alternare come nessuno la carota con il bastone. Io oggettivamente non avrei avuto la capacità, manco di doti diplomatiche”.

- Un’ultima domanda. Lei ha scritto molti libri, il suo ultimo è in arrivo in settembre in libreria. A quali è più legato?

“A ”Il provinciale – 70 anni di vita italiana” del 1991. E’ il più completo. Poi altri mi sono cari per lo stupore di averli scritti. Penso alla Biografia di Togliatti. Un lavoro spaventoso, durato 2-3 anni. Fu un’impresa, scrivere la biografia di Togliatti negli anni 70. Si tradusse nella scrittura della storia del Pci italiano. Quando uscì il libro Pajetta, che mi odiava, ordinò che venisse spulciato per trovarvi errori, ma questi si limitavano a qualche piccola svista nelle date. Mi fece una pubblicità enorme…”.

dal sito GIORNALISTI CALABRIA                     Nadja Bartolucci (Asca)

MINATORI "SEPOLTI" IN CILE, UN DRAMMA CHE CI TOCCA DA VICINO

Il saluto di uno dei minatori intrappolati nella miniera
Dal ventre della terra le immagini riportano alla superficie i volti dei minatori cileni che, solo per un miracolo, sono rimasti vivi, dopo un crollo, a più di 700 metri sotto il livello del suolo. Mangiano, dormono, pregano, riescono persino ad ingannare il tempo giocando a carte o a dama, nel "refugio" dal quale sono riusciti, quando è stata calata fin laggiù una micro telecamera, a mandare il biglietto con la sbalorditiva notizia: "estamos bien".
Il mondo segue con ansia la sorte di questi lavoratori che dovranno attendere ancora qualche mese, per essere tirati fuori da quel buco infernale: Noi calabresi siamo particolarmente colpiti dal dramma di questi uomini coraggiosi, nelle miniere del Belgio e della Germania ci sono centinaia di croci a ricordare il sacrificio degli emigranti, "carne venduta" partiti dalla Calabria per poter sfamare chi restava nei paesi assediati dalla miseria.
Attorno ai minatori del lontanissimo Cile sta crescendo la solidarietà, ognuno vorrebbe far qualcosa e anche qualche magnate locale (in questi Paesi due estremi si toccano, grandissima povertà e altrettanta ricchezza) si è mosso per finanziare i lavori necessari a scavare il tunnel della salvezza.
Intanto, amici, parenti, compagni di lavoro, passano le loro giornate davanti all'ingresso della miniera, accontentandosi di udire le voci che arrivano da là sotto, vedere immagini di facce allucinate, barbe incolte, le sonde riescono a far giungere loro acqua, medicinali, generi di conforto, la piccola luce attaccata al cavo che scende, metro dopo metro, per centinaia di metri, rappresenta la speranza di restare vivi e di rivedere la luce del giorno prima che arrivi Natale.
Ci sono calciatori cileni sparsi un pò in tutta Europa. molti  guadagnano cifre consistenti: perchè non chiedere loro di raccogliere somme da destinare agli sfortunati compatrioti, tra cui anche un ex giocatore, seppelliti nella miniera e con un salario da fame?. L'attesa sarà ancora lunga, nel cuore della terra, ma adesso è il mondo intero che spera e prega perchè questi uomini dati per sepolti tornino alla vita, senza però più riprendere a scendere nelle viscere della montagna che nasconde ricchezze che loro non vedranno mai. 

26/08/10

BOMBA AL PG, PER FAVORE RISPARMIATECI LA SOLITA FIACCOLATA

Salvatore Di Landro, Pg di Reggio Calabria
Il tritolo ha ripreso a "bussare" alla porta di qualcuno, nella caldissima notte d'agosto, mentre dal lungomare giungono canti e suoni d'una stagione in tono minore, ma il reggino s'accontenta, il fatalismo fa parte del nostro dna, ne abbiamo viste tante....
Ove fosse rimasta qualche perplessità, la bomba al portone di via Rosselli, a poche decine di metri dalla caserma del comando provinciale dell'Arma, dove abita Salvatore Di Landro, il procuratore generale, magistrato dalla ormai lunga carriera, uomo di cultura, musicofilo, studioso di tradizioni popolari, che dietro il suo aspetto pacioso, nasconde una forte tempra, ha una matrice ormai ben definita.
A gennaio il primo "avvertimento", sventrando il portone degli uffici della Procura generale, poi il sabotaggio dell'auto di servizio, ora la nuova "firma", per togliere ogni dubbio, l'obiettivo è lui, per il lavoro che sta facendo da quando ha preso in mano un ufficio che, a torto o a ragione, (non sarò certo io a dare un giudizio, conosco fin troppo bene certi ambienti) veniva considerato una specie di porto delle nebbie dello Stretto. Non crediamo sia stato così, perchè ci sono stati uomini della giustizia che lì hanno lavorato (alcuni, purtroppo, non sono più tra noi) che si sono distinti per serenità, onestà e coraggio.
Ma c'è qualcosa che non va più bene ai capi delle cosche e ai loro referenti nelle istituzioni, non solo politiche, sì, perchè vi si annidano da tempo e alcuni non sono mai stati scoperti. Il connubio 'ndrangheta-politica che si intravede soltanto, almeno per ora, dalle carte delle più recenti inchieste, è consolidato. I protagonisti sono individuati, anche se grazie alla loro rete di connivenze, hanno potuto "guardarsi" e in qualche modo bloccare le indagini.
La cosa sconcertante, che ho appreso leggendo il pezzo scritto dal giovane e valido collega Fabio Papalia, direttore di Newz.it, è l'assoluta mancanza di misure di protezione all'abitazione del Pg, niente telecamere, pare, niente presidio fisso, illuminazione scarsa, insomma il compito dei bombaroli è stato facilitato.
Adesso assisteremo al rito delle dichiarazioni a getto continuo dei soliti politici e rappresentanti della società civile, l'occasione per un tantino di visibilità, che a Di Landro non potranno che far piacere, si sentirà forse meno solo. Ma, per favore, risparmiateci le solite fiaccolate, eviteremo di vedere, tutti compunti, sfilare anche individui che con le cosche in qualche modo hanno avuto o hanno da fare, magari per interposte persone. Qualcuno di loro potrebbe essere libero ancora per poco tempo, ma lasciamo lavorare le forze dell'ordine e la Procura, in silenzio, per dare un nome e un volto a chi, col tritolo, vuol riprendersi il controllo della città.

