Seguo molto volentieri, quando posso, le trasmissioni di Corrado Augias. L'altro giorno era suo ospite, nel giro che sta facendo un pò dovunque, per promuovere il nuovo giornale da lui diretto, Il Fatto quotidiano, Antonio Padellaro, già direttore de l'Unità, defenestrato quando la gloriosa testata passò nelle mani di Renato Soru che ha preferito affidarsi a Concita De Gregorio.
Rispondendo ad una domanda di uno scettico Augias, su dove prendono i soldi per far navigare nel mare in tempesta della crisi della stampa, questa navicella del Fatto, Padellaro ha detto che il giornale "ce lo paghiamo noi" senza ricorrere al finanziamento statale, come fanno un pò tutti. Il direttore della neonata testata, che si caratterizza come portavoce dell'anti berlusconismo allo stato puro, ha spiegato come i fondatori, tra cui lui stesso, si sono impegnati economicamente, assieme ad alcuni imprenditori, ma che la quota più importante, ed in un certo senso sorprendente, del capitale, arriva dai quasi trentamila abbonati che, senza conoscere il prodotto, hanno portato nelle casse qualcosa come cinque milioni di euro, il che garantisce un futuro piuttosto tranquillo, anche perchè le vendite, dopo il naturale boom iniziale, si starebbero attestando intorno alle centomila copie. Sottratte a chi?. E' ancora presto per stabilirlo, ma noi crediamo che a pagare pegno sarà, in primis, l'Unità, e poi Repubblica, Manifesto, e i fogli di Rifondazione, tra cui il recente gli Altri, diretto dal transfuga Sansonetti, costretto a trasformarsi dopo poco tempo in settimanale.
Antonio Padellaro ha poi sottolineato come alcuni giornalisti, firme importanti di testate nazionali, come Travaglio, Peter Gomez, Marco Lillo e Luca Telese, abbiano abbandonato comode e ben retribuite postazioni per gettarsi nell'avventura del Fatto cui, prima dell'esplosione di abbonamenti, cosa mai vista in campo editoriale, nessuno dava molto credito.
A questo punto a me, che di testate ne ho cambiate, lasciando posizioni importanti, come quando dall'Ansa me ne andai ad Oggisud, e in tanti mi considerarono un pazzo, sono venute in mente le parole che Piero Ottone, all'epoca direttore del Corriere della Sera, mi disse mentre lo accompagnavo a Scilla, durante una pausa del maxi processo alla 'ndrangheta anni 80, che si stava svolgendo a Reggio. Lui era stato citato come teste, a seguito di un editoriale che aveva scritto e riguardante il centro siderurgico di Gioia Tauro, che aveva acceso gli appetiti delle cosche.
"Cambiare, nel nostro mestiere, mi disse, fa bene, ci aiuta a rigenerarsi, è come quando ti fanno una trasfusione". Niente di più vero, almeno per quanto mi riguarda. C'è chi, invece, non si scolla dalle poltrone per godersi il meritato (?) riposo neppure quando l'età lo consiglierebbe. Del resto, tolti dalle loro stanze di potere, non saprebbero cosa fare.
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