30/09/08

QUEL CANE CHE FIUTAVA....I CARABINIERI

Mezzogiorno in Aspromonte. La neve si scioglie lentamente sotto il sole. Il latitante arrivò puntuale, con il giaccone di pelle sbottonato, le mani in tasca. Una stretta di mano, il saluto all’avvocato che ci accompagnava, e via lungo sentieri scoscesi, al riparo da sguardi indiscreti, per raccogliere la confessione di un uomo che da cinque anni era in fuga e che, pochi giorni dopo l’intervista, decise di pagare il suo debito con la giustizia, ma un male incurabile è stato più veloce dei giudici, la morte, che tutto ripara, ha chiuso il capitolo.
Francesco Fallanca a 40 anni ne dimostrava almeno dieci in più, il carcere, la latitanza, la vita fatta di disagi, i primi segni della malattia.
“Tornerò in carcere, prima o poi, ma per scontare una condanna ingiusta, perché io non ho ucciso quell’uomo. Lo so, anche voi non mi credete, ma l’importante è che lo sappia Iddio”.
Accompagnò la frase levandosi il berretto e alzando gli occhi al cielo. Tutto intorno è un grande silenzio, interrotto dall’abbaiare di cani, laggiù, in fondo alla valle.
Fallanca, il suo cane dove l’ha lasciato? Si dice che ne abbia uno addestrato a fiutare lontano un miglio l’arrivo dei carabinieri. E’ vera questa storia?
“Sì, è vera, ma adesso il mio Jack è morto, è stato un gran dolore per me, era un compagno fedele e una sentinella vigile, quante volte m’ha salvato in questi lunghi anni, braccato notte e giorno. Perché, è bene che lo si sappia, io dalla mia famiglia non mi sono mai allontanato molto, sono rimasto dalle mie parti per lavorare, anche ieri ho potato la vigna”.
E mostra il palmo delle mani callose, con le dita ingiallite dal fumo. Accende una sigaretta dietro l’altra, mentre si guarda attorno con circospezione.
Perché non è rientrato in carcere, dopo aver ottenuto il permesso per buona condotta? Ha pensato che la condizione di latitante le avrebbe creato prestigio in seno alla ‘ndrangheta? O nutriva propositi di vendetta?
“Niente di tutto questo, adesso le racconto la storia. Arrivai a casa, dal carcere di Parma, il 13 dicembre dell’86, con un permesso di quindici giorni. Trovai mia moglie e i cinque ragazzi in condizioni disastrose, non sapevano come andare avanti. Insomma, facevano quasi la fame. Non me la sentii di ripartire, di abbandonarli, e tornai a fare una vita disgraziata, sempre col cuore in gola. Ma non avevo altra scelta, ho sempre lavorato e anche in carcere continuerò a farlo. Le mie ore, tra quelle mura, le ho trascorse tra la lettura e il lavoro che mi davano: ho letto tanti romanzi, libri di storia, sono rimasto affascinato da “Un uomo”, di Oriana Fallaci, mi è piaciuto “Papillon”.
Sono entrato in carcere assai giovane, non avevo cultura, ho scoperto che anche lì è possibile crescere dal punto di vista morale. In questo periodo di vita errabonda, cercando sempre un posto dove nascondermi, mi sono avvicinato ancor più alla religione, ho letto e continuo a leggere la Bibbia, per me la Fede è un aiuto importante.”
Fallanca. Cosa pensa delle guerre di mafia, del traffico di droga che ormai coinvolge le cosche al punto da provocare spaventosi conflitti?
“La droga: io prego la Madonna della montagna che ci liberi da questo veleno che sta invadendo il mondo intero e faccia uscire di senno coloro che stanno spargendo tanto sangue. Io sono stato sempre solo con la mia famiglia. I rischi ci sono, sia durante la latitanza, che nella vita normale”.
“Ciccio” Fallanca ci saluta, riprende la sua strada tra i boschi.
QUESTO PEZZO E' TRATTO DA UN CAPITOLO DEL VOLUME IN PREPARAZIONE CHE DOVREBBE VEDERE LA LUCE NEI PROSSIMI MESI. UN....ASSAGGIO PER GLI AFFEZIONATI LETTORI DEL MIO BLOG OGNI GIORNO SEMPRE PIU' NUMEROSI. GRAZIE A TUTTI.

28/09/08

NEL BAGAGLIO METTETE ANCHE IL DEODORANTE


Che sui nostri treni possa accadere di tutto, ormai è cosa nota, le cronache registrano con cadenza pressochè quotidiana episodi tra i più sconcertanti, dalla presenza di zecche, pulci e altri insetti, a soste impreviste di alcune ore, di guasti agli impianti di condizionamento, insomma partire e arrivare a destinazione è come vincere una lotteria.
Ultimo episodio, ma solo in ordine di tempo, quello che ci ha raccontato un'amica, di ritorno da Roma sull' eurostar che parte dalla Capitale intorno alle 10 e arriva a Reggio Centrale, ritardi permettendo, alle 16. Un buon treno, che ti consente di non alzarti all'alba e di arrivare a casa in tempo per organizzarti il pomeriggio e la serata.
E' successo che, non appena lasciata Termini, nella vettura ha cominciato a diffondersi un odore che, col passare dei minuti, è diventato assai sgradevole, che sembrava provenire dal bagno. Qualcuno ha tirato fuori la bottiglietta di profumo, nel tentativo di migliorare...l'aria, qualche altro avendo in valigia una bomboletta di deodorante, ne ha spruzzato un pò. Ma niente da fare, la puzza è diventata insopportabile, è accorso il capotreno, le proteste si sono fatte vibrate, finchè si è arrivati persino al rifiuto di esibire i biglietti per la normale vidimazione. Finchè, ci ha riferito la nostra amica, uno alla volta i passeggeri sono stati fatti traslocare in altre vetture. Nessuno è riuscito a spiegare la causa del cattivo odore, un misto tra la fuga di gas e la rottura d'una fognatura. Qualcuno dei passeggeri non ha smesso di protestare anche all'arrivo ed ha consegnato in stazione un esposto, chiedendo il rimborso del biglietto. Cosa che non accadrà, anche perchè è previsto solo in caso di ritardi eccessivi. Stavolta è stato solo di un quarto d'ora, puzza a parte.

25/09/08

QUEL METRO QUATRATO (!) LASCIATO A KAKA'


Il solito collega malizioso, ma sofferente quanto me quando la lingua italiana viene maltrattata, e perdippiù su un giornale che va in mano a tante persone, mi segnala l'ennesima impresa del solito "figlio d'arte", promessa del giornalismo sportivo e non.
La ....vittima è il povero Nevio Orlandi che di guai ne ha già troppi, per lui tira una brutta aria. Certamente, con quella faccia triste, non fa nulla per sollevare il morale anche al cronista che, registratore alla mano, gli fa l'intervista di fine gara. Dopo una lunga introduzione che è la quarta ripetizione, in pagine diverse, del commento alla partita (provate a leggere, per credere) la domanda "piccante", è così che si tratta il tecnico, niente salamelecchi.
Cosa è mancato alla sua squadra per ottenere un risultato positivo?
Sul primo gol, si giustifica il malcapitato Nevio, dovevamo essere più attenti, sul secondo è stata una magia di Kakà che ha consentito al Milan di passare nuovamente in vantaggio. E' un fuoriclasse (per chi non lo sapesse) e quando gli lasci un metro QUATRATO non ti perdona.
Ma questo è niente, Orlandi viene invitato a dare un giudizio sull'operato dell'arbitro Saccani. Questa è la risposta così come riportata dal giornale che ospita i brillanti servizi della "promessa": "Non vorrei parlarne. Ha deciso di portare avanti una metro di arbitraggio sino alla fine e tutti avete avuto modo di vedere quello che è accaduto in campo".
Questa è un'offesa a chi spende un euro per acquistare il giornale, ma ancora non è finita, il finale è travolgente.
Al sempre più funereo Orlandi il sempre più pungente intervistatore chiede se ha sentito i cori di contestazione al presidente Foti.
La risposta è da delirio. "Dalla panchina non mi ero accorto di nulla, ma poi me l'hanno comunicato, a fine gara, negli spogliatoi". Vi risparmiamo la lisciatina al presidente fatta da Orlandi, poveraccio, che tiene famiglia e che, secondo noi, dovrebbe passare dal negozio di Amplifon per un controllo ai padiglioni auricolari.
Impavido il cronista sempre più d'assalto, vuol concludere con la domanda-botto. Perchè Di Gennaro è rimasto in panchina tutta la partita?.
Ecco la risposta: i cambi sono soltanto tre. Che Dio salvi la Reggina.

