Nella notte tra il 10 e l’11 settembre di vent’anni fa, nell’ospedale di Locri, dove era stato ricoverato in condizioni disperate, dopo essere stato colto da malore nella sua casa di Siderno, moriva Luigi Malafarina: non aveva ancora 50 anni, ed era uno dei più noti cronisti italiani.
Pur essendo di qualche anno più anziano di me, si può dire che le nostre carriere erano state parallele e, dal 1985, il destino aveva voluto che io lo raggiungessi alla “Gazzetta”, così come il destino ha voluto che i vertici del quotidiano messinese decidessero che sarei stato io, che in quel momento lavoravo alla redazione province calabresi a Messina, a prenderne il posto.
Pur essendo di qualche anno più anziano di me, si può dire che le nostre carriere erano state parallele e, dal 1985, il destino aveva voluto che io lo raggiungessi alla “Gazzetta”, così come il destino ha voluto che i vertici del quotidiano messinese decidessero che sarei stato io, che in quel momento lavoravo alla redazione province calabresi a Messina, a prenderne il posto.
Ero in ferie, quel giorno, e me ne tornai a casa piuttosto scosso: in chiesa, nel suo paese natio, erano venuti in tanti, era arrivato anche Vico Ligato. Ci ritrovammo sul sagrato, quel gruppo di giovani giornalisti che con Gigi avevano vissuto gli anni ruggenti del mestieraccio, inseguendo fino a notte fonda le notizie, Tribuna e Gazzetta, in feroce ma civile concorrenza, una palestra di professione e di vita irripetibile.
Neppure un anno dopo, Ligato lo avrei rivisto steso davanti alla porta della sua villetta a Bocale, straziato dai proiettili di due killer della ‘ndrangheta.
Luigi Malafarina, arrivò a Reggio dopo una breve permanenza alla redazione centrale di Messina (il giornale aveva una tradizione: premiare i corrispondenti provinciali più capaci, a Bonino, il fondatore, non piacevano i raccomandati, i capelloni e i fumatori. Gigi era calvo da giovane, ma fumava una sigaretta dietro l’altra, alternandola a pasticche di liquirizia.
La sera stessa mi chiamò, aveva ancora la valigia da disfare, ma ci abbracciammo a metà strada, noi eravamo in via Giudecca, loro in via Osanna.
Luigi Malafarina, arrivò a Reggio dopo una breve permanenza alla redazione centrale di Messina (il giornale aveva una tradizione: premiare i corrispondenti provinciali più capaci, a Bonino, il fondatore, non piacevano i raccomandati, i capelloni e i fumatori. Gigi era calvo da giovane, ma fumava una sigaretta dietro l’altra, alternandola a pasticche di liquirizia.
La sera stessa mi chiamò, aveva ancora la valigia da disfare, ma ci abbracciammo a metà strada, noi eravamo in via Giudecca, loro in via Osanna.
La nostra fu un’amicizia interrotta solo, di tanto in tanto, da qualche periodo di burrasca, quando (e ancora me ne pento) gli davo qualche “buco”, che in gergo giornalistico significa avere sul tuo giornale una notizia buona e la concorrenza neppure un rigo.
Dopo un mio scoop che fa parte della storia del giornalismo, ormai, (intervista su Oggi e sul Giornale di Calabria al boss Saro Mammoliti, ricercato da tutte le polizia) per parecchio tempo mi tenne il broncio, quando m’incontrava ogni giorno in Questura o in Tribunale, quasi ringhiando accennava a un saluto, ma molto freddo.
Dopo un mio scoop che fa parte della storia del giornalismo, ormai, (intervista su Oggi e sul Giornale di Calabria al boss Saro Mammoliti, ricercato da tutte le polizia) per parecchio tempo mi tenne il broncio, quando m’incontrava ogni giorno in Questura o in Tribunale, quasi ringhiando accennava a un saluto, ma molto freddo.
Un giorno, eravamo a Milano ospiti entrambi dell’ingegnere Giovanni Calì, il magnate dei Premi Villa, uomo straordinario, fu lui a prendere l’iniziativa:”è troppo tempo che siamo nemici” e mi abbracciò. Entrambi avevamo i lucciconi, da allora, il rapporto si consolidò e d’estate, anche quell’ultima estate, nel breve intervallo tra il “giro” di nera e la pausa pranzo, veniva nella mia casetta al mare dove mia moglie era ben felice di preparargli qualche manicaretto che, l’ho scoperto dopo, era lui stesso ad “ordinare” telefonandole a mia insaputa.
La fatale sera del 10 settembre 1988 Gigi, prima di lasciare la redazione, che nel frattempo s’era trasferita in via De Nava, per andarsene a trascorrere a Siderno la giornata di “corta”, chiamò a casa mia per chiedere a mia moglie il risultato degli esami che suo figlio, Antonio, da esterno, aveva fatto al liceo di Bagnara. “Tutto bene, Gigi, le rispose la mia consorte, che lo sentì veramente felice. “Giovedì torno, andiamo a festeggiare”.
La mattina successiva, fui svegliato da Lello Spinelli, storico fotoreporter del giornale: Gigi sta male, vado a Locri, vieni con me? Una corsa inutile, quando arrivammo, usciva un famoso neurologo chiamato per un consulto, scuoteva il capo. Gigi era clinicamente morto, nel pomeriggio vedemmo il corpo, prima che lo infilassero nella cella frigorifera.
Per anni è stato il punto di riferimento degli inviati che venivano a “raccontare” la Calabria, al giornale dava tutto se stesso, senza orari, senza risparmiarsi, pagando il prezzo più alto. Ci restano i suoi articoli i libri sulla ‘ndrangheta, il ricordo struggente del rivale-amico che ogni giorno che passa s’accorge di quanto questa professione sia degradata. Di Gigi Malafarina non ne nasceranno più.
P.S.
Spero anche che non nascano più questi cosiddetti giornalisti antimafia, gli studiosi che, grazie alla mafia, si sono fatti i soldi, io li conosco uno per uno, conosco le loro storie ed anche le loro malefatte, li disprezzo profondamente. Si permettono di mettere in discussione il lavoro di Gigi, di altri valorosi colleghi, e se permettete anche quello di chi scrive, potendo vantare un curriculum di tutto rispetto e una carriera costellata di sacrifici, di paure, di minacce anche dall'interno dello stesso giornale, di vicinanze scomode. Prima di pontificare (pensate a lavorare, piuttosto) meglio andare a rileggere le migliaia di pagine, voi che non avete mai rischiato nulla.
Adesso mi fermo, il senso di nausea è insopportabile.
P.S.
Spero anche che non nascano più questi cosiddetti giornalisti antimafia, gli studiosi che, grazie alla mafia, si sono fatti i soldi, io li conosco uno per uno, conosco le loro storie ed anche le loro malefatte, li disprezzo profondamente. Si permettono di mettere in discussione il lavoro di Gigi, di altri valorosi colleghi, e se permettete anche quello di chi scrive, potendo vantare un curriculum di tutto rispetto e una carriera costellata di sacrifici, di paure, di minacce anche dall'interno dello stesso giornale, di vicinanze scomode. Prima di pontificare (pensate a lavorare, piuttosto) meglio andare a rileggere le migliaia di pagine, voi che non avete mai rischiato nulla.
Adesso mi fermo, il senso di nausea è insopportabile.
1 commento:
Ciao Franco,
questi pezzi sono bellissimi,
si percepiscono il morso del presente e lo spessore del passato, che coesistono come nel vero giornalismo (quello che nessuno sa scrivere più).
Ora che ti ho scoperto ti leggerò sempre.
Andrea Zoccali
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