L'articolo che state per leggere fa parte d'una inchiesta, che ho allegato di seguito, pubblicata nel numero di Novembre del mensile cattolico Messaggero di Sant'Antonio, che stampa un milione di copie. Le foto sono del grande fotoreporter Rosario Cananzi, col quale ho diviso per anni straordinarie esperienze di lavoro e col quale ancora di tanto in tanto mi rituffo nel mestieraccio che mi ha accompagnato per più di quarant'anni. Invito tutti a leggere su Strill, il quotidiano on line diretto da Giusva Branca, e col quale collaboro, la riproduzione totale dell'inchiesta e a cercare in edicola e nelle chiese il Messaggero.
Via delle stelle è una stradina del quartiere San Sperato, periferia sud di Reggio Calabria, che nessuno conosceva, fino ad un anno fa, quando venne inaugurato l’Hospice, un edificio a quattro piani, con ampie terrazze, una scala a vista, e le stanze luminose. Attorno, tra qualche palazzo signorile, tante case cominciate e non finite, tirate su un po’ alla volta, quassù la ricchezza non è visibile.
E quassù, pian piano, è arrivata tanta gente che aveva perso ogni speranza e che, nell’Hospice, ha trascorso gli ultimi giorni di vita, consumati da quei mali che nel crudo linguaggio dei cronisti vengono definiti con una sola, agghiacciante, parola:.incurabili.
La gratitudine di tante famiglie, in questi dodici mesi d’attività, i numeri importanti per presenze e operatività, testimoniano quanto sia diventato essenziale questo che non è soltanto un luogo di dolore, chi ci lavora non accompagna gli ammalati verso una fine già decisa, il compimento d’un destino inesorabile.
Ogni anno, recitano nel loro spietato linguaggio le statistiche, sono 250 mila le persone che, nel nostro Paese, imboccano la strada, quasi mai senza uscita (se avviene il contrario è solo perché c’è stato un miracolo) della fase terminale di un tumore.
Gli hospice in altre parti d’Italia esistono da tempo, qui in Calabria ciò che è stato realizzato nella città dello Stretto ha veramente dell’eccezionale.
Il dramma di chi diventa malato terminale, si riflette principalmente sulle famiglie, quasi il 50 per cento dei familiari è costretto a cambiare radicalmente vita, a modificare gli impegni professionali o di lavoro, se non ad interromperlo. Tutto ciò per stare vicino a chi si ama, nei momenti conclusivi d’una esistenza spesso segnata da sofferenze indicibili.
Non c’è stata una vera e propria festa, per il primo compleanno dell’Hospice reggino, anche perché gli ultimi mesi sono stati drammatici, la chiusura è sembrata ad un certo punto inevitabile, vista l’insensibilità di chi avrebbe dovuto provvedere al necessario sostegno economico.
Ma la città ha avuto uno scatto d’orgoglio, tutti si sono mossi, con raccolta spontanea di offerte, interventi politici, la Chiesa non è stata a guardare, ma lo ha fatto con grande discrezione, senza entrare nel merito del conflitto tra istituzioni, tenendosi lontana dalle polemiche e collegandosi, sempre senza fare troppo rumore, con quelle associazioni cristiane, con quei gruppi della società civile che hanno sposato la causa di questa struttura.
E l’Hospice è lì, i servizi vengono ancora garantiti, pur se le difficoltà non sono cessate.
Le cure cosiddette palliative sono adesso riconosciute come livello essenziale di assistenza.
Le persone che vi lavorano, nella quasi totalità volontari, hanno accolto quasi un centinaio di persone “licenziate” dagli ospedali, che hanno così anche risparmiato mezzo milione di euro.
Un’attività incessante, come spiegano le dottoresse Paola Serranò e Ines Barbera, concentrate in assistenza domiciliare, ricoveri diurni, che sono di grande sollievo al malato oncologico, ambulatorio.
Se questa straordinaria struttura, in una città con tanti problemi e con una sanità che fa giornalmente i conti con un “buco nero” di debiti milionari, è andata avanti, lo si deve alla caparbietà con cui i rappresentanti della cooperativa “La via delle stelle”, Agostino Laruffa e Luciano Squillaci, hanno affrontato ogni sorta d’ostacoli, grazie anche all’indispensabile apporto di un ostinato gruppo di volontariato.
Nicola Saggese, il loro responsabile, definisce queste persone che ogni giorno spendono il loro tempo nell’Hospice, coloro che “si sporcano le mani con il dolore”.
“Chi soffre, ha dichiarato a Domenico Grillone, che lo ha intervistato per un quotidiano locale, è sempre preda di timori, si sente incapace e con la tentazione di lasciarsi andare”.
Tanti piccoli eroi, insomma, che giornalmente sono i compagni di viaggio di chi sta per andare via, per sempre.
In questo luogo di sofferenza, che si erge in un quartiere desolato, dove il degrado si tocca con mano e l’incuria degli amministratori e degli abitanti hanno trasformato in una babele urbanistica, si riscopre la dimensione dell’uomo. Non a caso, il nuovo direttore sanitario dell’azienda ospedaliera reggina, venuto dal Nord, Enzo Rupeni, ha definito l’Hospice di via delle stelle uno dei migliori tra quelli da lui conosciuti e, addirittura, migliore di uno da lui stesso progettato.