PIANETA PENTITI, LE PROPOSTE DI PEPPINO NUCERA


Ritengo che non ci sia più tempo da perdere: anche un seminarista o un trasognato “imbottigliatore di nuvole” si renderebbero conto che è necessario rivedere la normativa sui cosiddetti “pentiti”.
Con urgenza. E con realismo. Prima che sia troppo tardi!…
Con realismo, perché il progetto di riforma della disciplina riguardante il mondo (ancora inesplorato) dei “pentiti”, pur affrontando efficacemente i temi relativi alla protezione e al trattamento sanzionatorio di costoro, non mi pare che risolva il problema (delicatissimo, e ad alta tensione) della tutela della sterilizzata genuinità delle loro dichiarazioni, né quello della verifica della loro affidabilità, né, infine, quello della revoca o sostituzione della custodia cautelare.
Il problema essenziale è quello di garantire la schiettezza delle rivelazioni di coloro che ho definito i tetri, plumbei, funerari e “iettatori” “reduci dal fronte”.
Per risolverlo, sono indispensabili – a mio giudizio – alcuni ritocchi smaliziati al progetto di riforma.
Li segnalo qui di seguito, con scabra sincerità, e senza gesuitiche cautele.
Divieto assoluto dei cosiddetti colloqui investigativi riservati al personale della DIA dall’art.18 bis dell’ordinamento penitenziario: e ciò sia per ragioni di trasparenza, sia per motivi estetici: il “peccatore” che intende imboccare la strada bitumata e scorrevole della collaborazione deve farlo da solo e, se ci riesce, con dignità.
Anche se non avrà niente a che vedere con la drammatica “notte dell’Innominato”, la notte che precede il suo “pentimento” dovrà essere vissuta solo da lui. Chi ha deciso di collaborare con la giustizia, ne informa personalmente l’Ufficio di Procura.
A questo punto, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ne curerà l’assegnazione a un istituto che garantisca “le specifiche esigenze di sicurezza”.
Le dichiarazioni del “confidente” vengono raccolte dal rappresentante dell’Ufficio di Procura, con l’assistenza del Gip
(La presenza del Gip – la cui opportunità è stata avvertita anche da altri e in sede parlamentare – serve a spegnere diffidenze, e sospetti).
Per tutto il tempo di durata dell’assunzione delle dichiarazioni confessorie (e non già fino alla redazione del verbale illustrativo del contenuto della collaborazione), il “ pentito” dovrà restare – per così dire – “sigillato” in carcere (“sottovuoto spinto”) senza possibilità di colloqui con chicchessia, e senza ricevere corrispondenza.
(Mi vengono in mente, con sorridente malizia, la “storica” - e un po’ famigerata - “lettera dal carcere” con cui il “pentito” Giacomo Lauro sollecitava il direttore della DIA ad andarlo a trovare, “munito di tutti i dati riguardanti gli episodi delittuosi accaduti a Reggio Calabria dopo l’”omicidio dell’ingegnere Musella”; e la registrazione ambientale del colloquio, “allucinato” del giovane Giuseppe Calabrò, fresco di pentimento, col proprio genitore).
Vanno “severamente vietati” gli “appalti” delle assistenze legali ai “pentiti”: lo stesso avvocato non potrà difendere contemporaneamente più “collaboratori” che riferiscano sugli stessi avvenimenti: il divieto è imposto da motivi di trasparenza e di stile.
Il termine di 180 giorni per l’assunzione delle dichiarazioni confessorie appare eccessivo: gli “esercizi spirituali” dell’ex “peccatore” possono essere conclusi anche in un termine molto più breve: neanche Casanova o Rasputin avrebbero avuto bisogno di sei mesi per dettare le loro memorie.
Il “confidente” non può sconfinare dall’area che è stata transennata in sede di verbale illustrativo del contenuto della collaborazione.
Il collaboratore non può fare furbastri riferimenti a notizie apprese da persone defunte, né da coloro che egli accusa o chiama in correità.
Va affrontato (e risolto) il problema dell’art.192 n.3 del codice di rito, riguardante le cosiddette “dichiarazioni incrociate”: anche alla luce (sconvolgente) degli accertati incontri tra “pentiti”, seguiti da orditure e intrighi accusatori di stampo levantino (se non addirittura di stile rinascimentale).
Insomma: è bene che il “peccatore” che intende sottoporsi a quella specie di “Montecatini dello spirito” che è la collaborazione , sappia che col suo “pentimento” egli non vincerà certamente il superpremio del “superenalotto”.
Queste riflessioni appartengono a un grande penalista scomparso l’anno passato, Peppino Nucera, mio grande amico, eccezionale avvocato, ma soprattutto grande uomo. Un piccolo omaggio alla sua memoria.

24/09/08

C'E' ANCORA CHI FA DI MESTIERE IL TERREMOTATO

Quando la terra trema in Calabria, e questo capita spesso, anche se ad accorgersene sono solo gli strumenti degli osservatori geofisici, tornano antiche paure. Riecheggiano nella memoria i ricordi dei disastrosi sommovimenti geologici che hanno lasciato, a distanza di anni, ferite aperte. Così come ferite sono quelle case sbrecciate, sui muri le crepe disegnano angosciose ragnatele, le tracce del terrore.
I sub che s’immergono lungo la costa reggina, a pochi metri dalla spiaggia, prima che il fondale scivoli verso il buio delle grandi profondità, possono vedere ciò che resta degli edifici che, all’alba del 28 dicembre 1908, furono inghiottiti dall’apocalittica onda di maremoto: cielo e mare, nel buio infernale, sembrarono come unirsi in un tragico abbraccio, e per migliaia di persone, fu la morte.
Sono passati cento anni e c’è ancora chi vive in quelle baracche che la solidarietà nazionale e mondiale fece sorgere per dare un tetto a chi, in pochi secondi, aveva visto svanire il presente, il passato, e anche il futuro.
I calabresi hanno paura dei terremoti: eppure, di disgrazie nel corso dei millenni ne hanno viste parecchie, passando dalle invasioni dei “coloni” greci, alle incursioni saracene, per finire alle guerre, le stragi mafiose, le alluvioni, la siccità, lo scirocco.
Fatalisti e disincantati, non piangono sulle macerie perché già sanno che il loro destino è quello d’essere dimenticati in fretta, così come è accaduto nel Belice, nell’Irpinia, a Napoli, a Reggio e Messina.
Le disgrazie, nella cosiddetta “terra ballerina”, non arrivano mai sole. I tempi della ricostruzione sono biblici, le calamità un’occasione per arricchire gli speculatori e “ungere” le ruote del sistema politico-clientelare che l’esplosione delle varie Tangentopoli ha solo in parte intaccato.
La Calabria che “fa notizia” è quella dei morti ammazzati per mano mafiosa, degli omicidi eccellenti, dei politici corrotti, delle cattedrali nel deserto, della dilagante disoccupazione, delle promesse di un Governo sempre più lontano, Roma è la Costantinopoli dei disperati che bloccano le strade, s’incatenano un po’ dovunque, minacciano di gettarsi dai ponti, assediano gli uffici di “chi di competenza”.
Il terremoto, perciò, viene accettato quasi con rassegnazione: per qualche giorno la televisione di Stato e i media nazionali si occupano di quel Sud del Sud, “sfasciume pendulo” di cui vale poco interessarsi.
Le case pericolanti vengono puntellate, e così resteranno, gli sfollati verranno ospitati in squallidi alberghetti e andranno ad ingrossare l’esercito degli assistiti a vita.
Professione: terremotato. Di tanto in tanto, la natura, come un gigante addormentato, sembra volersi svegliare e tenta di scrollarsi di dosso quest’ammasso di valli e monti, di fiumi impetuosi e boschi impenetrabili, il miracolo di cui il Signore si ricordò quando già quasi aveva completata l’opera della Creazione.
E venne, come dice Leonida Repaci, il giorno della Calabria.

