Questo è il testo di una mia inchiesta che è pubblicata nel numero di Novembre del Messaggero di Sant'Antonio, mensile cattolico diffuso in tutto il mondo con una tiratura di un milione di copie. Spero faccia piacere ai miei 25 lettori, per dirla col Manzoni, che mi onorano della loro quotidiana attenzione, Che crepino gli invidiosi!.
La Calabria delle speranze deluse, delle promesse non mantenute, della criminalità sempre più violenta, delle migliaia di disoccupati, dello sfascio ambientale, della politica litigiosa.
Ma anche la Calabria delle intelligenze esportate, delle grandi risorse artistiche e archeologiche, del mare splendido, della montagna con la sua bellezza selvaggia, degli scienziati in ogni campo, dalla fisica alla medicina.
Una terra tanto bella quanto sfortunata, tra terremoti, guerre, invasioni, alluvioni, epidemie che non hanno piegato la sua gente, sempre pronta a ricominciare, spinta da un innato fatalismo che la penna di grandi scrittori ha saputo mirabilmente descrivere.
Il calabrese, come diceva Corrado Alvaro, s’accontenta di poco, basta sapergli parlare, ed è ancora così come la videro i grandi viaggiatori e pensatori del passato, da Norman Douglas a Gioacchino da Fiore, da Tommaso Campanella, a Leonida Repaci ,da Edward Lear (memorabile il suo diario d’un viaggio a piedi) e Bernard Berenson.
Tra poche luci e molte ombre si va avanti. Negli ultimi anni, poi, i segni d’un cambiamento si sono visti, l’emigrazione s’è ridotta, qualche industria ha chiuso, ma qualche altra è nata, in alcuni settori, come confermano gli indici economici più recenti, la ripresa è evidente. Soprattutto, si sono intravisti segnali incoraggianti per quanto riguarda la presa di coscienza della gente per cui vivere nella legalità, a lungo andare, paga. Un esempio formidabile è venuto dalla Chiesa, da quella di provincia in particolare, le cooperative create dal vescovo Giancarlo Bregantini, che purtroppo ha lasciato la Calabria, hanno fatto scuola, l’esempio è stato seguito altrove. Una regione che ha rialzato la testa e che spera negli aiuti europei per rilanciare il turismo, migliorare le comunicazioni, creare occupazione, impedire l’emigrazione intellettuale. C’è poi da recuperare per attività legali l’enorme mole di beni sequestrati alla mafia, per milioni di euro. Qualcosa si sta facendo, ma ci sono ancora tanti ostacoli da superare. Gli amministratori devono capire che solo così la Calabria potrà diventare la California del Mediterraneo.
Catanzaro è il capoluogo di regione, un “pennacchio” per i reggini che hanno vissuto la rivolta popolare degli anni Settanta, un simbolo per gli abitanti della città dei tre colli, come viene chiamata, per la sua posizione che, fino a qualche anno fa, la rendeva quasi simile ad un nido di aquile.
Ora, grazie ad un reticolo di viadotti e svincoli che la collegano all’autostrada, Catanzaro si è sviluppata ed è andata nel tempo perdendo la fisionomia di capitale burocratica della regione. Infatti, nella zona di Marcellinara ha preso man mano corpo un agglomerato industriale di tutto rispetto, a pochi passi dall’aeroporto internazionale di Lamezia Terme, uno dei più sicuri d’Italia, in continuo aumento di passeggeri e di collegamenti.
Catanzaro è anche la sede del governo regionale che, dopo le elezioni di tre anni fa, è nelle mani di Agazio Loiero, ex democristiano avvicinatosi col tempo sempre più alla sinistra, anche se forte di un consenso personale ragguardevole. Intellettuale della Magna Grecia, per dirla col presidente Cossiga, il presidente della Giunta sta cercando di togliere dalle secche la navicella regionale, anche se i risultati, come ama spesso ripetere, li raccoglierà chi verrà dopo di lui che, in verità, ha dovuto più volte rimpastare l’esecutivo al punto da meritarsi la caustica definizione di Giunta…autobus, ogni tanto scende un assessore, e sale un altro.
Il fiore all’occhiello di Catanzaro, ma anche dell’intera Calabria, dovrebbe essere la cittadella regionale, un complesso mastodontico nel quale verrebbero riuniti tutti gli uffici e le strutture della Regione, risparmiando milioni di euro di affitti e consentendo uno snellimento delle procedure burocratiche con tutti gli assessorati in rete.