24/08/10

MARE SPORCO, I TURISTI VANNO VIA MENTRE SI SIGILLA BANDAFALO'


Viaggiare in camper d'estate è il massimo, per chi vuol scoprire le bellezze del nostro Paese e vivere a contatto con la natura. Un gruppo di turisti che adoperano queste mini case su ruote, adesso dotate di ogni comfort, ha scelto qualche giorno fa di "scoprire" la costa tirrenica, in una splendida giornata di sole, col mare leggermente increspato e d'un azzurro incredibile.
Come non fermarsi alle porte della città, proprio sullo Stretto, con la possibilità di parcheggiare i camper a pochi passi dalla spiaggia, c'è anche parecchio verde, i locali cosiddetti di ristoro sono vicini, insomma, il luogo ideale.
Ma una sgradita sorpresa li attendeva, quando già pregustavano una giornata tutto sole e tuffi: un fetore insopportabile ammorbava l'aria e si mescolava all'acre odore d'un incendio sulla collina con un aereo impegnato a scaricare tonnellate di acqua salata. E' bastato chiedere a qualche raro bagnante, anche lui pronto a chiudere l'ombrellone e andar via, verso posti più...salubri per conoscere il motivo di questa sgradevole accoglienza: in mare scaricava un fiume meleodorante di melma, mentre rifiuti d'ogni genere galleggiavano e si dirigevano, portati dalla corrente, verso la città.
Con un biglietto da visita del genere, ai malcapitati turisti non è rimasto altro da fare che chiedere, via telefono, la disponibilità d'un campeggio sul versante ionico dove, però, non sapevano ancora che sarebbero arrivati almeno due ore dopo. la cosiddetta superstrada ionica, infatti, per via di lavori in corso e del traffico che in estate aumenta considerevolmente, è diventata praticamente impercorribile e chi vuol raggiungere in tempo utile una destinazione, deve partire con larghissimo anticipo. Nei fine settimana, poi, le code sono chilometriche. Mare sporco e viabilità impossibile: con questi "ingredienti" quale futuro per il turismo nella nostra provincia?. Restano le solite promesse e gli annunci, cui seguiranno, come è già avvenuto in passato, le scuse ai forestieri che ci avevano scelto per le vacanze e che, certamente, da queste parti non si faranno più vivi.
Mi permetto di aggiungere una mia considerazione: non sarebbe opportuno effettuare controlli ancor più severi, per impedire questo continuo "avvelenamento" del nostro mare, ricchezza che disperdiamo da incoscienti, prima di pensare a mettere i sigilli a Bandafalò?.

23/08/10

IL CASO GUARINO, COME UN CRONISTA PUO' FINIRE IN GALERA

gianluigi guarino
La persona che vedete raffigurata nella foto in alto a destra si chiama Gianluigi Guarino, è un giornalista di Caserta. Sorride, anche se in questi giorni ha avuto poche occasioni per farlo: infatti, ha dovuto scontare 43 giorni di carcere per aver commesso reati di natura professionale, un cumulo di condanne per diffamazione, a seguito di querele fatte al giornale che lui dirigeva e che si riferivano anche ad articoli non scritti da lui, che però, secondo la legge sulla stampa, avrebbe dovuto controllare.
L'omesso controllo, infatti, viene punito e a fare il direttore, se non si ha la fortuna di essere "coperti" da assicurazioni e avere un parco avvocati di spicco, si rischia il carcere. Fortunatamente, ciò avviene molto di rado, le aziende editoriali si sono attrezzate e sottopongono determinati articoli o inchieste al parere dei legali, prima della pubblicazione.
Se sei una "firma" popolare, poi, in caso di incidenti di percorso, c'è pronta la mobilitazione dei politici amici. L'Ordine e il sindacato dei giornalisti, per la verità, nel caso del collega Guarino, hanno fatto sentire la loro voce, e se i giudici hanno rivisitato la posizione del giornalista sbattuto in cella, come un qualsiasi delinquente, lo si deve anche a loro.
I più esposti al rischio-querela con annessa richiesta di risarcimento danni sono i cronisti che si occupano di nera e giudiziaria, che devono difendersi, come è capitato a me personalmente, non tanto dalle ire dei capi bastone, ma di quei giudici che non consentono la benchè minima critica al loro operato, anche quando si rendono responsabili di gravi omissioni e reati dei quali, purtroppo, non risponderanno mai.
Da tempo si parla di modifiche alla legge del 1947 sui reati di stampa o a mezzo stampa, come dir si voglia, tutti, in occasioni di convegni, congressi, campagne elettorali, proclamano il diritto costituzionalmente sancito ad esprimere sotto ogni forma idee, opinioni, notizie anche scomode per i potenti.
Ce ne ricordiamo in occasione di episodi qual è quello dell'arresto di Guarino, o a fronte di richieste milionarie da parte di politici che non esitano, pur essendo iscritti all'albo dei giornalisti, ad offendere pubblicamente e minacciare colleghi.
La querela, spesso, è il mezzo per intimidire, bloccare il cronista coraggioso, condizionare la proprietà del giornale: a me è accaduto di essere querelato "in solitudine" senza coinvolgere il direttore responsabile che pure il servizio aveva controllato. Per mia fortuna, sono incappato in magistrati sereni, che non si sono fatti condizionare dalla presenza in aula di colleghi più "famosi", ospiti di salotti e studi televisivi a getto continuo.
Altrimenti, come mi augurò una volta un legale della cosiddetta parte civile, mi avrebbero fatto seguire volentieri la sorte di Guarino.
Al collega casertano, dopo avergli fatto i complimenti per la riacquistata libertà, dico solo di non farsi intimorire dai "signori della querela" e proseguire il suo cammino di onesto e coraggioso giornalista.
  

