Con la scomparsa di Virgilio Condarcuri se ne va non soltanto un pezzo della storia politica calabrese, ma anche il ricordo di quello che è stato, per tante generazioni, il vecchio partito comunista. Condarcuri, che era arrivato al seggio senatoriale dopo una lunghissima militanza nel partito e nel sindacato, era rimasto l’uomo semplice che ha dedicato tutta la sua esistenza alla difesa dei principi della democrazia, della solidarietà, della pace, della libertà in tutte le sue espressioni.
L’ho visto per l’ultima volta un paio di anni fa nella redazione a Siderno, del periodico “La Riviera”, di cui è coraggioso editore il figlio. Quel giorno, avendo saputo della mia visita, era voluto venire personalmente a salutarmi, ed era stata l’occasione per uno scambio di idee sulla politica attuale, sui “mali” della Calabria, e su altre tematiche scottanti quali la lotta alla mafia. Lo avevo trovato, nonostante l’età, estremamente lucido, ed anche se prudentemente, critico nei confronti dei dirigenti di quello che era stato il suo partito, si può dire dalla nascita.
La domanda che mi sono posto, adesso che Condarcuri ha raggiunto, come spero, la pace eterna, è cosa resta di quello che era stato il Pci, cosa rimane di “quella” sinistra degli Eugenio Musolino, dei Suraci, dei Ciccio Catanzariti, dei Tommaso Rossi (perché no, lunga vita a lui e ad altri superstiti), tutta gente che con Togliatti, Longo, Secchia, Bufalini, Napolitano, e via discorrendo, ha combattuto le battaglie cruente del dopoguerra, davanti alla “muraglia” democristiana.
Il Pci è morto da tempo, e attraverso le sue mutazioni, sono venuti fuori i vari Peppe Bova, Marco Minniti, Nicola Adamo, Carlo Guccione, il defunto Lillo Zappia, per non dire dell’attuale rappresentanza regionale, in gran parte formata da politici di mestiere, che man mano si sono staccati dalla realtà, la gente li vede lontani da sé, e i risultati elettorali ne sono la drammatica conferma.
Virgilio Condarcuri non condivideva da tempo questa sinistra salottiera alla Bertinotti e pseudo culturale alla Veltroni, che a Roma, dopo la scoperta delle tante favelas sorte in città, chiamano “er baracca”, altro che emulo di Barak Obama. Lui se n’è andato in silenzio, senza voler dare fastidio, e certamente le commemorazioni di maniera, i ritratti di facciata non gli saranno piaciuti, ma il suo dissenso lo ha tenuto dentro di sé, come sempre, con lo stile degli uomini puri ai quali il Padreterno, noi crediamo, al di là delle ideologie, un posto lo riserva sempre.
L’ho visto per l’ultima volta un paio di anni fa nella redazione a Siderno, del periodico “La Riviera”, di cui è coraggioso editore il figlio. Quel giorno, avendo saputo della mia visita, era voluto venire personalmente a salutarmi, ed era stata l’occasione per uno scambio di idee sulla politica attuale, sui “mali” della Calabria, e su altre tematiche scottanti quali la lotta alla mafia. Lo avevo trovato, nonostante l’età, estremamente lucido, ed anche se prudentemente, critico nei confronti dei dirigenti di quello che era stato il suo partito, si può dire dalla nascita.
La domanda che mi sono posto, adesso che Condarcuri ha raggiunto, come spero, la pace eterna, è cosa resta di quello che era stato il Pci, cosa rimane di “quella” sinistra degli Eugenio Musolino, dei Suraci, dei Ciccio Catanzariti, dei Tommaso Rossi (perché no, lunga vita a lui e ad altri superstiti), tutta gente che con Togliatti, Longo, Secchia, Bufalini, Napolitano, e via discorrendo, ha combattuto le battaglie cruente del dopoguerra, davanti alla “muraglia” democristiana.
Il Pci è morto da tempo, e attraverso le sue mutazioni, sono venuti fuori i vari Peppe Bova, Marco Minniti, Nicola Adamo, Carlo Guccione, il defunto Lillo Zappia, per non dire dell’attuale rappresentanza regionale, in gran parte formata da politici di mestiere, che man mano si sono staccati dalla realtà, la gente li vede lontani da sé, e i risultati elettorali ne sono la drammatica conferma.
Virgilio Condarcuri non condivideva da tempo questa sinistra salottiera alla Bertinotti e pseudo culturale alla Veltroni, che a Roma, dopo la scoperta delle tante favelas sorte in città, chiamano “er baracca”, altro che emulo di Barak Obama. Lui se n’è andato in silenzio, senza voler dare fastidio, e certamente le commemorazioni di maniera, i ritratti di facciata non gli saranno piaciuti, ma il suo dissenso lo ha tenuto dentro di sé, come sempre, con lo stile degli uomini puri ai quali il Padreterno, noi crediamo, al di là delle ideologie, un posto lo riserva sempre.
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