Novant’anni oggi, tra sconcerto e rassegnazione, tra provocazione e pacata analisi: la scadenza delle 90 primavere trova Giorgio Bocca più che compiaciuto, quasi stizzito (“perchè sono 90, diamine!”), ma sempre arguto e attento alle vicende del Paese. Che lui, in una lunga chiacchierata con l’Asca, arricchisce con i suoi ricordi, offrendo spunti per certi versi inediti, o almeno poco noti.
Così il suo rapporto con Berlusconi di cui fu un sostenitore, almeno nella sua veste imprenditoriale, o della Lega, al suo nascere. Allo stesso modo, Bocca svela il rimpianto di non essere mai stato direttore di un giornale, a differenza di altri mostri sacri del giornalismo, cui viene spesso affiancato, come Biagi e Montanelli. Ma il suo occhio attento resta sempre puntato all’attualità, di cui è implacabile giudice. E’ il caso della Fiat di Melfi e della “svolta” che Marchionne sembra voler dare agli stessi rapporti sindacali, ai rapporti tra “il padrone e l’operaio”, al riconoscimento dei diritti.
- E’ il nuovo che avanza o il vecchio che ritorna?
“E’ l’età dello schiavismo che ritorna. Il criterio di Marchionne è: l’unica cosa che conta è la produzione. Bella scoperta, è sempre stato l’ideale di tutti gli imprenditori, di tutti i tempi. Quello che attiene ad una società evoluta è, invece, intraprendere consentendo la crescita democratica e civile del Paese. Fare come fa Marchionne è la negazione totale della democrazia. Ed è un segno anche del mutamento di valori in atto non solo in Italia. Si tratta di un mutamento epocale, dove il mercato globale rappresenta un caso specifico. Penso alla Fiat e dico, ma come: ti sei fatto la grande azienda con i nostri soldi, i soldi degli italiani, con l’appoggio del governo che si è prodigato affinché non la perdessi, e poi quando ti fa comodo e non produci più come vorresti, prendi e vai dai serbi? E’ una violazione incredibile dei rapporti sociali. Marchionne avrebbe ragione se si trovasse in una sorta di società delle nazioni, un impero, ma non se esistono varie economie e rifuggendo dalle regole”.
- Ma dalla parte di Marchionne si sono già schierati apertamente anche Scaroni, Geronzi. Sallusti sul “Giornale” sottolinea il perfetto parallelismo di questa svolta auspicata nell’economia con quella invocata dal premier in politica, per costruire il futuro del Paese…
“Ci credo che si siano schierati Scaroni e gli altri, è per conservare i loro posti. La loro è una prova del sultanato in essere. I grandi manager di Stato se non obbediscono a Berlusconi vengono subito eliminati. Sallusti poi, così lugubre…è un condor!”.
- Restiamo sempre nell’attualità. Come giudica la sinistra oggi? Di quali valori si deve far portatrice per avere un senso ed un ruolo? Bersani propone il ritorno sulla strada e lo spirito dell’Ulivo del ‘96 e la contemporanea creazione di un’alleanza democratica per sconfiggere Berlusconi. Ha un senso o finirà per reiterare un insuccesso?
- Berlusconi ed il berlusconismo. Una sorta di ossessione. Eppure lei ha lavorato in Fininvest con il Cavaliere, negli anni 80. Lui non era ancora sceso in politica…
“Si, è vero. Ricordo Scalfari che allora diceva: Giorgio si è innamorato di Berlusconi. Forse non è bene che si sappia troppo, ma allora difesi molto Berlusconi ed il suo diritto di intraprendere nella televisione. Mi chiese di andare da lui e scoprii che l’azienda funzionava molto bene, assai meglio che la Rai. Era essenziale, un’intervista si faceva in 5 minuti, non dopo settimane e alla presenza delle corti, come alla Rai. Berlusconi diede una spinta propulsiva positiva al settore, anche se era un imprenditore dai modi molto poco gentili, diciamo che era spiccio, ma devi essere così se vuoi sopravvivere alla concorrenza, era così ovunque”.
- Un rapporto positivo il vostro, dunque.
“Sotto un certo punto di vista anche perfetto, anche se per molti versi spiacevole. Io allora ero una firma già nota. Ma lui mi aveva preso e voluto solo per quella. Del lavoro che facevo non gli importava nulla. Io continuavo a sfornare inchieste, che lui imperterrito collocava nella fascia oraria “dell’insonnia”. E io dovevo anche sorbirmi gli sfottò di Mike Bongiorno, che con i suoi quiz “sforava” sempre. Era un modo anche quello per affermare: in azienda conto solo io, tu nulla. Poi tutto si chiarì con Craxi che chiese il mio licenziamento, che gli fu immediatamente concesso. Avevo peccato di ingenuità, i giochi erano abbastanza chiari, in fondo come sarebbe finita, si sapeva”.
- Alla luce della sua conoscenza diretta, come ricorda oggi Berlusconi?
“E’ un uomo molto abile, intelligente, mascalzone e pronto a tutto. Berlusconi però è politicamente un super-capo nel peggio, riassume in lui le peggiori qualità, esprime i desideri più bassi degli italiani e li interpreta alla perfezione. Se c’è un uomo che deve muovere la mano e di cui io so prima come farà, quello è lui”.
- Il suo non è solo un giudizio politico di condanna di Berlusconi, ma etico.
