05/09/08

NON DIMENTICHERO' MAI GLI OCCHI DI ARMANDO

E’ stata la prima vittima del cosiddetto morbo di Gehrig, il giocatore americano di baseball stroncato da quella malattia che ora viene definita con una sigla, la Sla.
Armando Segato, indimenticato allenatore della Reggina del dopo Maestrelli, chiuse gli occhi in una clinica di Firenze, la città che lo aveva osannato quando indossava la maglia viola e faceva parte di quel magnifico gruppo, coi vari Chiappella, Montuori, Virgili, Sarti, che strappò lo scudetto all’invincibile Juve di quegli anni.




Oreste Granillo, avute da Enzo Dolfin (il professore ci ha lasciato qualche mese fa) le necessarie referenze, aveva chiesto notizie anche ad un suo caro amico, Artemio Franchi, col quale divideva esperienze in Lega e negli organismi nazionali del Coni.
E Armando, col suo incedere claudicante, firmò in un albergo di Milano il suo contratto con la Reggina.
La prima volta c’incontrammo nel ritiro pre-campionato di Nevegal, adesso diventato un centro sciistico internazionale, allora solo luogo di villeggiatura per i bellunesi.
Ci colpì la sua signorilità, il garbo col quale trattava i giocatori e tutto il resto dello staff (poche persone, di soldi ne giravano pochi) usando rigorosamente il lei.
Entrammo subito in sintonia, nacque una bella amicizia, trascorrevamo ore seduti ad un bar sul Corso Garibaldi e gli piaceva sentirsi raccontare la storia di Reggio, tra leggenda e realtà, e un giorno mi confidò che gli sarebbe piaciuto fare un’esperienza in Sicilia.
Non ne ebbe il tempo: quando lasciò la Reggina, i primi segni del male si notavano in tutta la loro drammatica evidenza, aveva capito che non avrebbe potuto allenare.
La morte lo raggiunse nella notte del 19 febbraio 1973, il mio primo figlio era nato da poco più di un mese. Armando avrebbe compiuto a maggio 43 anni.
La Gazzetta dello sport lo ha ricordato nella sua edizione di oggi, facendo il tragico elenco dei morti a causa della Sla, solo quelli più noti, ma ce ne sono tanti che sui giornali non verranno mai citati.
Pochi giorni prima della scomparsa, assieme a Granillo, andai a trovarlo nella clinica dove giaceva ormai da mesi immobile, alimentato con le flebo, tutti i muscoli avevano abbandonato come una farfalla quando esce dalla crisalide, il suo corpo.
Entrammo nella stanza, gli occhi che erano semi chiusi, si spalancarono, io sono certo, ed anche Oreste lo fu, che egli ci aveva riconosciuto e, forse, per qualche istante, quegli occhi erano diventati vivi e veri. Uscimmo senza dire una parola: nel corridoio Oreste mi prese per un braccio, poi mi strinse a sé. Non riuscimmo a frenare le lacrime.
“Andiamo, mi disse, o perdiamo il treno per Reggio”: La vita, e il campionato, anche senza Armando, continuavano.

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