29/08/10

LIGATO VITTIMA DEL CONNUBIO PERVERSO MAFIA-POLITICA

Lodovico Ligato quando era parlamentare

La bomba al procuratore generale Di Landro, con tutto lo "sconquasso" giornalistico che ne è seguito, ha fatto passare in secondo piano, e quasi nessuno se n'è ricordato, l'anniversario, il ventunesimo, del barbaro omicidio di Lodovico Ligato, politico, giornalista, uomo di punta della vecchia Dc. Ricordo perfettamente tutti i dettagli di quella tragica notte.
Allora ero redattore di Gazzetta del Sud a Reggio Calabria e seguivo in particolare la cronaca. Ero nella mia casa al mare, a qualche centinaio di metri dalla casa del delitto ed ero andato a pesca, la notte era senza luna, per cui si potevano prendere i totani.
Intorno alle due ero tornato a casa quando mi raggiunse la telefonata del collega Rosario Cananzi, il fotoreporter del giornale. “Hanno ammazzato Ligato”, mi disse brutalmente. Qualche minuto dopo, eravamo nel cortile della villa dove Vico Ligato giaceva crivellato dai proiettili, noi due, assieme ai familiari, alle forze dell’ordine e a qualche amico, siamo stati gli unici a vedere l'ex presidente delle Ferrovie cadavere, gli altri colleghi arrivarono quando era già giorno.
La mia impressione immediata fu quella che era stato un omicidio di mafia, da inquadrare nell’ambito dello scontro cruento che era in corso tra le cosche dominanti. Ricordo lo scetticismo degli investigatori e del sostituto procuratore Bruno Giordano, ma i fatti hanno confermato che la mia intuizione era quella giusta, che ha avuto i riscontri dopo le rivelazioni di uno degli assassini, il pentito Giuseppe Lombardo, detto “cavallino”.
Mi tornarono in mente alcuni episodi, accaduti nei giorni precedenti l’omicidio, quando, per due sere di seguito, telefonate anonime avevano segnalato non meglio precisate sparatorie a Bocale, che era la zona dove Ligato stava. Pensai dopo, queste erano le prove generali, invece si è appurato successivamente che il pentito Filippo Barreca aveva tentato di scoraggiare gli assassini del cui piano era a conoscenza.
Vico l’avevo visto due giorni prima della sua tragica fine e, in bicicletta, gli avevo fatto compagnia, lui era sulla muntain bike in tuta e cappellino per un bel tratto lungo la statale 106. Ricordo che mi aveva chiesto notizie sulla situazione politica, c’era se non sbaglio la crisi al Comune e lui se ne uscì con una battuta (“se non voglio io, qua non si fa nulla”) che in un certo senso mi sorprese, dato che si diceva avesse ormai intenzione di abbandonare la politica, comunque di non interessarsi più delle questioni reggine.
Evidentemente, non era così, e per questo qualcuno decise che era giunta l’ora di eliminarlo. Nei giorni successivi si scatenò la ridda delle ipotesi e si andava dall’omicidio d’onore, conoscendo Ligato come un “tombeur de femmes”, al delitto di Stato legato alla vicenda delle cosiddette “lenzuola d’oro”, una pista questa in qualche modo incoraggiata anche dalla vedova Nuccia. Ricordo ancora l’agghiacciante titolo d’un settimanale “lenzuola di piombo”.
 Certamente Ligato, che era stato un giornalista brillante e un politico emergente, uomo di grande intelligenza ancorché spregiudicato nei rapporti con certi ambienti, era diventato scomodo, ostacolo a chi, negli ambienti della criminalità, lo aveva visto tra i possibili alleati d’una cosca che ancor oggi è tra le dominanti sul territorio reggino.
Dal punto di vista giudiziario, il delitto Ligato è stato risolto, con arresto e condanna di esecutori e mandanti: resta un esempio di dove può portare il connubio mafia-politica, quando si oltrepassa un certo confine non è possibile tornare indietro.










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