La cittadella è stata il cavallo di battaglia di Loiero, durante la campagna elettorale, dopo un quinquennio non proprio esaltante del governo di Giuseppe Chiaravalloti, ex magistrato nelle grazie di Silvio Berlusconi.
L’altro asso nella manica del governatore, che però corre il rischio di doversi trasformare in un boomerang, è la sponsorizzazione, costo otto milioni di euro, della Nazionale di calcio. L’U E, è notizia di questi giorni, avrebbe però trovato da ridire su come verrebbero spesi questi fondi europei. Qualcuno sostiene che si tratta di soldi destinati ad opere pubbliche e “distratti” per dare una lustrata all’immagine con il calabrese Gattuso testimonial .
All’estero, ci conferma la giornalista del The Wall Street Juornal, Deborah Ball, queste cose non piacciono molto. “Sto facendo un giro nella regione, ci dice, e sto anche scrivendo un libro sulla figura del grande stilista reggino Gianni Versace. Debbo confermare l’impressione favorevole che Reggio mi ha fatto, rispetto ad un recente passato, ma già dall’epoca Falcomatà c’era stata una svolta, dopo anni difficili. Certo, la gente è ancora chiusa, il calabrese, forse per ataviche diffidenze, è restio ad aprirsi al forestiero e non accetta volentieri intromissioni nella vita quotidiana, è assai difficile avere informazioni per chi voglia condurre un’inchiesta, all’americana, appunto. Alla Provincia, già governata dalla destra, è arrivata una donna assai battagliera, Wanda Ferro, di An, alla quale è affidato il compito di proseguire l’opera dell’attivo compagno di partito Michele Traversa.
I programmi sono interessanti, anche perché alle donne ed ai giovani sono riservati spazi importanti, ma ancora è prematuro parlare di “nuova fase di sviluppo” per un territorio che ha visto ristretti i margini geografici ed anche le risorse economiche sottratti dalle giovani province di Vibo Valentia e Crotone.
Non altrettanto positivi sono i riscontri che arrivano dal Comune che dallo scorso anno è guidato da un politico di lungo corso, Rosario Olivo, un passato nel Psi, poi approdato all’area diessina, già deputato e presidente della Regione. Grande esperienza amministrativa, ma difficoltà nel riavviare la macchina comunale di una città che presenta la sua immagine positiva attraverso il grande teatro progettato da Renzo Piano, che ha consentito una programmazione artistica degna di una metropoli.
Qui, meno che altrove, fatta eccezione per il Lamentino, la presenza delle organizzazioni mafiose è minore.
Il viaggio verso Reggio Calabria non è dei più facili, tra un cantiere e l’altro dell’autostrada, i cui lavori di ammodernamento sembrano non avere mai fine, sia per difficoltà economiche che per la serie di intimidazioni da parte delle cosche che controllano il territorio e che, nonostante varie iniziative della magistratura, con decine e decine di arresti, non rinunciano alla loro attività principale, quella delle estorsioni.
“Siamo arrivati al punto di chiedere l’intervento dell’esercito, spiegano i sindacalisti Mina Papasidero, Paolo Morganti.e Francesco Maviglia, che rappresentano la categoria degli edili di Cgil, Cisl e Uil, la pressione della mafia s’è fatta insostenibile, anche i sindaci dovrebbero darci una mano”.
Reggio vive uno dei momenti migliori della sua storia con un sindaco, Giuseppe Scopelliti, giovane, che tutti chiamano familiarmente Peppe, chiamato a raccogliere l’eredità di quell’ Italo Falcomatà, il protagonista della “primavera reggina” dopo anni d’immobilismo amministrativo tra una guerra di mafia e l’altra.
Scopelliti è riuscito ad interpretare al meglio i sentimenti popolari, ha speso forse male le risorse, come sostengono gli oppositori, ma ha ottenuto dal Governo la necessaria attenzione. Milioni di euro da investire, il simbolo della città, oltre al castello aragonese, è destinato a diventare il nuovo palazzo di giustizia, di straordinaria valenza architettonica.
Buoni i suoi rapporti con la Curia, Scopelliti ha assegnato ad associazioni antimafia e religiose beni sottratti con la confisca alla ‘ndrangheta. Stanno sorgendo ostelli, case di riposo, impianti destinati a cooperative e comunità terapeutiche.