22/09/08

TOTO' DELFINO, INNOCENTISTA ANCHE DA MORTO


Mi chiama un collega che vive al Nord: sai, ho saputo che è morto Totò Delfino. La notizia mi addolora perchè sono stato amico di Antonio Delfino, uomo di cultura, polemista di rango, anche se ultimamente, perchè certe vicende familiari lo avevano toccato particolarmente, in lui prevaleva una certa faziosità.
Tutti gli inviati che scendevano al Sud per le loro inchieste, da Giorgio Bocca a Vittorio Feltri, a Roberto Ciuni, a Giampaolo Rossetti (mi ricordo questi per averli personalmente accompagnati a Bovalino dove Totò abitava) trovavano in lui un punto di riferimento importante e preziosi consigli per cercare di "capire" la Calabria. Non sempre ci riusciva, come non ci sono riuscito io tante volte.
Non lo vedevo da mesi, salvo un breve incontro nell'ufficio del compianto editore Giuseppe Falzea, e lo avevo trovato stranito, forse perchè la sordità lo affliggeva più del solito. Inevitabilmente, il discorso cadde sulla vicenda del fratello, il generale dell'Arma coinvolto nel sequestro Soffiantini e condannato per essersi appropriato di denaro. In quel periodo erano uscite fuori alcune intercettazioni tra l'alto ufficiale e un ambiguo cronista, al quale si era rivolto perchè facesse da tramite con un importante uomo politico, insomma chiedeva un qualche aiuto per venir fuori dal "pasticciaccio" nel quale s'era cacciato. E il giornalista, che pure di sequestri e di riscatti una qualche esperienza ce l'ha, per quanto ne sappiamo non fece nulla, lui che di Totò era stato allievo. Ma queste sono miserie umane: adesso che Totò Delfino (conservo ancora un suo bigliettino scritto in greco, dopo che lo avevo...sfidato ad una sorta di certame letterario) è lassù certamente troverà la maniera di rompere le scatole anche a San Pietro e riuscirà a convincerlo che i suoi peccati non sono punibili. Inguaribile innocentista, anche da morto.

SUI CANTIERI DELLA A 3 ALEGGIA LA PAURA



Il rischio del blocco totale dei lavori per due macrolotti dell’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria sembra sempre più concreto, anche se dai sindacati, con in testa la Filca-Cisl, sono state avviate incisive iniziative sollecitando, sia il general contractor, che le istituzioni sul territorio.
Le cause sono ormai note: da un lato, le iniziative della magistratura, che hanno disarticolato alcune cosche della ‘ndrangheta, interessando anche se per fortuna marginalmente, anche il mondo sindacale; dall’altro, il continuo lievitare dei prezzi delle materie prime, dovuto alla crisi economica internazionale ed al rialzo eccezionale del petrolio.
Da parte di Filca e Fillea è partita una proposta che non può mancare di suscitare commenti e aprire un dibattito nella regione che più d’ogni altra, avverte il peso della recessione, e presenta notevoli problemi dal punto di vista della criminalità. E’ stato chiesto, senza mezzi termini, il presidio dei cantieri da parte dei militari dell’esercito, in aggiunta ai servizi che vari Corpi (carabinieri, polizia, guardia di finanza) già svolgono, e che qualche risultato l’hanno dato.
La pesante interferenza della mafia, che nel settore edile, questo è noto, trova da tempo una delle maggiori fonti di…finanziamento, non può comunque servire da alibi per incoraggiare chi ha interesse a non “disturbare” il manovratore e fare in modo che, come per il passato, prevalga la politica del tanto peggio, tanto meglio.
C’è chi intende fare opposizione in questo modo, pensando che la gente abbia la sveglia al collo e gli anelli al naso, e viva nelle tribù.
La Calabria è una regione viva, dal punto di vista culturale, ha un’informazione distribuita, attraverso numerosi quotidiani, su carta e on line, in maniera capillare, insomma, solo chi non vuole informarsi, può nascondersi alla realtà.
L’allarme è stato lanciato, e non riguarda soltanto i cantieri della A3, ma lo stato generale dell’edilizia pubblica e privata che sembra dover segnare ancora una volta il passo, con conseguenze sull’economia regionale di particolare gravità.
L’arrivo dell’esercito, se questa proposta verrà accolta, non può che essere considerato un momento di particolare presenza dello Stato, fin troppo assente, in questi anni, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Ma non basta, occorre un’autentica mobilitazione popolare, a partire dai sindaci, che rappresentano le varie comunità interessate a non far fallire processi di sviluppo che collegamenti più efficienti favoriscono.
Oltre all’autostrada, bisogna accendere i riflettori anche su un’altra opera che corre grossi rischi, la trasversale delle Serre, di fondamentale importanza per assicurare il rilancio d’una giovane provincia qual è quella vibonese.
Il dialogo con l’Anas, con le imprese committenti, con la classe politica, con le organizzazioni sindacali, deve essere continuo. Solo così è possibile trovare soluzioni unitarie e presentare non solo la faccia truce dello Stato, ma anche far capire che la Calabria da tempo ha scelto altre strade che non siano quelle del sottosviluppo, dell’acquiescenza ad una classe politica debole e corrotta, ma quelle che portino ad un completo riscatto sociale ed a un futuro diverso per le nuove generazioni.

21/09/08

ROMA-REGGINA COL CUORE DIVISO


Il mio cuore, sportivamente parlando, è diviso in due: da un lato la Roma, prima squadra della mia vita, poi la Reggina che, per motivi professionali, ho seguito per anni, ho conosciuto i momenti bellissimi dell'approdo in B, dopo il lunghissimo purgatorio nelle serie minori, la promozione sfiorata con Maestrelli in panchina, il calcio spettacolo di Segato, i momenti bui con qualche decina di persone sugli spalti del vecchio Comunale. Poi, da qualche anno, ho smesso di andare allo stadio, l'ambiente che s'è formato attorno alla società non mi piace, sono diventato un tifoso da salotto.
Anche stavolta, poichè per gran parte dell'anno vivo nella Capitale, mi toccherà spendere un patrimonio per scommesse perdute e subire gli sfottò (durata media un mese) dei vincitori e i rimbrotti degli amici laziali, che mi accusano di non essere stato capace di...far vincere la Reggina.
Stavolta la sofferenza è stata doppia, perchè moglie e figli la partita l'hanno vista dal vivo, per cui ho referenze attendibili: se continua così, mi hanno detto in coro, è un disastro.
Da Bernardo Corradi ci si attendono i gol che non arrivano e che difficilmente arriveranno se non si troverà il modo per non lasciarlo in balia dei difensori. Una cosa consiglierei ad Orlandi: onde evitare quel continuo aggiustare del laccetto che gli tiene raccolta la chioma, perchè non mandare il bomber ancora a secco su azione da un buon barbiere?. (A Reggio ce n'è qualcuno in gamba). Forse alla Santarelli il bel toscano piace così, in squadra è comunque in buona compagnia. Una volta, gli allenatori non consentivano i capelli lunghi, ma anche nel calcio la democrazia ha fatto passi in avanti.
Da parte mia, continuo a consolarmi, in attesa di sentire in tv l'acuta analisi di Galimi, con l'assioma-Baccillieri: tanto Foti, tri cchiu fissa i nui i trova sempre.