“La prima repubblica è stata sepolta da Mani pulite perchè ha dimostrato che il sistema politico che c’era era sbagliato. Ma allora si rubava sostanzialmente per il partito non per le persone, era il metodo del craxismo, finanziare la politica per arrivare al potere. Ora siamo al finanziamento delle bande, della corte. Anche questo possiamo dire non sia un fenomeno nuovo, Elisabetta d’Inghilterra già nel Seicento scritturava i pirati per fare soldi. Ma qui siamo al sovvertimento dei valori, che sono capovolti. L’onorabilità non interessa più nessuno, come gli altri valori etici. Anche la Chiesa ha mollato sull’etica, ed io vedo la società italiana cambiata drammaticamente: siamo una società pagana, imperiale. Siamo più una Roma di Cesare che un Paese democratico. Guardavo in tv i servizi sulla cena nella villa Campari tra Berlusconi e Bossi e vedevo questa spudorata celebrazione di se stessi e del potere. Un’altra villa, non bastasse Arcore e tutte le altre già note, lui che arriva in elicottero tra schiere di poliziotti… Ma non si vedono ogni sera a cena, mi domandavo, che bisogno c’era di tanto sfarzo, di tanti soldi buttati? Non ci siamo, una volta chi era accusato di corruzione si suicidava, oggi questo rappresenta quasi un titolo di merito e l’onesto viene visto come un cretino, un povero Cristo”.
- La decadenza di oggi che ci descrive è più pericolosa della deriva fascista e totalitaria che visse il Paese nel ventennio e che lei combatté da partigiano?
“Dirò di più. Ai tempi della guerra, durante la guerra civile, perché è giusto chiamarla così, era rimasto un legame comune tra noi ed il fascismo morente. In montagna mi capitò spesso di pensare a Mussolini, come ad una figura quasi paterna. I valori etici del fascismo e della democrazia non erano così separati e distanti. Anche nel fascismo l’onestà e tutti i valori della società borghese venivano premiati. Ora i valori sono capovolti. Il dramma è che sembra che agli italiani vada bene così. Dopo la fine della guerra si è rivelato che l’adesione degli italiani al fascismo era stata molto più massiccia di quanto pensassimo. Ancora oggi per gran parte degli italiani questo modo di pensare fascista: il capo sono io, io decido, gli altri si adeguino, in fondo va bene. Il favore che ha Berlusconi sta nell’alibi che offre agli italiani di essere disonesti, se lo vogliono. In alto si ruba, chi può rubi anche lui”.
- Sarà seppellita anche la seconda Repubblica?
“La mia risposta sconta il fatto che la mia origine politica è nella guerra partigiana. Per me fu un tale miracolo assistere alla prova degli italiani che costituivano un esercito di volontari e costruivano un tessuto democratico su tutto il territorio, che spero nel fatto che se è stato possibile una volta sia così anche nel futuro. Un’opportunità che vedo però sempre minore”.
- Parliamo di Lega. Lei fu un sostenitore del Carroccio della prima ora. Adesso?
“E’ un’esperienza simile a quella di Berlusconi. Essendo, sì anch’io, un uomo del fare, mi interesso alle cose concrete e realistiche. Quando uscì la Lega scopersi che in fondo le sue qualità erano nel paesaggio italiano, non rubavano, erano disciplinati nel perseguire i loro obiettivi dichiarati. Quando la Lega vinse a Milano io scrissi un articolo intitolato: “Grazie barbari”. Dicevo, siete ignoranti e cafoni ma portatori di novità nella politica italiana. Adesso ho cambiato idea. La Lega, diventando ricca e potente, è diventata autoritaria e non regge bene alla crescita. L’assurdo è che la Lega, che dovrebbe essere vilipesa dagli italiani che dovrebbero inneggiare all’unità d’Italia, viene invece inneggiata da molti nel Sud, perché hanno capito che lì c’è il nuovo potere”.
- L’accusano di essere antimeridionalista. Cosa rappresenta per lei il federalismo?
“Io sono antifederalista. Data la situazione italiana il federalismo consisterà nella ricostruzione dei Granducati, in cui ognuno fa i propri comodi. L’Italia deve essere un Paese unito dove tutti pagano le tasse allo stesso modo (e basta con le regioni a statuto speciale). Credo poi che una certa fonte di autorità perenne vada trovata. Non si può tornare ai prefetti, ma un rappresentante del governo con poteri esecutivi sarebbe utile. Le autorità locali concedono tutto”.
Le-i viene sempre ricordato e annoverato tra i grandi del giornalismo italiano, insieme a Biagi e Montanelli. A differenza loro non è mai stato direttore. E’ un fatto che la disturba?
“Io direttore? Si, mi manca, ma non mi è stato mai offerto, forse intuivano che non ero un uomo adatto per farlo. Ricordo che all’Europeo quando morì Michele Serra andai da Fattori e mi proposi. Sono inviato ma se ti serve uno che faccia il giornale sono disponibile. Mi rispose: per carità, tu continua a scrivere. Poi penso a Scalfari, un vero direttore d’orchestra, noto per saper alternare come nessuno la carota con il bastone. Io oggettivamente non avrei avuto la capacità, manco di doti diplomatiche”.
“A ”Il provinciale – 70 anni di vita italiana” del 1991. E’ il più completo. Poi altri mi sono cari per lo stupore di averli scritti. Penso alla Biografia di Togliatti. Un lavoro spaventoso, durato 2-3 anni. Fu un’impresa, scrivere la biografia di Togliatti negli anni 70. Si tradusse nella scrittura della storia del Pci italiano. Quando uscì il libro Pajetta, che mi odiava, ordinò che venisse spulciato per trovarvi errori, ma questi si limitavano a qualche piccola svista nelle date. Mi fece una pubblicità enorme…”.
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