14/10/08

LA MERAVIGLIOSA AVVENTURA DEL GIORNALE DI CALABRIA

Questo articolo è stato pubblicato da L'Avanti, ex glorioso giornale socialista che il suo nuovo editore ha portato, da qualche anno, su posizioni politiche vicine al centrodestra, affidandone la direzione a un giovane professionista, Fabio Ranucci. Io vi collaboro non senza qualche emozione, al solo pensare agli uomini che vi hanno scritto o che lo hanno diretto, a cominciare da Sandro Pertini, ineguagliabile presidente della repubblica.

Aprile 1972, una primavera densa di speranze per la Calabria ancora scossa dai tragici eventi di Reggio, dove la cosiddetta “rivolta per il capoluogo” aveva portato lutti e divisioni, grosse difficoltà all’interno dei partiti, il governo della Regione a Catanzaro, il consiglio a Reggio Calabria, nel nome di un compromesso che aveva finito con il lasciare tutti scontenti.
In quei giorni, a due anni dalla chiusura della “Tribuna del Mezzogiorno”, nasceva un altro quotidiano che, stavolta, non partiva dalla Sicilia, ma aveva la sua “testa” nella Calabria, da sempre suddita, in tema d’informazione, di quella Sicilia divisa da un solco di mare sul quale avrebbe dovuto svettare l’agognato Ponte sullo Stretto.
Il Giornale di Calabria, stampato inizialmente a Roma, apparve nelle edicole il primo giorno d’aprile, fatto da calabresi per i calabresi, come recitava lo slogan sui manifesti che, a Reggio Calabria, vennero quasi tutti strappati.
E un motivo c’era: tutti sapevano che dietro questo ambizioso progetto editoriale, finanziato dalla Sir di Rovelli, con interessi nella Piana lametina, c’era Giacomo Mancini che da ministro della Sanità prima e dei Lavori Pubblici poi, tanto aveva fatto per la sua terra, ma i protagonisti dei fatti di Reggio Calabria gli avevano scatenato contro una vera e propria campagna d’odio, nella quale si distinse, in particolare, il settimanale fascista “Candido” diretto da Giorgio Pisanò, ex repubblichino, e personaggio a dir poco discutibile.
Quando il nuovo quotidiano, con una veste grafica moderna, vide la luce, il fantoccio raffigurante Mancini, assieme a quello di Misasi, pendeva ancora da qualche parte nella infuocata periferia reggina, teatro di scontri violenti con le forze dell’ordine costrette ad usare tutti i mezzi, blindati compresi, per spegnere il fuoco della rivolta.
Non fu un inizio facile, quindi, per il manipolo di giovani giornalisti, o aspiranti tali, che il capo redattore della Rai, Enzo Arcuri, reclutò, non tenendo conto, e questo va a suo merito, dell’appartenenza politica, ma cercando sul territorio qualche promessa. Bisogna dire che i fatti, tranne qualche ovvia eccezione, gli diedero ragione.
Chi scrive, era reduce dalla chiusura della “Tribuna”, che ormai aveva insidiato la leadership di Gazzetta del Sud, al punto da indurre l’editore Bonino a cedere un bel pacchetto d’azioni al cementiere Pesenti, che puntava alle forniture per il Ponte. Lavoravo in un settimanale edito dall’armatore Amedeo Matacena, assieme ad altri colleghi che non avevano scelto la strada dell’emigrazione, non avevo certo le migliori credenziali (Matacena veniva indicato, e per questo era anche finito in carcere, quale uno dei finanziatori della rivolta) per entrare nella redazione del foglio qualificato come “manciniano” e osteggiato anche da una parte dello stesso Psi.
Da Roma, perché in Calabria i professionisti non c’erano, arrivarono colleghi di provato valore come Lorenzo Salvini e Paolo Guzzanti, altri meno validi che poi si persero per strada, praticanti come me e altri calabresi, erano anche Pietro Mancini, Agostino Saccà e Mimmo Liguoro, le redazioni distaccate erano oltre che a Cosenza città, anche a Catanzaro e Reggio Calabria.
Fu dopo l’apertura dello stabilimento tipografico di Pian del Lago, a pochi chilometri da Cosenza, lungo quell’autostrada Salerno-Reggio Calabria fortemente voluta da
Mancini, che il primo gruppo di giovani giornalisti riuscì, non senza difficoltà, (la Calabria dipendeva dall’Ordine di Napoli) ad affrontare gli esami di Stato.
La cavalcata durò otto anni e mezzo, di quella redazione tanti sono ancora in attività, c’è chi ha fatto carriera, come Antonio Di Rosa, Francesco Faranda, Domenico Logozzo, Daniela Romiti, chi si è ritagliato spazi professionali importanti come Pantaleone Sergi, Luigi Piccitto, Raffaele Malito, Tonino Raffa, Pietro Melia, Antonio Scura, Santi Trimboli.
Ci hanno lasciato colleghi come Enzo Costabile, Michelangelo Napoletano, Giovanni Indrieri, Renato Mantelli, e lo stesso direttore, Piero Ardenti, cui tutti noi reduci da quell’indimenticabile esperienza dobbiamo qualcosa.
Di Mancini…..editore si può dire che il suo fu un amore importante per questa creatura che era “u giurnale” come usava chiamarlo in dialetto cosentino, e che mai esercitò pressioni, non impose a forza assunzioni e ruoli, non fu abbastanza deciso, a nostro avviso, quando bisognava usare il pugno duro. Forse, il Giornale di Calabria, non avrebbe alzato bandiera bianca, qualcuno disse perché lo stesso Mancini aveva preferito uccidere il neonato nella culla, pur di non farlo finire in mani “nemiche”.
Dovranno passare ben quindici anni, prima che la Calabria veda presenti nelle edicole un quotidiano tutto calabrese (ora ve ne sono ben quattro) ma il ricordo del “giornale di Mancini”, diventato una palestra per tanti giovani professionisti, resta vivo nella memoria dei cittadini che, per anni hanno seguito le battaglie politiche e civili, contro la criminalità, i poteri occulti, la classe politica inetta, portate avanti ogni giorno su quelle pagine stampate, per la prima volta un giorno di luglio, mentre una insolita nebbia avvolgeva Piano Lago. Qualcuno disse che lì intorno si aggirava l’ombra di Alarico, il re visigoto seppellito col suo tesoro nel greto del Busento, e mai ritrovato. Forse, che Ardenti ne sfruttasse il nome come pseudonimo per i suoi graffianti corsivi, lo aveva irritato.

1 commento:

Ripetizioni-Tesi ha detto...

Sono Maria Giovanna Napoletano, figlia del giornalista Michelangelo Napoletano. Sono molto felice di aver letto il ricordo di quella "avventura" del Giornale di Calabria di cui ho sentito parlare tante volte... il ricordo fa vivere oltre ogni tempo e fa sì che la storia non resti solo una vecchia pagina scritta. Grazie.