19/09/08

ECCO PERCHE' PREFERISCO MANLIO GALIMI


Dopo partita di Reggina-Cagliari di Coppa Italia, una promessa (?) del giornalismo sportivo intervista un abbacchiato Allegri, allenatore dei sardi, ed è la sagra delle ovvietà, una cronaca che neppure trent'anni fa avrebbe impedito al responsabile della pagina di farla finire nel luogo più congeniale, il cestino.
"Abbiamo disputato, afferma il tecnico, un brutto secondo tempo" E fin qui ci siamo, è la cronaca, bellezza. "Peccato, aggiunge, perchè eravamo venuti a Reggio per conquistare un risultato positivo".
Trovatemi un qualsiasi allenatore di una qualsiasi squadra, anche dell'oratorio (che peccato, non ce ne sono quasi più) che scende in campo per non fare risultato. "Quando si perde non è mai bello", avrebbe detto Allegri, che, se è uno che parla così, merita il licenziamento.
Ma il mister toscano, che pure passa per uno bravo, raggiunge il top quando, dopo la clamorosa anticipazione che il promettente cronista fa (la panchina del tecnico sardo non è più solida), così commenta: "Noi allenatori siamo sempre in bilico" per poi concludere con la straordinaria ed eccitante (non certamente per i lettori) affermazione:"Non so quello che potrebbe accadere, chiedetelo al presidente".
Vi risparmiamo il resto delle interviste, con domande e risposte all'insegna della banalità, senza un pizzico di mordente, uno spunto critico.
Mi sono consolato, però, ascoltando su RTV il vecchio ma sempre in gamba Manlio Galimi, che del calcio conosce tutti i segreti e che, per la verità, in questo mare di vassalli, reggicoda, cronisti all'acqua di rosa, è l'unico che esce dal coro e, non solo commenta quello che in campo tutti hanno visto ma che sui giornali nessuno trova, ma offre interessanti considerazioni di carattere tecnico-tattico, come faceva un maestro e amico dello stesso Manlio, quel Gianni Brera che, se da lassù potesse vedere certe trasmissioni in tv, si rotolerebbe sacramentando nella tomba.
E' ovvio che ai padroni del vapore Manlio può risultare indigesto, ma alla distanza ha sempre dimostrato di vedere lontano, ed alcuni allenatori che non lo condividevano, hanno finito con l'ammettere che aveva ragione.
Coraggio, amici sportivi, accanto alle promesse del "nuovo" giornalismo, sottratte ad altri mestieri, c'è anche lui. E meno male che Manlio c'è.

18/09/08

STAZIONE FS, QUELLA SCALA SEMPRE.....IMMOBILE


Stazione centrale, eurostar delle 7,55, direzione Roma. Non c’è tanta gente: un gruppo di giovani che va a fare un concorso, e che si porta nel bagaglio un carico di speranze, il professionista con la sua borsa firmata, un’anziana signora che trascina a fatica il trolley e che, quando arriva davanti all’unica scala mobile, si blocca, quasi impietrita, guardandosi attorno smarrita.
Un cartello avverte: impianto fermo per lavori di riqualificazione, un nastro di plastica limita la zona. Io, che già devo aiutare mia moglie (che diavolo carica nelle sue valigie, ogni volta che parte) cerco di alleviare il disagio della povera donna, ed anche di un’altra signora che, tra l’altro, è claudicante.
In breve mi trasformo in portabagagli, arrampicandomi sulle scale fino al binario 4, per fortuna che non ci hanno spedito all’ultimo. Benedetti quegli uomini col camice che, fino a non molti anni fa, attrezzati col loro carrettino, erano pronti, all’arrivo di ogni convoglio, a dare una mano a chi, già stanco per il viaggio, non se la sentiva di trascinare i bagagli.
La scala…immobile è lì da anni e ricordo di averla vista in funzione solo in rarissime occasioni. Essendo l’unica, mentre ne sarebbe necessaria una per ogni accesso ai binari, la manutenzione non dovrebbe essere un problema. Se si guasta così di frequente, un motivo ci sarà, forse un difetto strutturale, non siamo tecnici della materia, e neanche di altre, per poter esprimere un nostro giudizio, ma certamente così non è possibile continuare.
La stazione ha avuto qualche miglioria, ma non è bastato per renderla adeguata ad un’ importante città come la nostra che in questi giorni, grazie a Dio, continua ad ospitare turisti. Ce la faranno i nostri eroi a renderla “qualificata”, prima che arrivi l’ondata dei marinai d’Italia che hanno scelto Reggio per il loro raduno nazionale?

16/09/08

EVVIVA, ORA SIAMO TUTTI UN PO' PIU' RICCHI


Andando in giro per la città mi è parso di cogliere, in questi giorni di ripresa delle attività (ma tanta gente a passeggio e i bar sempre affollati dimostrerebbero il contrario) un senso di generale soddisfazione.
Tutta la stampa, anche quella che dovrebbe fare una certa opposizione, uscire, come si suol dire dal coro del tutto va bene madama la marchesa, ha salutato con enfasi il "regalone" del Governo all'amministrazione capitanata dal sindaco-Lorella, il più amato dai cittadini, alias Peppe (Show) Scopelliti, noto per essere un gran consumatore di gel per capelli.
Trentatre milioni di euro, una montagna di denaro gran parte della quale, meglio precisarlo, già impegnata grazie ai debiti accumulati in questi anni di feste, festicciole, compleanni di vip amici, elargizioni varie.
Ma qualcosa dovrebbe restare per pensare ai quartieri da sempre abbandonati, alla carenza d'acqua che ha portato alla disperazione, nei giorni della grande calura, centinaia di famiglie. A Palazzo San Giorgio c'è euforia mentre già si pensa a come transennare la zona riservata ai creditori che si affolleranno dietro la porta di chi regge i cordoni della borsa.
Il sindaco Scavolini, che ha stracciato tutti quelli calabresi, alcuni dei quali, compreso quello dell'odiata Catanzaro, nemmeno ci sono entrati nella classifica, così imparano a fare del campanilismo becero ed a porre veti a destra e a manca.
Una grande occasione per ripartire alla grande per il buon Giuseppe imitato alla perfezione da Gennaro Calabrese, forse l'ultimo salto dal trampolino, prima di tuffarsi nella politica nazionale e conquistare il sospirato seggio a Montecitorio.
Ebbene, lo confesso, anch'io mi sono sentito un pò più ricco, anche se virtualmente, ma noi siamo gente che s'accontenta. E poi, stanotte ci sono i "giochi di fuoco", allegria!.
P.S. La notizia del rinvio dei giochi pirotecnici ha gettato nella più cupa disperazione titolari di bar e ristoranti che speravano in lauti incassi. Si rifaranno presto.

15/09/08

MISS ITALIA, ERIKA MERITAVA QUALCOSA DI PIU'


Siamo ovviamente contenti che il titolo di miss Italia, un concorso che ormai, nonostante i tentativi di adeguarlo ai tempi, sta mostrando la corda, (e la prova è costituita dall'impressionante calo di ascolti televisivi), sia andato ad una ragazza del Sud.
Siamo ancor più soddisfatti del fatto che le tre finaliste siano state tutte concorrenti siciliane, a conferma che la bellezza cosiddetta mediterranea riscuote consensi popolari inducendo anche quelli del Nord a preferirle col loro televoto.
Ma un pò d'amaro in bocca ci è rimasto dopo la repentina eliminazione della reggina Erika Romeo, splendida mora, nulla da invidiare alla acese Miriam Leone, eletta dopo un ripescaggio sul cui meccanismo nutriamo qualche perplessità. Nonostante la mobilitazione dei suoi concittadini, la ragazza acqua e sapone che per diversi giorni ci ha sorriso dai manifesti affissi un pò dovunque, non ce l'ha fatta.
Le auguriamo, comunque, di avere ugualmente la possibilità di entrare nel magico mondo dello spettacolo, ma le consigliamo, innanzi tutto, di non tralasciare gli studi e di mantenere un rapporto solido con la famiglia e con la sua città. E' facile cadere nell'illusione che un certo ambiente procura, specie se si è tanto giovani.
Erika, ne siamo convinti, meritava qualcosa di più, ma noi reggini siamo fatalisti e abbiamo il dono della rassegnazione, anche quando ci pare di aver subito un'ingiustizia. Non è detto che chi vince, in qualsiasi ramo della società, in ogni mestiere o professione, sia il migliore. E a miss Italia questo assioma ha avuto spesso conferma. Erika, comunque sia andata, è stato per te un successo.