Questo è l’anno dell’anniversario del disastroso terremoto del 28 dicembre 1908 che rase al suolo Reggio e Messina, che si guardano attraverso lo Stretto, e che ancora portano i segni di quello spaventoso cataclisma. Anche la Provincia, strappata alla destra con una percentuale altissima di consensi per Giuseppe Morabito, vecchio Pci, rigorosamente uomo di partito, farà la sua parte per ricordare alla memoria popolare un evento tragico che fece conoscere a tutto il mondo la realtà di due città cancellate in pochi secondi dall’onda di maremoto, dopo che la terra aveva tremato per quasi venti minuti.
Reggio è sede del consiglio regionale, frutto del compromesso che la classe politica trovò, per porre fine allo scontro con Catanzaro. Il presidente Giuseppe Bova, del partito democratico, di recente avvicinatosi alle posizioni di Massimo D’Alema, vuol passare alla storia per un’iniziativa che ha suscitato enormi consensi e che altre Regioni pare vogliano copiare.
Per evitare la fuga dei migliori cervelli verso il Nord (sono ancora tanti i giovani che vanno all’università altrove, e non tornano dopo la laurea) cinquecento neo laureati col massimo dei voti, per due anni, verranno stipendiati dalla Regione e fatti maturare con stage presso le imprese e nelle strutture burocratiche. Poi, toccherà ad altri cinquecento, con la speranza che molti di loro non preparino la valigia e incrementino l’emigrazione intellettuale.
Certo, le luci che s’accendono sono parecchie, ma altrettante sono le ombre che gravano su una città che, solo qualche anno fa, un parlamentare durante una delle abituali “passerelle” della Commissione antimafia, non esitò a definire la Beirut del Sud.
Intanto, le poche industrie esistenti sul territorio sono quasi tutte in difficoltà, aziende di grandi tradizioni, come la Mauro caffè, nota in tutto il mondo, sono passate di mano, la famiglia degli armatori Matacena, gli “inventori” del traghettamento privato nello Stretto di Messina, ha preferito andarsene a vivere a Montecarlo.
C’è Gioia Tauro, col più grande porto del Mediterraneo per la movimentazione di container, ma anche uno scalo ad alto rischio per l’infiltrazione delle temibili famiglie mafiose della Piana. Di tanto in tanto, si diffonde la voce di possibile abbandono delle grandi società di transhipment che sceglierebbero altri porti più sicuri dal punto di vista ambientale.
“Sarebbe una sciagura, commenta Michele Albanese, giornalista del Quotidiano della Calabria, che segue giornalmente le vicende del porto gioiese, sia per i riflessi sull’occupazione, qui è la nostra Fiat, che per la possibilità che avrebbero le cosche di reclutare giovani”.
Una sottile linea di confine divide la provincia reggina da quella di Vibo Valentia, solo qualche chilometro tra Rosarno e Nicotera, e più avanti una delle “perle” del Tirreno, quella Tropea che accoglie ogni anno migliaia di turisti da ogni parte del mondo.
Vibo, liberatasi dal “dominio” catanzarese, adesso cammina con le sue gambe, forte com’è della risorsa turismo che garantisce investimenti e benessere, nonostante la crisi che ha caratterizzato questi ultimi mesi.
Poi, l’industria della lavorazione del tonno, attorno alla quale sono nate attività collaterali. Il grande Acquapark di Zambrone ha aperto la strada ad altri impianti simili sorti nel Cosentino e nel Crotonese. Un prodotto della civiltà contadina, la piccantissima ma altrettanto gustosa ‘nduja, ha ormai varcato i confini di Spilinga, dove praticamente viene lavorata in ogni casa, per trovare mercato in tutta Italia.
Questa è la Calabria, che riesce a trovare dentro di sé la forza per superare ogni genere di avversità, da quelle della natura, a quelle causate dagli uomini. Vibo una macchia ce l’ha, ed è oggetto di quasi quotidiana attenzione sulla stampa locale. L’alluvione di due anni fa, che provocò danni ingentissimi e lutti, ha lasciato ancora evidenti i segni di una ricostruzione che tarda a mettersi in moto. Il fango è stato tolto dalle strade, ma ancora scuole inagibili, case crollate, strade cancellate, mentre si attende che qualcuno mantenga promesse solennemente fatte, davanti alle telecamere, a microfoni accesi.
