12/08/08

IL MALE DI UN SILENZIO CHIAMATO RACKET

Una donna piange accanto ad una saracinesca sventrata dal tritolo. Il fuoco ha annerito la facciata del palazzo, all’interno è tutto cenere e fumo nero, ognuno passa e guarda, poi tira dritto. Nell’animo della gente s’è insinuato un terribile veleno, è quello dell’abitudine a vedere ogni giorno scene del genere: Dietro ogni rappresaglia del racket c’è il dramma d’una famiglia, anni di sudore e sacrifici, le lacrime di chi, in un attimo, perde tutto.
Un reato abietto, l’estorsione, che spesso resta impunito perché chi potrebbe parlare non lo fa, le stesse vittime restano prigioniere del loro silenzio e le forze del male hanno vita facile.
Le condanne, le belle parole, i comunicati dai toni infuocati, i suggerimenti dei moralisti da strapazzo, di coloro che, magari, mentre tuonano contro i criminali che taglieggiano e intimidiscono, poi, sotto sotto, “trattano” perché il loro sonno non venga più interrotto dal fragore d’una bomba.
Tutto fa parte d’un copione scritto da tempo.
L’estorsore vive nell’ombra, delinque per conto terzi, a lui, magari, la cosca cui appartiene riserva solo le briciole di questo “fatturato” criminale.
Per chi viene preso di mira, la vita diventa un inferno, nella coscienza si agitano, come in un dramma di Shakespeare, sentimenti opposti.
Andare incontro ai “nemici”, schierandosi dalla parte della giustizia, col rischio certo di dover chiudere, non solo l’impresa, l’attività commerciale, la fabbrica, cambiare tutto, oppure accettare lo squallido compromesso che fa dire a chi del racket ha fatto la sua ragione di vita: anche stavolta abbiamo vinto.

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