14/09/08

LA MADONNA HA FATTO IL MIRACOLO: NON CI SONO PIU' MANGIAPRETI


Debbo dirlo con tutta franchezza: a me, e a tanti altri che ci siamo formati in ambito cattolico, che abbiamo avuto la cosiddetta educazione cristiana, fa un certo effetto vedere, tutti compunti e con le facce di circostanza, rappresentanti della classe politica, ma non solo loro, che, sulla base dell'ideologia professata dai partiti d'appartenenza (alcuni dei quali, deo gratias, defunti) non dovrebbero aver alcun rapporto con la cristianità, cioè frequentare le sante messe, comunicarsi, sposarsi in chiesa, battezzare i loro figli.
I comunisti d'una volta, ma dove sono più? lo facevano ed erano memorabili le scene che si verificavano nelle parrocchie quando qualcuno di loro, spesso in ore notturne, si recava dal parroco del paese per chiedere le "pubblicazioni" di matrimonio o di essere cresimato. Si sono verificati casi, addirittura, di preti (generalmente apostrofati come mangia pane a tradimento)che rifiutavano d'impartire l'estrema unzione ai seguaci di Togliatti, Nenni, e anche Saragat: quelli dopo, lasciamoli stare.
Adesso, non solo sfilano dietro il quadro della nostra amata Patrona che, se potesse parlare, li manderebbe tutti...al diavolo, ma rilasciano interviste esaltando l'afflato di fede e di speranza che sale dal popolo che partecipa alla processione e che con la Madonna della Consolazione ha un rapporto straordinario. E promettono soldi alla Chiesa, dopotutto è meglio tenerseli buoni i Santi. Certo, non sono di quelli che si scandalizzano avendone viste, in tanti anni di questo mestieraccio, di cotte e di crude. Ad alcuni compagni e a certi noti massoni, che mi ricordano tanto i personaggi di Guareschi, anche se portano il doppio petto, consiglierei di evitare esibizioni di una fede che non c'è e non può esserci perchè hanno giurato fedeltà ad altri personaggi che la storia ha già giudicato. E non venite a dirmi che, di fronte alla Patrona, non c'è idea politica che tiene, tanto al giudizio divino dovrete presentarvi da soli e lassù i pretesti non valgono.

12/09/08

DESTRA E SINISTRA UNITE ...NELL'ABBRONZATURA


Chiedo ad uno degli addetti ai parcheggi a pagamento: oggi si paga? finito lo sciopero?. "Fino a dicembre, mi risponde con aria poco convinta, ci hanno assicurato gli stipendi, poi chissà....".
Delle vicende Ama, la municipalizzata del trasporto urbano, sentiamo parlare da decenni, quando era amministrata da una commissione che veniva nominata dai partiti e che, bene o male, riusciva a mandare avanti la baracca.
Certo, di programmazione manco a parlarne, mentre i debiti aumentavano a dismisura, il parco automezzi invecchiava, qualcuno provvedeva a ripianare i buchi di bilancio. Poi, è arrivata l'epoca dei manager, spesso personaggi che di trasporti capivano quanto chi scrive possa capire di astrofisica. Il servizio pubblico è uno di quelli che, come l'acqua, la luce, il gas, la raccolta dei rifiuti, qualificano una città, la rendono civile, garantiscono ai cittadini una vita serena, i ragazzi possono andare a scuola, i pensionati a riscuotere in Posta, le massaie ai mercatini rionali.
Eppure, qualche giorno fa, quando l'Ama s'è fermata, quasi nessuno è sembrato accorgersene, la solidarietà ai lavoratori senza stipendio (ma almeno il panettone il sindaco Scopelliti glielo ha assicurato) è arrivata col contagocce, i sindacati fanno quello che possono nel mare del silenzio.
Alla conferenza stampa, sotto il sole cocente di questo spezzone d'estate tropicale, l'amministratore unico e il direttore generale, uno espressione della destra, l'altro notoriamente vicino alla sinistra ormai in estinzione, si sono presentati sfoggiando una invidiabile abbronzatura da isole Eolie. Sorridenti a pieno schermo, si sono concessi alle domande, invero fiacche dei cronisti presenti (che noia, tornando dalle ferie, occuparsi di queste cose) ed anche ai flash dei fotografi. Il risultato è eccezionale. destra e sinistra, una volta tanto, unite....nell'abbronzatura.
Amici dell'Ama, che il buon Dio vi protegga!.

11/09/08

GIGI, IL MIO AMICO-RIVALE, 20 ANNI DOPO


Nella notte tra il 10 e l’11 settembre di vent’anni fa, nell’ospedale di Locri, dove era stato ricoverato in condizioni disperate, dopo essere stato colto da malore nella sua casa di Siderno, moriva Luigi Malafarina: non aveva ancora 50 anni, ed era uno dei più noti cronisti italiani.
Pur essendo di qualche anno più anziano di me, si può dire che le nostre carriere erano state parallele e, dal 1985, il destino aveva voluto che io lo raggiungessi alla “Gazzetta”, così come il destino ha voluto che i vertici del quotidiano messinese decidessero che sarei stato io, che in quel momento lavoravo alla redazione province calabresi a Messina, a prenderne il posto.
Ero in ferie, quel giorno, e me ne tornai a casa piuttosto scosso: in chiesa, nel suo paese natio, erano venuti in tanti, era arrivato anche Vico Ligato. Ci ritrovammo sul sagrato, quel gruppo di giovani giornalisti che con Gigi avevano vissuto gli anni ruggenti del mestieraccio, inseguendo fino a notte fonda le notizie, Tribuna e Gazzetta, in feroce ma civile concorrenza, una palestra di professione e di vita irripetibile.
Neppure un anno dopo, Ligato lo avrei rivisto steso davanti alla porta della sua villetta a Bocale, straziato dai proiettili di due killer della ‘ndrangheta.
Luigi Malafarina, arrivò a Reggio dopo una breve permanenza alla redazione centrale di Messina (il giornale aveva una tradizione: premiare i corrispondenti provinciali più capaci, a Bonino, il fondatore, non piacevano i raccomandati, i capelloni e i fumatori. Gigi era calvo da giovane, ma fumava una sigaretta dietro l’altra, alternandola a pasticche di liquirizia.
La sera stessa mi chiamò, aveva ancora la valigia da disfare, ma ci abbracciammo a metà strada, noi eravamo in via Giudecca, loro in via Osanna.
La nostra fu un’amicizia interrotta solo, di tanto in tanto, da qualche periodo di burrasca, quando (e ancora me ne pento) gli davo qualche “buco”, che in gergo giornalistico significa avere sul tuo giornale una notizia buona e la concorrenza neppure un rigo.
Dopo un mio scoop che fa parte della storia del giornalismo, ormai, (intervista su Oggi e sul Giornale di Calabria al boss Saro Mammoliti, ricercato da tutte le polizia) per parecchio tempo mi tenne il broncio, quando m’incontrava ogni giorno in Questura o in Tribunale, quasi ringhiando accennava a un saluto, ma molto freddo.
Un giorno, eravamo a Milano ospiti entrambi dell’ingegnere Giovanni Calì, il magnate dei Premi Villa, uomo straordinario, fu lui a prendere l’iniziativa:”è troppo tempo che siamo nemici” e mi abbracciò. Entrambi avevamo i lucciconi, da allora, il rapporto si consolidò e d’estate, anche quell’ultima estate, nel breve intervallo tra il “giro” di nera e la pausa pranzo, veniva nella mia casetta al mare dove mia moglie era ben felice di preparargli qualche manicaretto che, l’ho scoperto dopo, era lui stesso ad “ordinare” telefonandole a mia insaputa.
La fatale sera del 10 settembre 1988 Gigi, prima di lasciare la redazione, che nel frattempo s’era trasferita in via De Nava, per andarsene a trascorrere a Siderno la giornata di “corta”, chiamò a casa mia per chiedere a mia moglie il risultato degli esami che suo figlio, Antonio, da esterno, aveva fatto al liceo di Bagnara. “Tutto bene, Gigi, le rispose la mia consorte, che lo sentì veramente felice. “Giovedì torno, andiamo a festeggiare”.
La mattina successiva, fui svegliato da Lello Spinelli, storico fotoreporter del giornale: Gigi sta male, vado a Locri, vieni con me? Una corsa inutile, quando arrivammo, usciva un famoso neurologo chiamato per un consulto, scuoteva il capo. Gigi era clinicamente morto, nel pomeriggio vedemmo il corpo, prima che lo infilassero nella cella frigorifera.
Per anni è stato il punto di riferimento degli inviati che venivano a “raccontare” la Calabria, al giornale dava tutto se stesso, senza orari, senza risparmiarsi, pagando il prezzo più alto. Ci restano i suoi articoli i libri sulla ‘ndrangheta, il ricordo struggente del rivale-amico che ogni giorno che passa s’accorge di quanto questa professione sia degradata. Di Gigi Malafarina non ne nasceranno più.
P.S.
Spero anche che non nascano più questi cosiddetti giornalisti antimafia, gli studiosi che, grazie alla mafia, si sono fatti i soldi, io li conosco uno per uno, conosco le loro storie ed anche le loro malefatte, li disprezzo profondamente. Si permettono di mettere in discussione il lavoro di Gigi, di altri valorosi colleghi, e se permettete anche quello di chi scrive, potendo vantare un curriculum di tutto rispetto e una carriera costellata di sacrifici, di paure, di minacce anche dall'interno dello stesso giornale, di vicinanze scomode. Prima di pontificare (pensate a lavorare, piuttosto) meglio andare a rileggere le migliaia di pagine, voi che non avete mai rischiato nulla.
Adesso mi fermo, il senso di nausea è insopportabile.

