Mezzogiorno in Aspromonte. La neve si scioglie lentamente sotto il sole. Il latitante arrivò puntuale, con il giaccone di pelle sbottonato, le mani in tasca. Una stretta di mano, il saluto all’avvocato che ci accompagnava, e via lungo sentieri scoscesi, al riparo da sguardi indiscreti, per raccogliere la confessione di un uomo che da cinque anni era in fuga e che, pochi giorni dopo l’intervista, decise di pagare il suo debito con la giustizia, ma un male incurabile è stato più veloce dei giudici, la morte, che tutto ripara, ha chiuso il capitolo.
Francesco Fallanca a 40 anni ne dimostrava almeno dieci in più, il carcere, la latitanza, la vita fatta di disagi, i primi segni della malattia.
“Tornerò in carcere, prima o poi, ma per scontare una condanna ingiusta, perché io non ho ucciso quell’uomo. Lo so, anche voi non mi credete, ma l’importante è che lo sappia Iddio”.
Accompagnò la frase levandosi il berretto e alzando gli occhi al cielo. Tutto intorno è un grande silenzio, interrotto dall’abbaiare di cani, laggiù, in fondo alla valle.
Fallanca, il suo cane dove l’ha lasciato? Si dice che ne abbia uno addestrato a fiutare lontano un miglio l’arrivo dei carabinieri. E’ vera questa storia?
“Sì, è vera, ma adesso il mio Jack è morto, è stato un gran dolore per me, era un compagno fedele e una sentinella vigile, quante volte m’ha salvato in questi lunghi anni, braccato notte e giorno. Perché, è bene che lo si sappia, io dalla mia famiglia non mi sono mai allontanato molto, sono rimasto dalle mie parti per lavorare, anche ieri ho potato la vigna”.
E mostra il palmo delle mani callose, con le dita ingiallite dal fumo. Accende una sigaretta dietro l’altra, mentre si guarda attorno con circospezione.
Perché non è rientrato in carcere, dopo aver ottenuto il permesso per buona condotta? Ha pensato che la condizione di latitante le avrebbe creato prestigio in seno alla ‘ndrangheta? O nutriva propositi di vendetta?
“Niente di tutto questo, adesso le racconto la storia. Arrivai a casa, dal carcere di Parma, il 13 dicembre dell’86, con un permesso di quindici giorni. Trovai mia moglie e i cinque ragazzi in condizioni disastrose, non sapevano come andare avanti. Insomma, facevano quasi la fame. Non me la sentii di ripartire, di abbandonarli, e tornai a fare una vita disgraziata, sempre col cuore in gola. Ma non avevo altra scelta, ho sempre lavorato e anche in carcere continuerò a farlo. Le mie ore, tra quelle mura, le ho trascorse tra la lettura e il lavoro che mi davano: ho letto tanti romanzi, libri di storia, sono rimasto affascinato da “Un uomo”, di Oriana Fallaci, mi è piaciuto “Papillon”.
Sono entrato in carcere assai giovane, non avevo cultura, ho scoperto che anche lì è possibile crescere dal punto di vista morale. In questo periodo di vita errabonda, cercando sempre un posto dove nascondermi, mi sono avvicinato ancor più alla religione, ho letto e continuo a leggere la Bibbia, per me la Fede è un aiuto importante.”
Fallanca. Cosa pensa delle guerre di mafia, del traffico di droga che ormai coinvolge le cosche al punto da provocare spaventosi conflitti?
“La droga: io prego la Madonna della montagna che ci liberi da questo veleno che sta invadendo il mondo intero e faccia uscire di senno coloro che stanno spargendo tanto sangue. Io sono stato sempre solo con la mia famiglia. I rischi ci sono, sia durante la latitanza, che nella vita normale”.
“Ciccio” Fallanca ci saluta, riprende la sua strada tra i boschi.
Francesco Fallanca a 40 anni ne dimostrava almeno dieci in più, il carcere, la latitanza, la vita fatta di disagi, i primi segni della malattia.
“Tornerò in carcere, prima o poi, ma per scontare una condanna ingiusta, perché io non ho ucciso quell’uomo. Lo so, anche voi non mi credete, ma l’importante è che lo sappia Iddio”.
Accompagnò la frase levandosi il berretto e alzando gli occhi al cielo. Tutto intorno è un grande silenzio, interrotto dall’abbaiare di cani, laggiù, in fondo alla valle.
Fallanca, il suo cane dove l’ha lasciato? Si dice che ne abbia uno addestrato a fiutare lontano un miglio l’arrivo dei carabinieri. E’ vera questa storia?
“Sì, è vera, ma adesso il mio Jack è morto, è stato un gran dolore per me, era un compagno fedele e una sentinella vigile, quante volte m’ha salvato in questi lunghi anni, braccato notte e giorno. Perché, è bene che lo si sappia, io dalla mia famiglia non mi sono mai allontanato molto, sono rimasto dalle mie parti per lavorare, anche ieri ho potato la vigna”.
E mostra il palmo delle mani callose, con le dita ingiallite dal fumo. Accende una sigaretta dietro l’altra, mentre si guarda attorno con circospezione.
Perché non è rientrato in carcere, dopo aver ottenuto il permesso per buona condotta? Ha pensato che la condizione di latitante le avrebbe creato prestigio in seno alla ‘ndrangheta? O nutriva propositi di vendetta?
“Niente di tutto questo, adesso le racconto la storia. Arrivai a casa, dal carcere di Parma, il 13 dicembre dell’86, con un permesso di quindici giorni. Trovai mia moglie e i cinque ragazzi in condizioni disastrose, non sapevano come andare avanti. Insomma, facevano quasi la fame. Non me la sentii di ripartire, di abbandonarli, e tornai a fare una vita disgraziata, sempre col cuore in gola. Ma non avevo altra scelta, ho sempre lavorato e anche in carcere continuerò a farlo. Le mie ore, tra quelle mura, le ho trascorse tra la lettura e il lavoro che mi davano: ho letto tanti romanzi, libri di storia, sono rimasto affascinato da “Un uomo”, di Oriana Fallaci, mi è piaciuto “Papillon”.
Sono entrato in carcere assai giovane, non avevo cultura, ho scoperto che anche lì è possibile crescere dal punto di vista morale. In questo periodo di vita errabonda, cercando sempre un posto dove nascondermi, mi sono avvicinato ancor più alla religione, ho letto e continuo a leggere la Bibbia, per me la Fede è un aiuto importante.”
Fallanca. Cosa pensa delle guerre di mafia, del traffico di droga che ormai coinvolge le cosche al punto da provocare spaventosi conflitti?
“La droga: io prego la Madonna della montagna che ci liberi da questo veleno che sta invadendo il mondo intero e faccia uscire di senno coloro che stanno spargendo tanto sangue. Io sono stato sempre solo con la mia famiglia. I rischi ci sono, sia durante la latitanza, che nella vita normale”.
“Ciccio” Fallanca ci saluta, riprende la sua strada tra i boschi.
QUESTO PEZZO E' TRATTO DA UN CAPITOLO DEL VOLUME IN PREPARAZIONE CHE DOVREBBE VEDERE LA LUCE NEI PROSSIMI MESI. UN....ASSAGGIO PER GLI AFFEZIONATI LETTORI DEL MIO BLOG OGNI GIORNO SEMPRE PIU' NUMEROSI. GRAZIE A TUTTI.