La morte cancella i ricordi, come le onde del mare sulla sabbia. Ma, qualche volta, non è così. Un necrologio, in fondo alla pagina d’un giornale, in mezzo a tanti altri, a trent’anni dalla morte di Girolamo Piromalli, per tutti era “don Mommo”, boss riconosciuto della mafia della Piana di Gioia Tauro.
C’è anche la foto, forse quando è stata scattata era uno dei rari momenti di libertà, dopo anni passati tra carcere e latitanza, poi la terribile malattia e la fine, in una corsia del Policlinico di Messina.
La mente del cronista si riaccende e immagini ingiallite tornano alla memoria, era un febbraio freddo e piovoso, proprio come ora, e una giornata di pioggia era il giorno del funerale, con centinaia e centinaia di persone raccolte davanti alla chiesa, col sagrato invaso da decine di corone di fiori. Amici e compari, anche dall’estero, avevano inviato il loro pensiero all’amico che, cosa rara per un capo mafia, era morto nel suo letto, come avrebbe fatto, molti anni dopo il fratello Giuseppe, detto “mussu stortu”, anche lui piagato da lunghi anni di detenzione.
Si scatenò una polemica violentissima dopo che l’avvocato Armando Veneto, il legale dei Piromalli, aveva tenuto l’orazione funebre, per la verità abbastanza sobria, ma non bastò: addosso al povero Armando, uno dei principi del Foro calabrese e non solo, furono gettate accuse le più infamanti. Protagonisti i soliti personaggi che Sciascia definisce professionisti dell’antimafia, a pagamento, aggiungo io.
Armando Veneto, che è diventato anche un politico importante, è uno che non si abbatte facilmente, il coraggio non deve andarlo a comperare, non teme d’incorrere nelle ire dei magistrati e, se li deve attaccare, lo fa senza mezzi termini.
Posso dare una testimonianza personale, quando, a seguito della morte in carcere di un personaggio inquisito durante la Tangentopoli reggina degli anni ’90, un magistrato presentò querela contro il sottoscritto, per aver riportato fedelmente una dichiarazione di Veneto, che assisteva la persona deceduta, “in carico” al giovane magistrato che querelò me, ma non il giornale, e il direttore responsabile.
Per mia fortuna, i giudici di Messina, che mi assolsero in primo e secondo grado, non si fecero impressionare dall’avere come parte lesa (?) un loro collega, Veneto confermò con una lettera che io avevo fatto, come sempre, e me ne vanto, il mio dovere, con lealtà ed onestà.
Mommo Piromalli rilasciò al grande Joe Marrazzo che lo raggiunse nella sua camera del Policlinico messinese, una memorabile intervista. Quando gli venne chiesto che cos’era per lui la mafia, diede questa sbalorditiva risposta: “Non esiste, è un’invenzione di voi giornalisti”.
Altri tempi, altri mafiosi, altri giudici, altri avvocati, come Armando Veneto, appunto.
C’è anche la foto, forse quando è stata scattata era uno dei rari momenti di libertà, dopo anni passati tra carcere e latitanza, poi la terribile malattia e la fine, in una corsia del Policlinico di Messina.
La mente del cronista si riaccende e immagini ingiallite tornano alla memoria, era un febbraio freddo e piovoso, proprio come ora, e una giornata di pioggia era il giorno del funerale, con centinaia e centinaia di persone raccolte davanti alla chiesa, col sagrato invaso da decine di corone di fiori. Amici e compari, anche dall’estero, avevano inviato il loro pensiero all’amico che, cosa rara per un capo mafia, era morto nel suo letto, come avrebbe fatto, molti anni dopo il fratello Giuseppe, detto “mussu stortu”, anche lui piagato da lunghi anni di detenzione.
Si scatenò una polemica violentissima dopo che l’avvocato Armando Veneto, il legale dei Piromalli, aveva tenuto l’orazione funebre, per la verità abbastanza sobria, ma non bastò: addosso al povero Armando, uno dei principi del Foro calabrese e non solo, furono gettate accuse le più infamanti. Protagonisti i soliti personaggi che Sciascia definisce professionisti dell’antimafia, a pagamento, aggiungo io.
Armando Veneto, che è diventato anche un politico importante, è uno che non si abbatte facilmente, il coraggio non deve andarlo a comperare, non teme d’incorrere nelle ire dei magistrati e, se li deve attaccare, lo fa senza mezzi termini.
Posso dare una testimonianza personale, quando, a seguito della morte in carcere di un personaggio inquisito durante la Tangentopoli reggina degli anni ’90, un magistrato presentò querela contro il sottoscritto, per aver riportato fedelmente una dichiarazione di Veneto, che assisteva la persona deceduta, “in carico” al giovane magistrato che querelò me, ma non il giornale, e il direttore responsabile.
Per mia fortuna, i giudici di Messina, che mi assolsero in primo e secondo grado, non si fecero impressionare dall’avere come parte lesa (?) un loro collega, Veneto confermò con una lettera che io avevo fatto, come sempre, e me ne vanto, il mio dovere, con lealtà ed onestà.
Mommo Piromalli rilasciò al grande Joe Marrazzo che lo raggiunse nella sua camera del Policlinico messinese, una memorabile intervista. Quando gli venne chiesto che cos’era per lui la mafia, diede questa sbalorditiva risposta: “Non esiste, è un’invenzione di voi giornalisti”.
Altri tempi, altri mafiosi, altri giudici, altri avvocati, come Armando Veneto, appunto.
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