Ebbene, si, lo confesso, sono stato anch’io, come il malcapitato e pluri sfiduciato direttore di Liberazione, Sansonetti, un lettore di Grand Hotel, popolarissimo giornale familiare degli anni 40-50 che tuttora ha un suo spazio editoriale.
E allora, mi chiedo, anche io sono rimasto, come Sansonetti, un bambino del ’68, legato ai sogni di un’epoca senza riuscire a sganciarsene? Si è aperta una polemica finita anche sulle pagine del Corrierone, in questi giorni che vedono il quotidiano di Rifondazione Comunista, il partito che non c’è più, o quasi, conteso da due gruppi, uno capeggiato dallo stesso direttore, intenzionato più che mai a non mollare la poltrona, e l’altro guidato da un giovane editore, Luca Bonaccorsi, assai vicino allo psichiatra Fagioli che conta su un seguito notevole nel Paese.
Liberazione, come tutti i giornali politici, e non solo quelli, attraversa un momento difficile, con un deficit pesante e vendite in caduta libera, anche se Piero Sansonetti, ex Unità e dato di ritorno nel giornale fondato da Gramsci, sostiene il contrario.
Ora, paragonare l’organo di stampa del partito che annovera “duri e puri” come Bertinotti, Ferrero e Nichy Vendola, alle pagine rosa di Grand Hotel ci sembra una esagerazione, se non una provocazione.
Gran Hotel è stato il giornale che è entrato per anni in casa mia e, mi perdonino i miei figli, anch’io divoravo i romanzi cosiddetti d’appendice che pubblicava a puntate, e i foto romanzi che grondavano sentimentalismo in quantità.
Mio padre lo acquistava regolarmente per mia madre, che lo prestava anche alle vicine di casa, a me, il martedì, portava l’attesa copia di Calcio e Ciclismo Illustrato. Dentro cresceva impetuosa la vocazione per il mestieraccio che avrei fatto e continuo a fare, anche se gli anni avanzano e qualche volta la memoria fa brutti scherzi.
Alcune delle grandi firme di quel giornale, anni dopo, le avrei incontrate negli stadi dove, modestamente, il giornale mi mandava come inviato per lo sport, calcio o ciclismo, boxe o tennis, è stata per me una grande scuola di mestiere e di vita.
Leggendo quanto si sta scrivendo in questi giorni sul “ruolo” di Grand Hotel nella società italiana del dopoguerra, non posso fare a meno di rivolgere un pensiero grato a coloro che quel giornale facevano, rivolti alle famiglie, nell’epoca in cui non c’era la televisione e il grado di alfabetizzazione era minimo. Era scritto in corretta lingua italiana, e raccontava buoni sentimenti, alimentava la fantasia. Provate a dare uno sguardo a qualcuno dei tanti giornali che vivono sul cosiddetto gossip e vi renderete conto del perché i giovani crescano in un certo modo, alla ricerca del tutto subito e tutto facile, coi soldi di papà o con quelli guadagnati illegalmente. Grand Hotel c’è ancora, non vi nascondo che oggi sono stato in edicola e l’ho comperato. Non senza un pizzico di commozione. Grazie a Liberazione e a Sansonetti.
E allora, mi chiedo, anche io sono rimasto, come Sansonetti, un bambino del ’68, legato ai sogni di un’epoca senza riuscire a sganciarsene? Si è aperta una polemica finita anche sulle pagine del Corrierone, in questi giorni che vedono il quotidiano di Rifondazione Comunista, il partito che non c’è più, o quasi, conteso da due gruppi, uno capeggiato dallo stesso direttore, intenzionato più che mai a non mollare la poltrona, e l’altro guidato da un giovane editore, Luca Bonaccorsi, assai vicino allo psichiatra Fagioli che conta su un seguito notevole nel Paese.
Liberazione, come tutti i giornali politici, e non solo quelli, attraversa un momento difficile, con un deficit pesante e vendite in caduta libera, anche se Piero Sansonetti, ex Unità e dato di ritorno nel giornale fondato da Gramsci, sostiene il contrario.
Ora, paragonare l’organo di stampa del partito che annovera “duri e puri” come Bertinotti, Ferrero e Nichy Vendola, alle pagine rosa di Grand Hotel ci sembra una esagerazione, se non una provocazione.
Gran Hotel è stato il giornale che è entrato per anni in casa mia e, mi perdonino i miei figli, anch’io divoravo i romanzi cosiddetti d’appendice che pubblicava a puntate, e i foto romanzi che grondavano sentimentalismo in quantità.
Mio padre lo acquistava regolarmente per mia madre, che lo prestava anche alle vicine di casa, a me, il martedì, portava l’attesa copia di Calcio e Ciclismo Illustrato. Dentro cresceva impetuosa la vocazione per il mestieraccio che avrei fatto e continuo a fare, anche se gli anni avanzano e qualche volta la memoria fa brutti scherzi.
Alcune delle grandi firme di quel giornale, anni dopo, le avrei incontrate negli stadi dove, modestamente, il giornale mi mandava come inviato per lo sport, calcio o ciclismo, boxe o tennis, è stata per me una grande scuola di mestiere e di vita.
Leggendo quanto si sta scrivendo in questi giorni sul “ruolo” di Grand Hotel nella società italiana del dopoguerra, non posso fare a meno di rivolgere un pensiero grato a coloro che quel giornale facevano, rivolti alle famiglie, nell’epoca in cui non c’era la televisione e il grado di alfabetizzazione era minimo. Era scritto in corretta lingua italiana, e raccontava buoni sentimenti, alimentava la fantasia. Provate a dare uno sguardo a qualcuno dei tanti giornali che vivono sul cosiddetto gossip e vi renderete conto del perché i giovani crescano in un certo modo, alla ricerca del tutto subito e tutto facile, coi soldi di papà o con quelli guadagnati illegalmente. Grand Hotel c’è ancora, non vi nascondo che oggi sono stato in edicola e l’ho comperato. Non senza un pizzico di commozione. Grazie a Liberazione e a Sansonetti.
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