22/08/10

MORTE IN CORSIA E ASSURDA VIOLENZA, LA CALABRIA IN PRIMA PAGINA

La Calabria nuovamente in prima pagina, nei giorni di fine agosto con la gente ancora distratta, intenta a consumare gli ultimi spiccioli di vacanza. E ci torna, questa terra tanto bella quanto sventurata, per due episodi, uno di malasanità (tanto per cambiare) e l'altro di violenza, assurda e gratuita. La morte è arrivata in corsia ancora una volta in un ospedale, quello di Lamezia Terme, il grosso centro della provincia catanzarese che non nasconde le sue velleità di diventare Provincia, come se ce ne fossero poche, nel Paese. Eleonora Tripodi, di Santa Domenica di Ricadi, lungo la bellissima costa che da Vibo porta a Tropea, aveva solo 33 anni ed aveva partorito il terzo figlio, una bellissima bambina che purtroppo non conoscerà mai sua madre: la sua storia è simile a quella di altre vittime della sanità "malata" in Calabria, un terribile buco nei bilanci con rare oasi d'eccellenza nel deserto degli sprechi e delle inefficienze.
La sua giovane vita s'è spenta dopo una tragica odissea da una parte all'altra, fino alla tappa finale, quella che non consente il ritorno: ora tutti promettono inchieste ed ispezioni, scattano i messaggi di solidarità, una squallida passerella dei soliti politici che si preoccupano di avere, ancora una volta, un pò di spazio sui giornali, invece di andare a nascondersi.
La famiglia chiede giustizia, la magistratura apre il fascicolo d'indagine, ma forse ci vorranno anni, come è stato per Federica Monteleone (un altro caso che commosse l'Italia) perchè la giustizia, come si suol dire, faccia il suo corso.
Intanto, i mass media riportano l'attenzione, dandogli comunque il solito taglio in negativo (è la nostra vera disgrazia, questa) a questo nuovo caso e ne approfittano per collegarlo, anche se si tratta di cose completamente diverse, con il gravissimo episodio accaduto a Cosenza, dove l'autista di un bus, non si sa perchè, ha ritenuto di aggredire selvaggiamente un anziano, per poi lasciarlo come un sacco vuoto in mezzo alla strada, tra l'indifferenza dei passanti.
Una scena, che ripresa da una  telecamera di sorveglianza, riversata sui canali delle televisioni web, ha fatto inorridire ed ha mobilitato anche i sociologi in servizio permanente effettivo. Certamente, non è questa l'immagine della Calabria che vorremmo fosse proposta, proprio nel momento in cui si parla di rilancio del turismo e di "rivoluzione" nella sanità.
La Calabria nuovamente sulle prime pagine, mentre in ogni dove, anche nei paesi più sperduti, si fanno sagre e si danno premi, su improvvisate passerelle sfilano ragazze sculettanti alla ricerca d'un momento di gloria. Che tristezza!.