Aspettano pure di non essere “mangiati” dalla frana che rischia di far scomparire quella manciata di case aggrappate a un costone, gli abitanti di Cavallerizzo, in provincia di Cosenza. Per giorni e giorni, in tanti, da Roma e Catanzaro, arrivarono fin quassù, promettendo che presto tutto sarebbe stato risolto ed ognuno di quelli costretti ad andarsene altrove, chiedendo ospitalità a parenti ed amici, o addirittura emigrando, sarebbe presto tornato a casa.
Cavallerizzo è l’emblema di quello “sfasciume pendulo” di cui parlava Giustino Fortunato, il meridionalista che più di ogni altro, seppe capire la Calabria.
Cosenza, che ha visto negli anni allargarsi urbanisticamente verso Rende, quasi a ridosso della città universitaria di Arcavacata, ha perso figure importanti di politici, quali Giacomo Mancini e Riccardo Misasi, per non dire di Antonio Guarasci, il primo presidente della Regione, che aveva una visione illuministica del governare.
Dopo la parentesi di Eva.Catizzone, pupilla di Mancini, entrata nelle cronache rosa e nel gossip più sguaiato, dopo la sua relazione con un big della sinistra, Nicola Adamo, che le ha dato un figlio, la città è governata da Salvatore Perugini, un figlio d’arte (il padre è stato a lungo parlamentare regionale e nazionale) che sta puntando sulla riqualificazione del magnifico centro storico e nel miglioramento dei collegamenti, grazie anche all’autostrada, il cui tracciato l’allora ministro dei lavori pubblici, Giacomo Mancini, pretese venisse modificato per togliere dall’isolamento la città dei Bruzi.
Il giovane nipote del “Califfo”, come gli avversari politici usavano apostrofare l’anziano leader socialista, Giacomo junior, chiusa la sua breve parentesi da deputato della sinistra, viene ora insistentemente corteggiato da Berlusconi che, addirittura, lo vedrebbe candidato alla guida della Regione alle elezioni del 2010.
Chi sta peggio di tutte le province, è Crotone, un tempo “capitale” dell’industria, ma da anni stretta nella morsa delle ristrutturazioni e conseguenti migliaia di cassintegrati. Crotone significa Gerardo Sacco, orafo delle dive che piace anche ai Papi, numerose le opere per conto di varie Curie. Un mito per i giovani, anche per quelli che non lo hanno conosciuto, il cantante Rino Gaetano, morto tragicamente anni fa.
Ma anche la Calabria delle intelligenze esportate, delle grandi risorse artistiche e archeologiche, del mare splendido, della montagna con la sua bellezza selvaggia, degli scienziati in ogni campo, dalla fisica alla medicina.
Una terra tanto bella quanto sfortunata, tra terremoti, guerre, invasioni, alluvioni, epidemie che non hanno piegato la sua gente, sempre pronta a ricominciare, spinta da un innato fatalismo che la penna di grandi scrittori ha saputo mirabilmente descrivere.
Il calabrese, come diceva Corrado Alvaro, s’accontenta di poco, basta sapergli parlare, ed è ancora così come la videro i grandi viaggiatori e pensatori del passato, da Norman Douglas a Gioacchino da Fiore, da Tommaso Campanella, a Leonida Repaci ,da Edward Lear (memorabile il suo diario d’un viaggio a piedi) e Bernard Berenson.
Tra poche luci e molte ombre si va avanti. Negli ultimi anni, poi, i segni d’un cambiamento si sono visti, l’emigrazione s’è ridotta, qualche industria ha chiuso, ma qualche altra è nata, in alcuni settori, come confermano gli indici economici più recenti, la ripresa è evidente. Soprattutto, si sono intravisti segnali incoraggianti per quanto riguarda la presa di coscienza della gente per cui vivere nella legalità, a lungo andare, paga. Un esempio formidabile è venuto dalla Chiesa, da quella di provincia in particolare, le cooperative create dal vescovo Giancarlo Bregantini, che purtroppo ha lasciato la Calabria, hanno fatto scuola, l’esempio è stato seguito altrove. Una regione che ha rialzato la testa e che spera negli aiuti europei per rilanciare il turismo, migliorare le comunicazioni, creare occupazione, impedire l’emigrazione intellettuale. C’è poi da recuperare per attività legali l’enorme mole di beni sequestrati alla mafia, per milioni di euro. Qualcosa si sta facendo, ma ci sono ancora tanti ostacoli da superare. Gli amministratori devono capire che solo così la Calabria potrà diventare la California del Mediterraneo.
