29/08/08

NELLO VINCELLI, UNA VITA PER LA POLITICA

Un sabato mattina di fine agosto giusto nove anni fa, Sebastiano Vincelli, per tutti Nello, uomo di punta della politica reggina per molti anni, concludeva la sua lotta con un male incurabile.
Quel giorno, arrivato come al solito di primo pomeriggio al giornale, vi trovai il direttore che sapevo essere in ferie: ti sta cercando, mi disse il portiere. Entrato nella stanza, quasi nascosto nella semi oscurità, Nino Calarco mi apparve assai rattristato, con Vincelli aveva condiviso, oltre che l’esperienza del giornale nei primi anni di vita, anche quella parlamentare.
“Sarai tu a scrivere il pezzo, il ricordo nostro, avanti, mettiti al lavoro”.
Sinceramente sorpreso per questa grande prova di fiducia, data a me che con il direttore a vita non aveva rapporti facili, scrissi di getto l’articolo che in gran parte ripropongo ai lettori. Eccolo:
Reggio, nei primi anni Cinquanta, è una città che sta superando abbastanza bene i traumi del dopoguerra.
Dal ’52 la “Gazzetta” è nelle edicole, il fondatore, Uberto Bonino, col piglio del pioniere, decide che è il momento di tentare l’avventura in Calabria, secondo l’antica tradizione che vede Messina e la regione dirimpettaia impegnate in una sorta di scambio sinergico, in fatto d’informazione.
A Reggio affida la redazione, due stanzette in via Logoteta, a pochi passi da piazza Italia, al vulcanico Ciccio Liconti, assicuratore col pallino del giornalismo.
Con lui lavorano alcuni giovani di belle speranze: Nello Vincelli, vicino al mondo cattolico, dirigente nazionale dei giovani Dc, Renato Turano, che in seguito sceglierà di fare il bancario, Umberto Paladino, reporter di razza, che, passato alla concorrente “Tribuna del Mezzogiorno,” abbandonerà poi anche lui la professione.
Vincelli resta al giornale per un paio d’anni, ma si capisce che il suo destino è già scritto.
Grazie a uno sponsor che si chiama Amintore Fanfani, questo giovane mite, umile, che piace alla gente semplice, viene eletto, a neppure 27 anni, deputato, con più di quarantamila preferenze.
Reggio porta a Montecitorio, oltre a lui, Peppino Reale, austero professore di lettere, che vivrà anni dopo una breve parentesi da sindaco, e un chirurgo di fama, Antonino Spinelli, anche lui di Catona, il rione dove Nello Vincelli, nato in Sicilia (a Melilli, in provincia di Siracusa) ma reggino d’adozione, è venuto a vivere quando il padre, maresciallo dei carabinieri, vi si è trasferito.
Inizia per Sebastiano Vincelli, che continuerà a farsi chiamare Nello, una lunga carriera politica, ricca di soddisfazioni, ma anche costellata da qualche delusione.
Lui, nei momenti difficili, non s’è mai perso d’animo e ha continuato a vivere la sua vita per la politica, la politica come vita.
Deputato fino al ’76, poi senatore dal ’79 all’83, più volte sottosegretario, sempre presente nei vertici dello scudo crociato, amico dei più prestigiosi leader ma, sino alla fine, vicino a Fanfani, una fedeltà che in politica lo faceva apparire quasi come un marziano.
Nello Vincelli ha legato il suo nome a più di quarant’anni di vita politica in Calabria e a Reggio, la città che ha amato profondamente, il rione dove tornava sempre, nella casa a pochi passi dal mare dove ha atteso la morte con grande serenità, col conforto della Fede, l’assistenza delle due sorelle, del fratello, dei carissimi nipoti, rivolgendo per l’ultima volta lo sguardo al cielo azzurrissimo mentre davanti agli occhi calava inesorabile una nuvola nera.
Per lui la politica era tutto, ma la “Gazzetta” era il suo più grande amore. Le ultime energie le ha spese per l’associazione Anassilaos, che presiedeva, sempre prodigo di consigli, sempre disponibile al sacrificio.
Era, sin dalla costituzione dell’ente morale, consigliere della Fondazione Bonino-Pulejo. Un paio di mesi prima della morte, già provato dal male, parlammo a lungo, al telefono, aveva appena un filo di voce, ma era felice, perché poteva parlare della “sua” Gazzetta e per un attimo dimenticò l’appuntamento che la signora con in mano la falce “che pareggia tutte le erbe del prato”gli aveva fissato.
E parlammo anche di come prepararsi all’altra vita, lui che era cattolico osservante mi chiese cosa sarebbe stato opportuno leggere, oltre alle sacre Scritture, per affrontare il distacco.
Sussurrai due nomi: Manzoni e Bernanos, la conversione dell’Innominato e il “diario d’un curato di campagna”. Ho saputo che, negli ultimi tempi, erano la sua lettura preferita.
Se n’è andato così come era vissuto, in punta di piedi, al giudizio divino si è presentato con l’animo puro, di uomo sensibile e fermo nei suoi principi, politico capace e onesto, che sapeva dire le cose, senza alzare i toni.
Era ancora capace di farsi ascoltare, soprattutto dai giovani, in cui credeva, riuscendo a conservare quella freschezza di pensiero che è propria delle menti nobili.

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