20/08/10

IL BLITZ AL LIDO "BANDAFALO'" TANTO RUMORE PER NULLA

La lettura del comunicato stampa col quale si annunciava l'avvenuta "vasta operazione" di controllo delle forze dell'ordine nei lidi della zona di Villa San Giovanni-Cannitello-Porticello, tra i luoghi più suggestivi di quel tratto di costa che prende il nome di Viola, per via del colore che il mare assume, in alcune ore del giorno, aveva destato in me qualche perplessità.
Mi era sembrato esagerato il tono, in rapporto alle scarne notizie che conteneva sui risultati del controllo, che avevano portato a nessun arresto, e solo al ritrovamento di due piccole dosi di "erba" con relativa segnalazione dei consumatori ai sensi di legge. Un eccessivo trionfalismo, che ha trovato eco un pò su tutti gli organi di stampa anche perchè il lido di cui ci si occupava, in particolare, è assai frequentato, da giovani e meno giovani, il "Bandafalò" il cui accesso è libero e gratuito. Paghi, a prezzi "normali" qualche bibita o il panino che consumi, cosa che, in altri posti considerati chic, sul lungomare di Reggio, certamente non avviene. Mi è capitato di sentire, da una radio privata, il "lamento" di chi era stato salassato solo per aver consumato un paio di birre.
Ieri, poi, la lettera a Strill, di una persona che era presente la sera del blitz tanto reclamizzato, e che giustamente il direttore Branca ha integralmente pubblicato. "Bandafalò" è opera di un gruppo di giovani che si recano personalmente in un Paese africano per realizzare opere di utilità sociale, investendo gli scarsi proventi dell'attività estiva, più i loro denari.
I militari hanno parlato di forte odore di cannabis nell'aria e di bottiglie di superalcolici sparse a "deturpare il paesaggio" (la Madonna!!! avrebbe detto Pozzetto) oltre che di mancato rispetto delle norme di sicurezza. Il lettore di Strill che s'è sentito in dovere di inviare via mail la sua riflessione, che mi sento di condividere, ha ricordato quello che in altri posti accade o che è accaduto in occasione di recenti concerti.
Prima di accanirsi sui ragazzi di "Bandafalò", che non conosco personalmente, ma che ammiro per quello che fanno a favore dei  popoli del cosiddetto terzo mondo, cerchiamo di controllare meglio quei locali di divertimento gestiti, in forma diretta o indiretta, come hanno certificato recenti inchieste giudiziarie, dalle cosche della 'ndrangheta che ne ricavano enormi utili.
Non è colpa dei giornali se ora si è aperta una polemica, ma un controllino prima di mettere in pagina "de plano", come dicono quelli che parlano bene, le note stampa di polizia, carabinieri, eccetera eccetera, sarebbe più che opportuno, necessario. Si eviterebbero ingiuste criminalizzazioni ed a pagare non sarebbe solo "Bandafalò".

18/08/10

COSSIGA RICORDATO USANDO LE PAROLE DI KIPLING

Non so chi sia il signor Paolo Inzerilli, una delle tante persone che hanno fatto pubblicare necrologi dopo la morte di Francesco Cossiga, ma se ci fosse un premio per l'originalità di questi ricordi a mezzostampa della persona scomparsa, lo assegneremmo certamente a lui.
Ritengo di far piacere agli amici lettori di questo blog, che sta per celebrare il suo secondo compleanno, proponendovi il brano (autore Rudyard Kipling) che si adatta in maniera straordinaria a quello che fu lo spirito di "Gattosardo" raffigurato sulle pagine di Dagospia come un capo indiano. D'Agostino, che ha rivelato in una intervista di aver avuto l'ex presidente come prezioso informatore, e anche più, in questi anni, ha voluto ricordarlo fuori dalle righe, come a lui sarebbe piaciuto.
"Se sai aspettare senza stancarti di aspettare o, essendo calunniato, non rispondere con calunnie o, essendo odiato, non dare spazio all'odio senza tuttavia parlare troppo saggio....
Se sai incontrarti con il successo e la sconfitta e trattare questi due impostori nello stesso modo.
Se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto, distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui...
Se sai guardare le cose per le quali hai dato la vita distrutte e sai ricostruirle con i tuoi strumenti ormai logori....
Se sai costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi a sorreggerti anche dopo molto tempo e così resistere quando in te non c'è più nulla tranne la volontà che dice loro tenete duro.....
Se sai parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà o passeggiare con i re senza perdere la tua normalità....
Se riesci a riempire l'inesorabile minuto dando valore ad ogni istante che passa: tua è la terra e tutto ciò che vi è in essa e, quel che più conta, tu sarai un uomo.


P.S.

Un amico mi segnala che il signor Inzerilli sarebbe un ex generale che faceva parte della struttura Gladio che, anche nella nostra città, aveva dei "rappresentanti" alcuni dei quali ancora in circolazione. Ciò non cambia il mio giudizio sulla originalità del necrologio, fatto col cuore, è chiaro, per un uomo che della Gladio, almeno stando a quanto si dice, era stato il fondatore. La storia dirà
se fu veramente una difesa dall'eventuale minaccia rossa o un disegno eversivo.

17/08/10

FRANCESCO COSSIGA, IL "PICCONATORE" CHE VOLEVA "FOTTERE IL POTERE"


Cossiga colto da malore o ricoverato in qualche ospedale, ormai, non faceva quasi più notizia, per un uomo politico che aveva subito la bellezza di diciassette interventi chirurgici. Quando, qualche giorno fa, lo avevano portato d'urgenza al "Gemelli", chi gli era vicino aveva capito che questa sarebbe stata la volta buona. Da tempo, infatti, l'ex presidente non si mostrava in pubblico e non si era neppure preoccupato di sponsorizzare, come fanno tutti, il suo ultimo libro dal titolo che è lo specchio del carattere di colui che è stato un protagonista della storia politica italiana degli ultimi cinquant'anni: "Fotti il potere".
Più che i malanni fisici, è stata una grave forma di depressione, il "male oscuro" che l'ha condotto alla morte: Francesco Cossiga aveva, come si suol dire, "mollato", abbandonando le cure e cadendo in uno stato di prostrazione dal quale, purtroppo, non si è più ripreso.
"Quello che sono stato, che sono diventato, amava dire, è avvenuto sempre per caso: non trovavano un presidente del Consiglio, ed hanno scelto me, non trovavano un ministro dell'Interno, e scelsero ancora me, non sapevano chi eleggere presidente della repubblica, e fecero me".
Memorabili i suoi incontri televisivi con Piero Chiambretti, il comico torinese verso il quale Cossiga mostrò sempre una grande simpatia, scoprendo anche di possedere una insospettabile vena satirica e capacità d'autentico showman.
Cossiga amato e odiato, oggetto di minacce terroristiche, ma uomo dello Stato fino alle estreme conseguenze, assumendosi il compito, lui che gli era più d'ogni altro vicino, di annunciare la decisione del Governo di non scendere a patti coi brigatisti, determinando, di fatto, la condanna a morte del presidente della Dc.
Dopo il ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio della Renault 4 rossa abbandonata a pochi passi dalle Botteghe Oscure, non esitò a dare le dimissioni.
Di colpo divenne canuto, sul viso comparvero le macchie della vitiligine e, secondo alcuni, cominciarono quei disturbi bipolari che, da capo dello Stato, lo portarono a sferrare "picconate" contro il sistema.
Con Cossiga finiscono nella tomba tanti segreti, nessuno potrà rivelarli perchè, forse, soltanto lui li ha custoditi per anni.  Chissà, se lassù, in quel regno dei cieli nel quale da cattolico osservante credeva, continuerà a dare picconate, se il giudizio divino non lo troverà d'accordo. Crediamo che il Signore, nella sua magnanimità, gli riconoscerà quei meriti che in terra gli sono stati negati.