Catanzaro è il capoluogo di regione, un “pennacchio” per i reggini che hanno vissuto la rivolta popolare degli anni Settanta, un simbolo per gli abitanti della città dei tre colli, come viene chiamata, per la sua posizione che, fino a qualche anno fa, la rendeva quasi simile ad un nido di aquile.
Ora, grazie ad un reticolo di viadotti e svincoli che la collegano all’autostrada, Catanzaro si è sviluppata ed è andata nel tempo perdendo la fisionomia di capitale burocratica della regione. Infatti, nella zona di Marcellinara ha preso man mano corpo un agglomerato industriale di tutto rispetto, a pochi passi dall’aeroporto internazionale di Lamezia Terme, uno dei più sicuri d’Italia, in continuo aumento di passeggeri e di collegamenti.
Catanzaro è anche la sede del governo regionale che, dopo le elezioni di tre anni fa, è nelle mani di Agazio Loiero, ex democristiano avvicinatosi col tempo sempre più alla sinistra, anche se forte di un consenso personale ragguardevole. Intellettuale della Magna Grecia, per dirla col presidente Cossiga, il presidente della Giunta sta cercando di togliere dalle secche la navicella regionale, anche se i risultati, come ama spesso ripetere, li raccoglierà chi verrà dopo di lui che, in verità, ha dovuto più volte rimpastare l’esecutivo al punto da meritarsi la caustica definizione di Giunta…autobus, ogni tanto scende un assessore, e sale un altro.
Il fiore all’occhiello di Catanzaro, ma anche dell’intera Calabria, dovrebbe essere la cittadella regionale, un complesso mastodontico nel quale verrebbero riuniti tutti gli uffici e le strutture della Regione, risparmiando milioni di euro di affitti e consentendo uno snellimento delle procedure burocratiche con tutti gli assessorati in rete.
La cittadella è stata il cavallo di battaglia di Loiero, durante la campagna elettorale, dopo un quinquennio non proprio esaltante del governo di Giuseppe Chiaravalloti, ex magistrato nelle grazie di Silvio Berlusconi.
L’altro asso nella manica del governatore, che però corre il rischio di doversi trasformare in un boomerang, è la sponsorizzazione, costo otto milioni di euro, della Nazionale di calcio. L’U E, è notizia di questi giorni, avrebbe però trovato da ridire su come verrebbero spesi questi fondi europei. Qualcuno sostiene che si tratta di soldi destinati ad opere pubbliche e “distratti” per dare una lustrata all’immagine con il calabrese Gattuso testimonial .
All’estero, ci conferma la giornalista del The Wall Street Juornal, Deborah Ball, queste cose non piacciono molto. “Sto facendo un giro nella regione, ci dice, e sto anche scrivendo un libro sulla figura del grande stilista reggino Gianni Versace. Debbo confermare l’impressione favorevole che Reggio mi ha fatto, rispetto ad un recente passato, ma già dall’epoca Falcomatà c’era stata una svolta, dopo anni difficili. Certo, la gente è ancora chiusa, il calabrese, forse per ataviche diffidenze, è restio ad aprirsi al forestiero e non accetta volentieri intromissioni nella vita quotidiana, è assai difficile avere informazioni per chi voglia condurre un’inchiesta, all’americana, appunto. Alla Provincia, già governata dalla destra, è arrivata una donna assai battagliera, Wanda Ferro, di An, alla quale è affidato il compito di proseguire l’opera dell’attivo compagno di partito Michele Traversa.
I programmi sono interessanti, anche perché alle donne ed ai giovani sono riservati spazi importanti, ma ancora è prematuro parlare di “nuova fase di sviluppo” per un territorio che ha visto ristretti i margini geografici ed anche le risorse economiche sottratti dalle giovani province di Vibo Valentia e Crotone.
Non altrettanto positivi sono i riscontri che arrivano dal Comune che dallo scorso anno è guidato da un politico di lungo corso, Rosario Olivo, un passato nel Psi, poi approdato all’area diessina, già deputato e presidente della Regione. Grande esperienza amministrativa, ma difficoltà nel riavviare la macchina comunale di una città che presenta la sua immagine positiva attraverso il grande teatro progettato da Renzo Piano, che ha consentito una programmazione artistica degna di una metropoli.