10/09/08

LA DOSE STAVOLTA NON ERA BUONA



Quello che ci è toccato leggere sul pur autorevole quotidiano di Confindustria (ma una controllatina, chi ha passato il pezzo avrebbe dovuto darla) ha dell'incredibile e ci sarebbe da ridere, se non si trattasse di questioni drammatiche.
Il senatore a (lunga) vita Emilio Colombo, l'ideatore del famoso pacchetto delle cui conseguenze portiamo ancora i segni, è noto per ...l'aiutino chimico, a base di polverina bianca, cui fa ricorso per tenersi sù e per lenire imprecisati dolori, non sappiamo in quale parte del corpo.
Confondendo attributi maschili per lampioni, l'ex presidente del Consiglio al tempo della sciagurata rivolta per il capoluogo, della quale paghiamo ancora lo scotto, ricorda come ebbe l'idea di...regalare alla Piana di Gioia Tauro il quinto centro siderurgico italiano, che non è stato mai realizzato, a parte il porto, che è l'unico "omaggio" gradito del Governo.
Nel suo famoso pacchetto, inoltre, era compresa la Liquichimica di Saline Joniche, altra cattedrale nel deserto. Tra Centro siderurgico e impianto chimico, la nostra provincia, sui due versanti, sarebbe diventata in breve tra le più inquinate del Paese.
Ancora più confuso (evidentemente la "roba"non era del solito fornitore) Colombo si attribuisce il merito di aver salvato il nostro Lungomare dall'orrenda cortina di ferro costituita dai binari della ferrovia. Non avrebbe fatto meglio se si fosse informato, magari telefonando sulla Jonica ai suoi ex fedelissimi?.

09/09/08

L'ASSESSORESSA DAL SORRISO...DURBAN'S


Eravamo in pensiero, per un paio di giorni sul giornale una volta leader sulla piazza non è comparsa la foto della sempre sorridente (ma un paio di sedute dal dentista sarebbero necessarie, a nostro avviso) assessoressa ai grandi e piccoli eventi.

Ma ci siamo dovuti ricredere presto: l'assenza era dovuta alla spedizione che l'assessoressa messa di peso (con qualche fatica, data la mole) nella Giunta Scopelliti, ha compiuto in Laguna per presenziare e sorridere molto alla kermesse del cinema.

Al ritorno, non ha perso tempo, ed è corsa, sempre sorridendo ovviamente, a presentare la notte bianca che negli anni passati tante polemiche ha provocato per i costi eccessivi che hanno mandato in...bianco le casse comunali.

Stavolta, niente migliaia di euro ai vari tronisti e tanti soldi per la passeggiata di personaggi del gossip, come la Marini. Al popolo è stato dato l'annuncio, tanto atteso, che si è risparmiato quasi il 50 per cento rispetto all'anno scorso e che verrà dato spazio soltanto ad artisti locali. Davanti alle telecamere, l'assessoressa dal sorriso facile, ha recitato il compitino, con una dichiarazione di grande spessore culturale, e perchè no?, sociale. Soddisfatta, naturalmente, per aver organizzato la mostra di "maestri" della fotografia sui quali ci sarebbe tanto, ma tanto, da discutere. Non sappiamo ormai più a quale santo votarci, non basterebbero neppure se si mettessero d'impegno entrambe, nostra Signora della Consolazione e la Madonna della montagna. Amen.

08/09/08

COSA NE PENSO DEI GIUDICI .... SCRITTORI


In "tournèe" da una parte all'altra dell'Italia, isole comprese, il giudice Nicola Gratteri promuove adesso il suo secondo libro, scritto anche questo in tandem col giornalista Antonio Nicaso che ricordo corrispondente del mio giornale (assai attivo e capace, già allora) da Caulonia, poi fortunato emigrante in Australia.
Un amico mi pone una (giusta?) osservazione: ma questi giudici, sempre pronti a minacciare l'arresto dei giornalisti che violano il segreto (?) istruttorio o pubblicano le intercettazioni, da dove traggono il "materiale" per i loro saggi abbondantemente pubblicizzati e altrettanto abbondantemente venduti, addirittura consigliati quali testi scolastici, se non da atti giudiziari? Certamente le loro fonti sono privilegiate, non accessibili a malcapitati cronisti che, come accadde una volta a chi scrive, venne minacciato d'arresto dallo stesso Gratteri per aver redatto un servizio, commissionatomi dal mio, per fortuna, ex direttore il quale, a sua volta, mi minacciò di licenziamento, salvo riconoscre, qualche anno dopo, che tutto sommato quello che avevo scritto era vero e che, come qualcuno interessato a...conquistare il mio posto gli aveva fatto credere, non mi ero macchiato di chissà quale malefatta.
Gratteri ha trovato un buon filone, interessante anche dal punto di vista economico (e sì, ci si guadagna anche qualcosa, non è più il tempo del "carmina non dant panem") così come fanno i vari Carofiglio, Lupacchini, Tinti, fino al notissimo autore di Romanzo criminale, che ha incassato diritti milionari.
Giustamente, l'uomo della strada si chiede, posto che la Costituzione assegna a tutti noi, giudici compresi, il diritto d'espressione sotto qualsiasi forma, se sia corretto che magistrati in servizio utilizzino il loro patrimonio professionale per trasformarlo in best seller e passare parecchie giornate in giro per il Paese, quasi fossero cantanti di grido, aiutando gli editori a vendere il loro prodotto. Può sembrare un ragionamento anche volgare, ma è proprio così, i giudici-scrittori sono venditori, quasi porta a porta, dei loro libri che, agli addetti ai lavori, non dicono quasi nulla d'interessante, tanto loro le cose le conoscono, specialmente quelli che senza esporsi alle luci della ribalta ogni giorno "masticano" la mafia. Al fine di non apparire un detrattore del dottor Gratteri (il quale quando m'incontra, è sempre così cordiale) debbo aggiungere che la sua attività di scrittore toglie poco al suo lavoro e non fa parte di quella schiera di suoi colleghi che trascorrono intere giornate in locali alla moda, tra cene e feste danzanti, in compagnia di sculettanti ammiratrici.
Beh, lo ammetto, non mi piacciono i giudici letterati, ma Gratteri lo stimo, al contrario di quegli altri che fanno antimafia da salotto.