15/08/10

GIUSEPPE E NICHOLAS, IL SACRIFICIO DELLA LORO VITA PER FAR NASCERE LA SPERANZA

Ferragosto non è certo il giorno più adatto per affrontare un argomento che tanta angoscia ha provocato in chi ha seguito la vicenda del piccolo Giuseppe Pontoriero, di Spilinga, nel Vibonese, il paese conosciuto come il regno della 'nduia.
Giuseppe è rimasto vittima di un incidente stradale, uno dei tanti che ormai riempiono quasi quotidianamente le pagine di cronaca: i suoi genitori, con un gesto d'altruismo che non ha eguali, hanno deciso di donare tutti gli organi espiantabili. E così è stato, ancora una volta da una tragedia sconvolgente è nata la speranza per tante giovani vite, in Italia e anche all'estero.
Giuseppe continuerà a vivere in altri corpi, così come è stato, qualche anno fa, sempre nel Vibonese, per un ragazzino americano, ormai diventato un simbolo: Nicholas Green. Dormiva sul sedile posteriore dell'auto guidata dal padre, stavano visitando la Calabria, era una famigliola felice. Qualcuno, che solo dopo tanto tempo si decise, una volta diventato collaboratore di giustizia a confessare il crimine, sparò nel tentativo di bloccare l'auto e compiere una rapina. Purtroppo, Nicholas, colpito alla testa, morì dopo alcuni giorni di agonia.
Due storie diverse, nella loro natura, quelle di Giuseppe e Nicholas, tenute assieme, però, da un filo invisibile, quello della solidarietà umana che varca ogni confine. I genitori, spontaneamente, hanno deciso che il modo migliore di "restituire" alla vita il loro bambino  portato via da un iniquo destino, sarebbe stato quello della donazione degli organi.
Alla commozione per il modo in cui la giovanissima vita è stata spenta, si è aggiunta quella della notizia degli avvenuti trapianti i cui beneficiari, come è giusto, rimarranno anonimi, almeno per ora. Le sette persone che hanno avuto in dono gli organi di Nicholas Green io le ho conosciute, quando si presentarono a Messina nel corso della manifestazione organizzata dalla Fondazione Bonino-Pulejo, per raccogliere l'applauso d'una eccezionale platea e l'abbraccio di papà e mamma di quel bambino dal ciuffo biondo la cui foto potete ammirare a corredo di questo articolo.
 Giuseppe Pontoriero e Nicholas Green, due vite stroncate tragicamente, da cui però è germogliata la speranza per chi l'aveva ormai perduta. E' questo uno dei miracoli che la vita ogni tanto ci regala e, anche nella giornata dedicata agli svaghi, alle gite, al divertimento, il pensiero non può che andare a due eroi bambini destinati ad incidere il loro nome nell'album eterno della storia.

13/08/10

MEROLONE TORNA IN RAI, IL PROGRAMMA LO PAGHIAMO ANCHE CON I NOSTRI SOLDI


Non fosse per Dagospia, il seguitissimo sito di gossip e non solo, nulla avremmo saputo del faraonico contratto stipulato tra la Rai e la "suocera" del presidente della Camera e nulla avremmo saputo della sponsorizzazione che la Regione Calabria ha accordato al programma  "La giostra sul Due" che delizia ( si fa per dire) i pochi telespettatori che, in queste mattinate d'agosto, per vari motivi, sono costretti a stare in casa.
Dagospia si occupa di questo programma che ha salutato il rientro ufficiale in tv (finora c'erano state saltuarie ospitate) di Valerio Merola, conosciuto, con allusione alle sue "qualità" di maschio latino, come "Merolone".
Anche se uno dei critici che più apprezzo, Aldo Grasso del "Corriere", non ha trovato poi tanto sorprendente il ritorno di Merolone, anzi è stato piuttosto tenero con l'aitante, abbronzatissimo in ogni stagione, e sempre sorridente showman, non posso che condividere quanto sostenuto da D'Agostino, secondo cui trattasi d'un programma di pessima qualità.
 Su questo recupero di Valerio Merola, esistono varie tesi, a cavallo tra il pettegolezzo e la diffamazione: non mi ci vado certamente a ficcare dentro, ma non posso fare a meno di osservare, da telespettatore incuriosito dalla recensione di Grasso, che si tratta non soltanto di un contenitore di banalità estive, e questo potrebbe anche essere giustificato, ma di un vero e proprio prodotto da quella che, con linguaggio un pò scurrile, Dagospia classifica come la Rai del c.......
Trovo piuttosto scandaloso che denaro di noi contribuenti venga speso per sponsorizzare un programma che non so quanto possa giovare all'immagine della Calabria, dove la gente paga ogni giorno il conto di una realtà economica e sociale drammatica.
Ai calabresi viene propinato Merolone, tanto nessuno si lamenta, lo fa solo l'assessore reggino al turismo e spettacolo, detto anche l'assessore del c.... per via della sua professione (è urologo) che, presentando una delle rare iniziative dell'estate reggina al risparmio (tanto i soldi, a fiumi sono stati già spesi negli anni scorsi) ha detto di sentire "la mancanza di radio RTL" che, comunque, continua ad imperversare in terra calabra. Qualcuno paga, anche se il Comune di Reggio non ha trovato qualche centinaia di migliaia di euro: non credo che i cittadini si stiano stracciando le vesti e facciano cortei di protesta, mentre manca l'acqua in tanti rioni, i depuratori funzionano poco e male, la disciplina del traffico è inesistente. 
Ma non vi preoccupate, ci pensa Merolone, tanto a pagare è...Pantalone. 