Qui, meno che altrove, fatta eccezione per il Lamentino, la presenza delle organizzazioni mafiose è minore.
Il viaggio verso Reggio Calabria non è dei più facili, tra un cantiere e l’altro dell’autostrada, i cui lavori di ammodernamento sembrano non avere mai fine, sia per difficoltà economiche che per la serie di intimidazioni da parte delle cosche che controllano il territorio e che, nonostante varie iniziative della magistratura, con decine e decine di arresti, non rinunciano alla loro attività principale, quella delle estorsioni.
“Siamo arrivati al punto di chiedere l’intervento dell’esercito, spiegano i sindacalisti Mina Papasidero, Paolo Morganti.e Francesco Maviglia, che rappresentano la categoria degli edili di Cgil, Cisl e Uil, la pressione della mafia s’è fatta insostenibile, anche i sindaci dovrebbero darci una mano”.
Reggio vive uno dei momenti migliori della sua storia con un sindaco, Giuseppe Scopelliti, giovane, che tutti chiamano familiarmente Peppe, chiamato a raccogliere l’eredità di quell’ Italo Falcomatà, il protagonista della “primavera reggina” dopo anni d’immobilismo amministrativo tra una guerra di mafia e l’altra.
Scopelliti è riuscito ad interpretare al meglio i sentimenti popolari, ha speso forse male le risorse, come sostengono gli oppositori, ma ha ottenuto dal Governo la necessaria attenzione. Milioni di euro da investire, il simbolo della città, oltre al castello aragonese, è destinato a diventare il nuovo palazzo di giustizia, di straordinaria valenza architettonica.
Buoni i suoi rapporti con la Curia, Scopelliti ha assegnato ad associazioni antimafia e religiose beni sottratti con la confisca alla ‘ndrangheta. Stanno sorgendo ostelli, case di riposo, impianti destinati a cooperative e comunità terapeutiche.
Questo è l’anno dell’anniversario del disastroso terremoto del 28 dicembre 1908 che rase al suolo Reggio e Messina, che si guardano attraverso lo Stretto, e che ancora portano i segni di quello spaventoso cataclisma. Anche la Provincia, strappata alla destra con una percentuale altissima di consensi per Giuseppe Morabito, vecchio Pci, rigorosamente uomo di partito, farà la sua parte per ricordare alla memoria popolare un evento tragico che fece conoscere a tutto il mondo la realtà di due città cancellate in pochi secondi dall’onda di maremoto, dopo che la terra aveva tremato per quasi venti minuti.
Reggio è sede del consiglio regionale, frutto del compromesso che la classe politica trovò, per porre fine allo scontro con Catanzaro. Il presidente Giuseppe Bova, del partito democratico, di recente avvicinatosi alle posizioni di Massimo D’Alema, vuol passare alla storia per un’iniziativa che ha suscitato enormi consensi e che altre Regioni pare vogliano copiare.
Per evitare la fuga dei migliori cervelli verso il Nord (sono ancora tanti i giovani che vanno all’università altrove, e non tornano dopo la laurea) cinquecento neo laureati col massimo dei voti, per due anni, verranno stipendiati dalla Regione e fatti maturare con stage presso le imprese e nelle strutture burocratiche. Poi, toccherà ad altri cinquecento, con la speranza che molti di loro non preparino la valigia e incrementino l’emigrazione intellettuale.
Certo, le luci che s’accendono sono parecchie, ma altrettante sono le ombre che gravano su una città che, solo qualche anno fa, un parlamentare durante una delle abituali “passerelle” della Commissione antimafia, non esitò a definire la Beirut del Sud.
Intanto, le poche industrie esistenti sul territorio sono quasi tutte in difficoltà, aziende di grandi tradizioni, come la Mauro caffè, nota in tutto il mondo, sono passate di mano, la famiglia degli armatori Matacena, gli “inventori” del traghettamento privato nello Stretto di Messina, ha preferito andarsene a vivere a Montecarlo.
C’è Gioia Tauro, col più grande porto del Mediterraneo per la movimentazione di container, ma anche uno scalo ad alto rischio per l’infiltrazione delle temibili famiglie mafiose della Piana. Di tanto in tanto, si diffonde la voce di possibile abbandono delle grandi società di transhipment che sceglierebbero altri porti più sicuri dal punto di vista ambientale.
