24/09/08

C'E' ANCORA CHI FA DI MESTIERE IL TERREMOTATO

Quando la terra trema in Calabria, e questo capita spesso, anche se ad accorgersene sono solo gli strumenti degli osservatori geofisici, tornano antiche paure. Riecheggiano nella memoria i ricordi dei disastrosi sommovimenti geologici che hanno lasciato, a distanza di anni, ferite aperte. Così come ferite sono quelle case sbrecciate, sui muri le crepe disegnano angosciose ragnatele, le tracce del terrore.
I sub che s’immergono lungo la costa reggina, a pochi metri dalla spiaggia, prima che il fondale scivoli verso il buio delle grandi profondità, possono vedere ciò che resta degli edifici che, all’alba del 28 dicembre 1908, furono inghiottiti dall’apocalittica onda di maremoto: cielo e mare, nel buio infernale, sembrarono come unirsi in un tragico abbraccio, e per migliaia di persone, fu la morte.
Sono passati cento anni e c’è ancora chi vive in quelle baracche che la solidarietà nazionale e mondiale fece sorgere per dare un tetto a chi, in pochi secondi, aveva visto svanire il presente, il passato, e anche il futuro.
I calabresi hanno paura dei terremoti: eppure, di disgrazie nel corso dei millenni ne hanno viste parecchie, passando dalle invasioni dei “coloni” greci, alle incursioni saracene, per finire alle guerre, le stragi mafiose, le alluvioni, la siccità, lo scirocco.
Fatalisti e disincantati, non piangono sulle macerie perché già sanno che il loro destino è quello d’essere dimenticati in fretta, così come è accaduto nel Belice, nell’Irpinia, a Napoli, a Reggio e Messina.
Le disgrazie, nella cosiddetta “terra ballerina”, non arrivano mai sole. I tempi della ricostruzione sono biblici, le calamità un’occasione per arricchire gli speculatori e “ungere” le ruote del sistema politico-clientelare che l’esplosione delle varie Tangentopoli ha solo in parte intaccato.
La Calabria che “fa notizia” è quella dei morti ammazzati per mano mafiosa, degli omicidi eccellenti, dei politici corrotti, delle cattedrali nel deserto, della dilagante disoccupazione, delle promesse di un Governo sempre più lontano, Roma è la Costantinopoli dei disperati che bloccano le strade, s’incatenano un po’ dovunque, minacciano di gettarsi dai ponti, assediano gli uffici di “chi di competenza”.
Il terremoto, perciò, viene accettato quasi con rassegnazione: per qualche giorno la televisione di Stato e i media nazionali si occupano di quel Sud del Sud, “sfasciume pendulo” di cui vale poco interessarsi.
Le case pericolanti vengono puntellate, e così resteranno, gli sfollati verranno ospitati in squallidi alberghetti e andranno ad ingrossare l’esercito degli assistiti a vita.
Professione: terremotato. Di tanto in tanto, la natura, come un gigante addormentato, sembra volersi svegliare e tenta di scrollarsi di dosso quest’ammasso di valli e monti, di fiumi impetuosi e boschi impenetrabili, il miracolo di cui il Signore si ricordò quando già quasi aveva completata l’opera della Creazione.
E venne, come dice Leonida Repaci, il giorno della Calabria.

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