MEROLA E LA CANCELLIERI

09/08/10

FELTRI CONTRO FINI, QUANDO UN GIORNALE DIVENTA PARTITO

Che "Il Giornale", in pieno rilancio da quando è tornato alla direzione Vittorio Feltri, abbia da tempo iniziato una vera e propria campagna che vede protagonista in negativo il presidente della Camera (non si sa ancora per quanto) Gianfranco Fini, non è una novità.
Ma l'iniziativa presa dal quotidiano di famiglia del presidente Berlusconi, dopo aver sollevato lo scandalo, o presunto tale, della casa di Montecarlo ricevuta in eredità da una nobildonna nostalgica, con la raccolta di firme tra i lettori per "mandare a casa" l'ex pupillo di Almirante, non trova precedenti nella storia del giornalismo italiano.
Feltri, che ne sa una più del diavolo, e che, come riconosciuto dallo stesso Montanelli, è insuperabile nel rianimare giornali in agonia per portarli al successo, è sicuro che i lettori del "Giornale", unico quotidiano in grande ripresa diffusionale in un panorama di crisi generale, risponderanno alla grande. Così, il presidente della repubblica, cui in tutti i modi si sta tentando di rendere movimentate le vacanze eoliane, si ritroverà a breve con un problema in più da risolvere, se è vero quello che si legge dalla penna di colleghi specializzati in retroscena politici, secondo i quali Napolitano sarebbe piuttosto "seccato" da questa situazione che non fa certo bene all'immagine del nostro Paese. 
Se uno dei nostri giornali locali, ad esempio, avesse avuto la stessa idea, tastando il polso dei lettori, e invitandoli a pronunciarsi su qualcuno dei nostri governanti, specialmente a livello regionale (chissà perchè il primo nome che mi viene in mente è quello di Loiero) in quanti sarebbero stati a rispondere?.
Non essendoci ormai quasi più, tranne qualche rara eccezione, i giornali di partito, Feltri ha trasformato "Il Giornale" fondato dal grande Indro quando ruppe col "Corriere", in un "giornale-partito", trovando la chiave del successo diffusionale.
Tornando al caso Fini-Tulliani, dopo aver letto il lungo memoriale difensivo elaborato con chissà quante autorevoli consulenze, la mia modesta impressione è che il Gianmenefrego, come è stato soprannominato dal quel geniaccio di D'Agostino col suo Dagospia, (a proposito, mai querelato) avrebbe fatto bene a risparmiarsi il rammarico e la delusione provati quando è stato informato dalla sua bionda compagna che l'inquilino di Montecarlo era il fratello, imprenditore o produttore non si è capito bene di cosa.
Anche se è vero quello che Fini sostiene, e non abbiamo nessun motivo per non credergli, l'uomo della strada, anche chi è orientato politicamente a destra, non è tanto stupido da accettare una simile panzana.
Nei giorni morti d'agosto, con i palazzi del potere chiusi per ferie, la storia dell'eredità della Colleoni (gatta esclusa) ha vivacizzato le cronache e reso stimolanti le letture sotto l'ombrellone.
Dai lidi, con il wireless gratuito quasi ovunque, ci si può collegare e mandare la mail al Giornale: un autentico esercizio di democrazia  e di libertà tramite computer. E io, quasi quasi.........

07/08/10

OMICIDIO DEL GIUDICE SCOPELLITI, SAPREMO MAI LA VERITA'?