“Sarebbe una sciagura, commenta Michele Albanese, giornalista del Quotidiano della Calabria, che segue giornalmente le vicende del porto gioiese, sia per i riflessi sull’occupazione, qui è la nostra Fiat, che per la possibilità che avrebbero le cosche di reclutare giovani”.
Una sottile linea di confine divide la provincia reggina da quella di Vibo Valentia, solo qualche chilometro tra Rosarno e Nicotera, e più avanti una delle “perle” del Tirreno, quella Tropea che accoglie ogni anno migliaia di turisti da ogni parte del mondo.
Vibo, liberatasi dal “dominio” catanzarese, adesso cammina con le sue gambe, forte com’è della risorsa turismo che garantisce investimenti e benessere, nonostante la crisi che ha caratterizzato questi ultimi mesi.
Poi, l’industria della lavorazione del tonno, attorno alla quale sono nate attività collaterali. Il grande Acquapark di Zambrone ha aperto la strada ad altri impianti simili sorti nel Cosentino e nel Crotonese. Un prodotto della civiltà contadina, la piccantissima ma altrettanto gustosa ‘nduja, ha ormai varcato i confini di Spilinga, dove praticamente viene lavorata in ogni casa, per trovare mercato in tutta Italia.
Questa è la Calabria, che riesce a trovare dentro di sé la forza per superare ogni genere di avversità, da quelle della natura, a quelle causate dagli uomini. Vibo una macchia ce l’ha, ed è oggetto di quasi quotidiana attenzione sulla stampa locale. L’alluvione di due anni fa, che provocò danni ingentissimi e lutti, ha lasciato ancora evidenti i segni di una ricostruzione che tarda a mettersi in moto. Il fango è stato tolto dalle strade, ma ancora scuole inagibili, case crollate, strade cancellate, mentre si attende che qualcuno mantenga promesse solennemente fatte, davanti alle telecamere, a microfoni accesi.
Aspettano pure di non essere “mangiati” dalla frana che rischia di far scomparire quella manciata di case aggrappate a un costone, gli abitanti di Cavallerizzo, in provincia di Cosenza. Per giorni e giorni, in tanti, da Roma e Catanzaro, arrivarono fin quassù, promettendo che presto tutto sarebbe stato risolto ed ognuno di quelli costretti ad andarsene altrove, chiedendo ospitalità a parenti ed amici, o addirittura emigrando, sarebbe presto tornato a casa.
Cavallerizzo è l’emblema di quello “sfasciume pendulo” di cui parlava Giustino Fortunato, il meridionalista che più di ogni altro, seppe capire la Calabria.
Cosenza, che ha visto negli anni allargarsi urbanisticamente verso Rende, quasi a ridosso della città universitaria di Arcavacata, ha perso figure importanti di politici, quali Giacomo Mancini e Riccardo Misasi, per non dire di Antonio Guarasci, il primo presidente della Regione, che aveva una visione illuministica del governare.
Dopo la parentesi di Eva.Catizzone, pupilla di Mancini, entrata nelle cronache rosa e nel gossip più sguaiato, dopo la sua relazione con un big della sinistra, Nicola Adamo, che le ha dato un figlio, la città è governata da Salvatore Perugini, un figlio d’arte (il padre è stato a lungo parlamentare regionale e nazionale) che sta puntando sulla riqualificazione del magnifico centro storico e nel miglioramento dei collegamenti, grazie anche all’autostrada, il cui tracciato l’allora ministro dei lavori pubblici, Giacomo Mancini, pretese venisse modificato per togliere dall’isolamento la città dei Bruzi.
Il giovane nipote del “Califfo”, come gli avversari politici usavano apostrofare l’anziano leader socialista, Giacomo junior, chiusa la sua breve parentesi da deputato della sinistra, viene ora insistentemente corteggiato da Berlusconi che, addirittura, lo vedrebbe candidato alla guida della Regione alle elezioni del 2010.
Chi sta peggio di tutte le province, è Crotone, un tempo “capitale” dell’industria, ma da anni stretta nella morsa delle ristrutturazioni e conseguenti migliaia di cassintegrati. Crotone significa Gerardo Sacco, orafo delle dive che piace anche ai Papi, numerose le opere per conto di varie Curie. Un mito per i giovani, anche per quelli che non lo hanno conosciuto, il cantante Rino Gaetano, morto tragicamente anni fa.
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