06/09/08

ECCO PERCHE' AMO MAUPASSANT


Mi sono affezionato a Maupassant quando ho appreso la causa della sua morte. Ebbe una meningo-encefalite luetica, cioè la “paralisi progressiva”, una malattia dovuta alla cosiddetta “spirocheta pallida”, un germe che prediligeva il sistema nervoso centrale, colpiva i neuroni, e li distruggeva.
Ma, prima di distruggerli, li esaltava. Aveva particolare “simpatia” per gli intellettuali, gli artisti, gli scrittori. Scomparve con gli antibiotici.
Evidentemente, l’abuso del cervello favoriva l’ingresso del germe. Un illustre professore universitario arrivò persino a dire che fanno bene quegli studenti che non esagerano con lo studio, raccogliendo gli applausi di coloro che stavano seguendo la lezione.
Maupassant era un innamorato della natura, si incantava in una notte di luna piena, s’invaghiva presto di una bella ragazza, come di tutto ciò che Dio ha creato. Poi, lentamente, ma molto lentamente, si apriva alla verità.
Un giorno, morì una ragazza che tanto amava: una notte fredda e piovosa uscì, al ritorno tossiva, poi venne la febbre, e morì. Di polmonite.
Perché era uscita quella sera? Non lo si seppe mai.
Maupassant lo seppe quando una sera decise di recarsi al cimitero, e passare una notte con lei.
Forse, si addormentò, e sognò che tutti i morti lasciavano le loro tombe e cancellavano le scritte sulle lapidi, considerandole delle bugie.
Su una tomba era scritto: “Amò i suoi, fu onesto e buono, morì nella pace del Signore”.
Il morto cancellò e scrisse: “Affrettò con la sua durezza la morte del padre, dal quale voleva ereditare, torturò la moglie, tormentò i figli, ingannò i suoi vicini, e morì infame”.
I morti avevano cancellato le menzogne incise sulle pietre, per scrivere invece tutta la verità. Tutti erano stati carnefici del prossimo, astiosi, ipocriti, bugiardi, furfanti, calunniatori, invidiosi, avevano ingannato, rubato, commesso le cose più abominevoli.
Così erano quei “buoni padri”, “spose fedeli”, “figli devoti”, “uomini probi”, “caste fanciulle”.
Il giovane innamorato che aveva perduto l’amante, si recò anche sulla tomba di colei dove era scritto “Amò, fu amata, morì”.
Vi lesse “Uscita un giorno per tradire il suo amante, prese freddo sotto la pioggia, e morì”:
All’alba, il povero giovane fu trovato privo di sensi accanto a quella tomba. Così Maupassant scrive, sia quando parla del suo amore, sia quando scopre di averlo perduto.

05/09/08

SE IL PAVONE METTE LE PENNE ALTRUI


Ha cominciato, come era giusto, il presidente regionale di Confindustria, De Rose, al quale Emma Marcegaglia ha trasmesso, e solo a lui, crediamo giustamente, visto il ruolo che ricopre il noto imprenditore cosentino del settore tipografico, le "più vive congratulazioni".
Ma c'è stato chi, come il signor Francesco Femia, presidente degli industriali della provincia reggina (ma proprio di tutti?) non ha perso l'occasione per far sapere che anche a lui sono arrivati i complimenti per l'opera di "pulizia" fatta, mettendo alla porta del palazzotto di via del Torrione inquisiti, condannati, sospettati, senza licenza antimafia, insomma gentaglia non degna (anche se qualcuno di essi il voto a Femia crediamo l'abbia pur dato, per consentire una elezione plebiscitaria, qual è stata quella dell'imprenditore gioiosano) di restare nei ranghi dell'associazione.
Abbiamo ancora nelle orecchie l'editoriale trasmesso da ReggioTv, a firma del suo editore, Lamberti Castronuovo, già vice presidente di Confindustria nell'era Mauro, all'indomani della prima elezione dell'illustre sconosciuto Femia. Lamberti usò espressioni durissime, tanto da far prevedere un certo interesse da parte della Procura antimafia, solo che alcune delle cose dette (ma noi, ovviamente, non ci crediamo) fossero rispondenti al vero.
Ma così vanno le cose nella nostra città, sempre più colonizzata. Presto, usa dirmi ogni volta che lo incontro un caro amico, procederanno d'ufficio contro le persone perbene. Che la madonna della Consolazione ci protegga!.

NON DIMENTICHERO' MAI GLI OCCHI DI ARMANDO

E’ stata la prima vittima del cosiddetto morbo di Gehrig, il giocatore americano di baseball stroncato da quella malattia che ora viene definita con una sigla, la Sla.
Armando Segato, indimenticato allenatore della Reggina del dopo Maestrelli, chiuse gli occhi in una clinica di Firenze, la città che lo aveva osannato quando indossava la maglia viola e faceva parte di quel magnifico gruppo, coi vari Chiappella, Montuori, Virgili, Sarti, che strappò lo scudetto all’invincibile Juve di quegli anni.




Oreste Granillo, avute da Enzo Dolfin (il professore ci ha lasciato qualche mese fa) le necessarie referenze, aveva chiesto notizie anche ad un suo caro amico, Artemio Franchi, col quale divideva esperienze in Lega e negli organismi nazionali del Coni.
E Armando, col suo incedere claudicante, firmò in un albergo di Milano il suo contratto con la Reggina.
La prima volta c’incontrammo nel ritiro pre-campionato di Nevegal, adesso diventato un centro sciistico internazionale, allora solo luogo di villeggiatura per i bellunesi.
Ci colpì la sua signorilità, il garbo col quale trattava i giocatori e tutto il resto dello staff (poche persone, di soldi ne giravano pochi) usando rigorosamente il lei.
Entrammo subito in sintonia, nacque una bella amicizia, trascorrevamo ore seduti ad un bar sul Corso Garibaldi e gli piaceva sentirsi raccontare la storia di Reggio, tra leggenda e realtà, e un giorno mi confidò che gli sarebbe piaciuto fare un’esperienza in Sicilia.
Non ne ebbe il tempo: quando lasciò la Reggina, i primi segni del male si notavano in tutta la loro drammatica evidenza, aveva capito che non avrebbe potuto allenare.
La morte lo raggiunse nella notte del 19 febbraio 1973, il mio primo figlio era nato da poco più di un mese. Armando avrebbe compiuto a maggio 43 anni.
La Gazzetta dello sport lo ha ricordato nella sua edizione di oggi, facendo il tragico elenco dei morti a causa della Sla, solo quelli più noti, ma ce ne sono tanti che sui giornali non verranno mai citati.
Pochi giorni prima della scomparsa, assieme a Granillo, andai a trovarlo nella clinica dove giaceva ormai da mesi immobile, alimentato con le flebo, tutti i muscoli avevano abbandonato come una farfalla quando esce dalla crisalide, il suo corpo.
Entrammo nella stanza, gli occhi che erano semi chiusi, si spalancarono, io sono certo, ed anche Oreste lo fu, che egli ci aveva riconosciuto e, forse, per qualche istante, quegli occhi erano diventati vivi e veri. Uscimmo senza dire una parola: nel corridoio Oreste mi prese per un braccio, poi mi strinse a sé. Non riuscimmo a frenare le lacrime.
“Andiamo, mi disse, o perdiamo il treno per Reggio”: La vita, e il campionato, anche senza Armando, continuavano.

03/09/08

PIANO, MURATORE, CON QUEL PICCONE.......