Tanto tempo è passato, ormai, da quel nove agosto del 1991, il giorno dell’uccisione, per mano mafiosa, del giudice Antonino Scopelliti, nato a Campo Calabro, sostituto procuratore generale della Cassazione, colto, brillante, popolare per le sue apparizioni in importanti trasmissioni televisive.
L’appuntamento, la morte lo fissò quel limpido pomeriggio lungo una stradina dalla quale si domina lo Stretto che, quando il sole sta per tramontare, si colora quasi di viola.
E lui arrivò, guidando in jeans e camicia la sua Bmw blu: lasciatasi alle spalle la tortuosa e panoramica statale 18, imboccò la rampa, assai stretta, e poi un rettilineo tra i vigneti, un bersaglio facile per un sicario esperto e spietato.
Il cronista, a volte, fa come l’assassino: torna sul luogo del delitto. Va alla ricerca di nuove sensazioni, di qualche spunto che, su questo drammatico “omicidio eccellente” nessuno può dargli. Sulla morte di Nino Scopelliti è calato il silenzio, troppo presto. L’inchiesta, partita male, non ha avuto lo sbocco giudiziario che tutti s’attendevano, la sua morte è rimasta, desolatamente, “ad opera d’ignoti”.
I chi e i perché sono destinati a rimanere sospesi, come le nuvole che s’addensano, sul cielo della Costa Viola, un pomeriggio d’agosto, di tanti anni dopo.
Tutto è rimasto quasi come allora: qualcuno ha provveduto a riparare il cancelletto che, travolto dall’auto del giudice, era stato divelto, la recinzione di filo spinato è stata sistemata alla meglio, rimessi a posto anche i paletti della vigna dove l’auto precipitò quando chi la guidava, col collo squarciato dai pallettoni, non fu più in grado di controllarla.
Adesso, in quel punto dove si consumò il dramma c’è una stele, neppure tanto bella, ma c’è, di pietra grigia, assediata dalle erbacce che, ad ogni anniversario, qualcuno ripulisce, perché nel giorno della memoria c’è ancora chi viene quassù a ricordarlo e pregare, deporre un mazzo di fiori. Si ricorda un uomo assassinato dalla mafia ma che, stranamente, è come se non fosse mai morto. Nell’ondata di rievocazioni, nel mare di opinioni, interviste, polemiche, discussioni, il ricordo di Scopelliti è come disperso.
Era in vacanza, quando fu ucciso, ma non aveva messo da parte il suo rigore, il senso del dovere: a casa, sulla scrivania, montagne di carte, gli atti del maxiprocesso di Palermo.
E’, più o meno, la stessa ora di quando l’agguato, preparato con cura, venne messo in atto, la stradella è deserta, guardando in giù, verso Santa Trada, si vedono le auto sfrecciare lungo l’autostrada. Le navi traghetto solcano il mare lasciandosi dietro una scia di schiuma, la spiaggia, laggiù in fondo, dove Scopelliti amava trascorrere gran parte della giornata, è punteggiata da ombrelloni variopinti.
Allora, nessuno vide o sentì nulla: qualcuno, da una stazione di servizio, notando quell’auto precipitare e schiantarsi tra i tralci già carichi d’uva, pensò a un incidente stradale.
E così si perse tempo prezioso, i primi ad arrivare pensarono a tutto (un malore, persino il suicidio) meno che a un feroce delitto.
Un omicidio preventivo, frutto di “sinergie” mafiose, un accordo criminoso tra la ‘ndrangheta e le cosche siciliane, ucciderlo nella sua terra per dare un preciso messaggio.
Come cancellare dalla memoria quelle ore: la concitata telefonata che ti dà il primo, incerto, annuncio, l’altalena di conferme e smentite, finchè non arrivi sul posto dove a centinaia le persone assistono alle prime operazioni, seguono il lavoro del medico legale, dei fotografi.
Come dimenticare i volti pallidi, le lacrime dei colleghi reggini amici di Nino, di quelli che, solo pochi minuti prima, avevano fissato con lui l’appuntamento per una cena sotto le stelle.
E ancora una volta, al centro dell’attenzione, ci sarebbe stato lui, tanto riservato e schivo al punto da sembrare scostante, nella sua vita romana, divisa tra il piccolo appartamento di via della Scrofa e l’ufficio al Palazzaccio di piazza Cavour, quanto aperto e cordiale durante i suoi soggiorni calabresi.
Per i colleghi era un esempio, per i giovani un idolo, alle donne piaceva, portava con straordinaria disinvoltura i suoi 56 anni, era troppo facile amarlo, essergli amici, affrontava duri scontri dialettici, nell’esercizio del ruolo di grande accusatore, ma sempre col sorriso sulle labbra.
Col Ferragosto alle porte, l’omicidio Scopelliti riportò l’attenzione dello Stato sulla Calabria, sulla disastrata Reggio dove l’”armistizio” tra i clan in lotta da anni non era ancora stato siglato.
Per giorni, il blocco marittimo attuato dai pescatori delle “spadare”, aveva trasformato le due coste in bolge infernali, mentre i giornali dedicavano grande spazio al delitto di via Poma, a Roma, anche questo destinato a restare insoluto.
Cossiga, terreo in viso, Martelli fresco d’abbronzatura, il povero Falcone, Sica con la barba sempre più bianca, il questore arrivato da poche ore, e che durò solo sei mesi, momenti di grande sgomento nella notte davanti alla prefettura, mentre a Campo Calabro la gente vegliava davanti a quella casa nella quale Antonino Scopelliti veniva riportato, disteso nella bara, col collo fasciato da un fazzoletto di seta, per nascondere l’oltraggio della lupara.
“Questo assassinio è contro la vita e contro lo Stato”, disse Cossiga, stremato su un divano nell’abitazione del prefetto, il ministro della giustizia promette, genericamente, leggi più severe. Ma ci vorranno ben altri morti, tanti lutti, perché lo Stato si decida a reagire e mettere in campo nuove risorse.
Torniamo sui nostri passi, lungo la strada angusta e scoscesa che, da Ferrito, attraverso Piale, porta a Campo Calabro. Nell’aria c’è un odore strano, d’erba tagliata di fresco e di terra smossa. Quel giorno, ne siamo certi, tanti occhi hanno visto come adesso, siamo sicuri, stanno osservando noi. Ma nessuno ha parlato. La moto con le “vedette”andava su e giù, in attesa che Lui arrivasse. Poi, in trenta infernali secondi, tutto finì, in una nuvola di polvere e un forte rumore metallico.
Mi chiedo, ancora una volta: sapremo mai chi lo ha ucciso?