Dopo un anno di sofferenze, di promesse non mantenute, di battaglie contro la burocrazia, finalmente s’intravede uno spiraglio confortante: il ministero della salute ha stanziato i fondi per la formazione del personale dell’Hospice . C’è stato chi si è prodigato per ottenere questo risultato, ma è voluto rimanere nell’ombra, come è giusto, la solidarietà non ha bisogno di spot pubblicitari. E ogni giorno c’è chi continua a imboccare la via delle stelle.
E quassù, pian piano, è arrivata tanta gente che aveva perso ogni speranza e che, nell’Hospice, ha trascorso gli ultimi giorni di vita, consumati da quei mali che nel crudo linguaggio dei cronisti vengono definiti con una sola, agghiacciante, parola:.incurabili.
La gratitudine di tante famiglie, in questi dodici mesi d’attività, i numeri importanti per presenze e operatività, testimoniano quanto sia diventato essenziale questo che non è soltanto un luogo di dolore, chi ci lavora non accompagna gli ammalati verso una fine già decisa, il compimento d’un destino inesorabile.
Ogni anno, recitano nel loro spietato linguaggio le statistiche, sono 250 mila le persone che, nel nostro Paese, imboccano la strada, quasi mai senza uscita (se avviene il contrario è solo perché c’è stato un miracolo) della fase terminale di un tumore.
Gli hospice in altre parti d’Italia esistono da tempo, qui in Calabria ciò che è stato realizzato nella città dello Stretto ha veramente dell’eccezionale.
Il dramma di chi diventa malato terminale, si riflette principalmente sulle famiglie, quasi il 50 per cento dei familiari è costretto a cambiare radicalmente vita, a modificare gli impegni professionali o di lavoro, se non ad interromperlo. Tutto ciò per stare vicino a chi si ama, nei momenti conclusivi d’una esistenza spesso segnata da sofferenze indicibili.
Non c’è stata una vera e propria festa, per il primo compleanno dell’Hospice reggino, anche perché gli ultimi mesi sono stati drammatici, la chiusura è sembrata ad un certo punto inevitabile, vista l’insensibilità di chi avrebbe dovuto provvedere al necessario sostegno economico.
Ma la città ha avuto uno scatto d’orgoglio, tutti si sono mossi, con raccolta spontanea di offerte, interventi politici, la Chiesa non è stata a guardare, ma lo ha fatto con grande discrezione, senza entrare nel merito del conflitto tra istituzioni, tenendosi lontana dalle polemiche e collegandosi, sempre senza fare troppo rumore, con quelle associazioni cristiane, con quei gruppi della società civile che hanno sposato la causa di questa struttura.
E l’Hospice è lì, i servizi vengono ancora garantiti, pur se le difficoltà non sono cessate.
Le cure cosiddette palliative sono adesso riconosciute come livello essenziale di assistenza.
Le persone che vi lavorano, nella quasi totalità volontari, hanno accolto quasi un centinaio di persone “licenziate” dagli ospedali, che hanno così anche risparmiato mezzo milione di euro.
Un’attività incessante, come spiegano le dottoresse Paola Serranò e Ines Barbera, concentrate in assistenza domiciliare, ricoveri diurni, che sono di grande sollievo al malato oncologico, ambulatorio.
Se questa straordinaria struttura, in una città con tanti problemi e con una sanità che fa giornalmente i conti con un “buco nero” di debiti milionari, è andata avanti, lo si deve alla caparbietà con cui i rappresentanti della cooperativa “La via delle stelle”, Agostino Laruffa e Luciano Squillaci, hanno affrontato ogni sorta d’ostacoli, grazie anche all’indispensabile apporto di un ostinato gruppo di volontariato.
Nicola Saggese, il loro responsabile, definisce queste persone che ogni giorno spendono il loro tempo nell’Hospice, coloro che “si sporcano le mani con il dolore”.
“Chi soffre, ha dichiarato a Domenico Grillone, che lo ha intervistato per un quotidiano locale, è sempre preda di timori, si sente incapace e con la tentazione di lasciarsi andare”.
Tanti piccoli eroi, insomma, che giornalmente sono i compagni di viaggio di chi sta per andare via, per sempre.
In questo luogo di sofferenza, che si erge in un quartiere desolato, dove il degrado si tocca con mano e l’incuria degli amministratori e degli abitanti hanno trasformato in una babele urbanistica, si riscopre la dimensione dell’uomo. Non a caso, il nuovo direttore sanitario dell’azienda ospedaliera reggina, venuto dal Nord, Enzo Rupeni, ha definito l’Hospice di via delle stelle uno dei migliori tra quelli da lui conosciuti e, addirittura, migliore di uno da lui stesso progettato.
Dopo un anno di sofferenze, di promesse non mantenute, di battaglie contro la burocrazia, finalmente s’intravede uno spiraglio confortante: il ministero della salute ha stanziato i fondi per la formazione del personale dell’Hospice . C’è stato chi si è prodigato per ottenere questo risultato, ma è voluto rimanere nell’ombra, come è giusto, la solidarietà non ha bisogno di spot pubblicitari. E ogni giorno c’è chi continua a imboccare la via delle stelle.
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