Non volevo crederci, mi sembrava di aver sbagliato strada. Invece, non era così, la "mia" caserma non c'è più, al suo posto, lungo la via Nazionale, che taglia in due Pellaro, la mia seconda patria, sta sorgendo un moderno palazzo, lo costruisce un amico di gioventù, Pippo Latella, che a forza di sacrifici, ha tirato sù un'azienda tra le più importanti e ha fatto grossi investimenti anche nell'edilizia.
La caserma, costruita dopo il terremoto, è stata la mia casa per sei anni, quando con la famiglia occupavamo l'alloggio di servizio, riservato al comandante, che poi era mio padre. Una porta divideva l'alloggio dall'ufficio del maresciallo che, quando il pranzo era pronto, lo capiva dal leggero tocco di mia madre.
Poi, le camerate per i finanzieri, tutti giovani, più o meno dell'età mia e di mio fratello: con loro dividevamo parecchie ore, giocando a carte o al pallone nell'ampio cortile.
Quanti ricordi, il tempo trascorso seduto sotto l'albero di prugne a preparare gli esami, gli sguardi maliziosi con una ragazza che ora non c'è più, dalla finestra di fronte, le lunghe passeggiate con i soliti amici, le gite parrocchiali, i tornei estivi, le feste a San Giovanni, al Lume, a Bocale, che era l'ultima, alla fine dell'estate, poi ricominciava il tran tran della scuola, in autobus per chi andava a Reggio, in treno fino alla Marittima, e poi il traghetto, per chi andava a Messina.
Primi amori, primi affanni di cuore, prime gioie, primi trafiletti su qualche giornale senza sapere che sarebbe stato il lavoro della mia vita.
I miei genitori mi avrebbero visto volentieri ufficiale delle Fiamme Gialle (l'unica delusione che mi ha dato, diceva mio padre, quando parlava di me) o austero professore di storia. Quando lasciammo Pellaro per trasferirci in città, quasi ogni giorno, appena potevo, tornavo nel "mio" rione cui tuttora mi lega un grande affetto, al punto di avervi costruito, nei primi anni di matrimonio, una accogliente villetta. Ma questo è merito di mia moglie, io non c'ero mai, il lavoro mi portava fuori casa per lunghi periodi, i miei due figli hanno trascorso un'infanzia ed un'adolescenza da ricordare, proprio dove il papà era stato ragazzo felice, negli anni più difficili.
Pellaro, un'oasi di tranquillità, ma in seguito le cose sarebbero cambiate e il ragazzo d'allora, diventato cronista, sarebbe tornato più volte a raccontare storie di violenza e sangue.
Piano, muratore, con quel piccone, cantava Claudio Villa in "casetta de Trastevere", in quell'angolo stava seduta mia madre, a ricamare, proprio sotto la finestra dell'ufficio papà parcheggiava la bicicletta d'ordinanza. Era quello il mezzo che lo Stato metteva a disposizione per le lunghe perlustrazioni, giorno e notte, con qualsiasi tempo.
Quanta vita, quanta storia, tra quelle mura ormai abbattute: Vi prego, muratori, fate piano, mi farete meno male. Faccio una gran fatica a trattenere le lacrime: al mio nipotino, un giorno, racconterò la storia della caserma che non c'è più, dove il nonno ha vissuto anni meravigliosi. Mi raccomando, buttatela giù, ma senza farle troppo male.

02/09/08

DEDICATO A PINO PLUTINO


IN MEMORIA D’UN AMICO PERDUTO TROPPO PRESTO


Sto in piedi ai bordi della spiaggia.
Un veliero passa nella brezza del mattino
E parte verso l’oceano.
E’ là la bellezza, è là la vita.
Lo guardo fino a che scompare all’orizzonte.
Qualcuno di fianco a me dice: “E’ partito”.
Partito verso dove,
partito dalla mia vista.
I suoi alberi sono sempre alti,
il suo scafo ha sempre la forza di portare
il suo carico umano.
La sua scomparsa totale
dalla mia vista è in me,
non in Lui.
E giusto nel momento in cui
qualcuno vicino dice:”è partito”,
ce ne sono altri che
lo vedono apparire all’orizzonte
e puntare verso di loro
esclamando con gioia:”eccolo”.
Questa è la morte.


ARRIVEDERCI AMICO TROPPO TARDI INCONTRATO E TROPPO PRESTO PERDUTO.
MI PIACE PENSARE COSI’, E FORSE ME L’HAI TRASMESSO TU QUESTO SENSO DELLA VITA CHE QUESTA POESIA RIASSUME.

QUEL GHIGNO DEL DIAVOLO SULLE SCALE


Sono i giorni della festa, la madonna della Consolazione, la nostra patrona è lì che aspetta di compiere la sua meravigliosa “passeggiata” tra la sua gente e andarsene per un pò nel Duomo da dove, prima dell’inverno, tornarsene lassù all’Eremo.
Un posto dell’anima per me e tanti della mia generazione che, nella settimana che precede la tradizionale processione, salgono fin quassù a piedi, ripetendo un rito di fede portandosi nel fondo del cuore una qualche “richiesta” da fare alla Vergine. E anche quest’anno non ho voluto mancare a quest’appuntamento che, col passar del tempo e con gli acciacchi della terza età, diventa sempre più faticoso.
Per la verità, a parte i soliti cumuli di immondizia ai lati della strada, per fortuna rimossi, alla graziosa piazzetta dove un tempo c’era la trattoria di don Pasquale Raffa (famoso il suo spezzatino, ma guai a chiedergli altro, c’era il rischio che ti sbattesse fuori) tutto è rimasto come prima, con le auto sui marciapiedi e, di sera, quel buio poco incoraggiante.
In cima alla scalinata, spalle alla basilica, mi fermo per gustarmi lo sguardo sullo Stretto, una meraviglia, le scie delle navi, le macchie di colore che tanto piacevano a Giuseppe Marino, sono lì nei suoi quadri, il patrimonio artistico che ha lasciato ad una città che non sempre seppe comprenderlo.
Ad un tratto un rumore sordo, vedo un’ anziana donna ruzzolare dai gradini. Assieme ad altre due persone la soccorriamo, solo qualche graffio per fortuna e un braccio sbucciato. Ma mi accorgo subito del pericolo: alcuni dei gradoni in pietra sono sollevati, tra l’uno e l’altro s’è aperta una fessura, quasi un ghigno del diavolo in un luogo che odora di santità. Ci informano che da tempo la scalinata è in questo stato e per un attimo pensiamo cosa potrebbe accadere se qualcuno dei portatori, sotto il peso della Vara, facesse la stessa fine della malcapitata signora.
Eppure, basterebbero un paio d’ore di lavoro di un bravo muratore, per sistemare tutto, di notte il pericolo aumenta. Qualcuno provvederà? Non è il caso di chiedere l’intervento della madonna della Consolazione. Ci sarebbero ben altri miracoli da fare per questa disgraziata città, la lista d’attesa è lunga.

01/09/08

UNA CITTA' SENZA RICAMBI NON HA FUTURO

Metti una piacevole oretta seduti attorno a un tavolino del "Sireneuse" assieme a Giusva Branca, la sua graziosa consorte e la splendida piccolina di pochi mesi che già mostra i segni d'una particolare vivacità. E' stata l'occasione per una "carrambata" tra Giusva e mio figlio Walter, già "cadetto" della Viola quando il direttore di Strill, allora giovane e promettente penalista, accompagnava i ragazzi in giro per l'Italia.
Sì, perchè la Viola di quegli anni i giovani del vivaio li faceva esibire nei vari tornei e con un certo successo.
E' stato un incontro assai affettuoso (i due non si vedevano da tempo, Walter fa l'avvocato e vive a Roma) ed è stata l'occasione per una chiacchierata sulla città, sui suoi problemi, sulla decadenza della classe politica e sulla assoluta mancanza di ricambi in ogni settore, dall'avvocatura all'informazione, dall'imprenditoria al sindacato, insomma un mezzo disastro, come lo stesso Giusva Branca di recente ha avuto modo di sottolineare nei suoi sempre incisivi editoriali.
Attorno a noi si avverte come un vuoto pneumatico, non s'intravedono "promesse" in tutti i campi, a cominciare dal giornalismo dove qualche giovane dotato per farsi strada in un ambiente ormai saturo di cosiddetti "figli d'arte" o di figli di personaggi della politica e della massoneria, è dovuto partire.
Ormai si sa, quando un figlio di qualche politico, giornalista più o meno noto, personaggio del mondo imprenditoriale, insomma, qualcuno che conta, non riesce nella vita a combinare nulla di buono, lo facciamo diventare giornalista, non importa se non ha alcuna attitudine, qualche ufficio stampa è sempre disponibile, il politico disposto ad accollarseli c'è e purtroppo anche qualche editore. I risultati sono sotto gli occhi, e le orecchie, di tutti.
Qualcuno potrà osservare che il nostro è il classico moralismo di chi ha fatto la sua carriera e critica chi è arrivato dopo, per partito preso, ma non è così, basta aprire qualche giornale, ascoltare qualche programma nelle tv locali (peccato che RTV del coraggioso editore Lamberti abbia perso parecchio mordente) per mettersi le mani nei capelli. Ci sono poi colleghi ormai "suonati" (quando li vedo e li leggo non me li sento proprio gli anni) che ben farebbero a mettersi da parte invece di propinare agli incauti lettori vetero giornalismo che andava bene ai tempi che Berta filava. Che tristezza!.