04/08/10

FOTI ALLA RADIO PIANGE MISERIA, MA TANTO NON GLI CREDE NESSUNO

Mi ero riproposto da tempo di non occuparmi della Reggina, per evitare disturbi al fegato e di aggiungere qualche altro "personaggio" alla lista dei nemici. Ma dopo aver ascoltato, cosa che faccio assai volentieri quando sono nella mia città, la seguitissima trasmissione condotta dal tandem Gianni e Dario Baccillieri, su Radio Touring, pur frenando a stento il senso di nausea e non potendo sfogare in altro modo la rabbia, mi sono deciso a fare alcune considerazioni.
Lasciamo perdere l'ansia che provoca nell'ascoltatore il modo di esprimersi del presidentissimo, il number one, come lo chiamano i lecchini in servizio permanente effettivo, con le sue pause, l'intercalare che sembra il belato d'una pecora, il continuo pronunciare l'avverbio sicuramente.
Quello che mi ha lasciato sconcertato (e stavolta l'amico Baccillieri è stato fin troppo...tenero) è il convincimento espresso da Foti, secondo cui giocatori l'anno scorso, quando si sognava ad occhi aperti la A, gratificati da contratti robusti, ma nella norma, dovrebbero adesso rinunciare a centinaia di migliaia di euro e "accontentarsi".
Il presidente factotum ha stabilito che oltre una certa cifra (gli ingaggi che vengono pagati, mi informa un amico procuratore, in prima divisione) la Reggina non può andare, pena il fallimento. E qui, tutti i giornalisti o presunti tali, alcuni al seguito della squadra in ritiro, ad intonare il coro: non ci sono soldi, devono accettare la decurtazione, altrimenti se ne devono andare.
Questi signori dimenticano che i contratti vanno onorati, checchè ne pensi Foti, e che la carriera di un calciatore non è quella di un commerciante: bisogna approfittare degli anni migliori, per assicurarsi il futuro. Insomma, la Reggina che vuole tornare in A vuole fare, come si suol dire, le nozze con i fichi secchi e Foti non trova di meglio che scaricare su altri le gravissime colpe che si porta dietro. E' da tempo che non ne azzecca più una, certi discorsi alla radio, tirandola su argomenti che nulla hanno a che vedere con la reale situazione della società amaranto, lasciano il tempo che trova. I tifosi lo aspettano al varco. Sicuramente.

01/08/10

EDICOLE CHE CONTINUANO A CHIUDERE, E' LA CRISI DELLA STAMPA BELLEZZA!

Era inevitabile che accadesse: la contrazione delle vendite dei giornali quotidiani, a causa della crisi che ha investito, in tutta Europa, il mercato pubblicitario, continua a provocare la chiusura di edicole in città, alcune delle quali da considerarsi "storiche".
Anche se non siamo in possesso di dati precisi, si valuta nell'ordine del 30-40 per cento il calo delle vendite dei giornali che stanno attraversando un difficile momento. Come è noto, il principale introito delle aziende editoriali, oltre alle vendite in edicola e per abbonamento, è costituito dalla pubblicità, nazionale e locale. La difficile situazione economica globale, che ha costretto i governi dei paesi dell'Unione europea a varare finanziarie di lacrime e sangue, si è riversata anche sugli editori, anche quelli di testate di prestigio, costringendoli a dichiarare lo stato di crisi, con conseguenti prepensionamenti e ricorso alla cassa integrazione.
Sulle prime, trovando chiusa qualche edicola che mostrava il cartello "cedesi attività", abbiamo pensato a un normale cambio di gestione, cosa che avviene nel settore del commercio, poi ne abbiamo notata qualche altra, anche in zona centrale, chiusa e basta, quindi cessazione totale. Ci siamo informati presso il nostro edicolante di fiducia il quale, allargando sconsolato le braccia, ci ha confermato che la categoria sta attraversando un momentaccio, che la gestione è diventata un problema, i ricavi sono calati vertiginosamente e si tira avanti con la vendita di altri prodotti, al di fuori di quotidiani e settimanali.
Non è un caso che le edicole si siano trasformate, in questi anni, in autentici bazar che vendono di tutto, dai libri ai giocattoli, dai film in dvd alle ricariche telefoniche. Tirano avanti coloro che non hanno bisogno di ricorrere a dipendenti, ma gestiscono l'edicola a livello familiare, spesso con turni veramente pesanti. Non è raro, infatti, trovare le edicole aperte, oltre che nelle primissime ore del mattino, anche fino a sera inoltrata. Bisogna dire che la concessione ad altri esercizi commerciali della vendita dei giornali ha sottratto spazio a chi lo fa in esclusiva, in passato si è un pochino largheggiato, ma non si erano fatti i conti con la gravissima crisi che non ha alcuna intenzione di finire.
Di solito i mesi estivi, col rientro dei cosiddetti emigrati di ritorno, le vendite subivano un'impennata: quest'anno non è così e a poco servono abbinamenti e gadget. Una mano l'ha data la cronaca con  le centinaia di arresti delle varie operazioni antimafia in tutta la regione, altrimenti sarebbe stata veramente nera.
Una edicola che chiude è un brutto colpo per la democrazia, senza esagerazioni e, perchè no?, per la nostra libertà.