16/10/08

VORREI ESSERE UN MILIARDARIO INFELICE


Non ho mai amato il gioco, d'azzardo e non, pur avendo vissuto gli anni della giovinezza nelle redazioni e nelle tipografie dei giornali dove, nelle lunghe ore d'attesa per la chiusura delle pagine, si giocava, giornalisti e tipografi, un'alleanza che, dal punto di vista sindacale, faceva paura agli editori.

Da quando le tipografie sono diventate come la sala d'aspetto d'un ospedale, tutta plastica e bianco, a seguito della scomparsa del piombo e dell'introduzione del computer, ognuno finito il suo turno, che non si conclude più, all'alba, come una volta, se ne va a casa, senza neppure aver bisogno di cambiarsi.

Il tipografo nuova generazione lavora in giacca e cravatta e non si sporca le mani, ma è una specie ormai in estinzione, tra una ristrutturazione e l'altra.

Ho conosciuto colleghi che si sono giocati una fortuna e che, a fine mese, erano costretti a chiedere prestiti, per portare da mangiare a casa, lo stipendio, infatti, se l'erano giocato tutto.

Io, al massimo, mi sono concesso qualche partita a briscola, con la solita birra in palio, oppure ho giocato ai cavalli o al Lotto in società con altri, riuscendo in qualche occasione a vincere qualche sommetta.

Da qualche tempo, sarà per il clima che si vive a Roma in questo periodo con il Superenalotto milionario, ci ho preso gusto a riempire le schedine con i sei numeri che, se li azzecchi, ti ritrovi dalla sera alla mattina novello Paperon dei Paperoni. Oggi ho giocato un sistema, chiamato Il Mito, siamo in dieci, dopo tutto, sette-otto milioni a testa ci farebbero stare meglio. O no?. Per scherzo, usavo dire a un caro collega che si lamentava spesso, che vincendo una grossa somma avrebbe corso il rischio di diventare un miliardario infelice. Meglio povero, ma felice. Ho ancora nelle orecchie i suoi vaffa. Ora, però, questo rischio dell'infelicità lo sto correndo anch'io.

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