14/12/10

GUERRIGLIA PER LE STRADE DI ROMA, QUEL "SAPORE" DEI LACRIMOGENI L'AVEVO DIMENTICATO


L'avevo dimenticato quell'odore aspro, quel fumo che infiamma gli occhi e toglie il respiro, i lacrimogeni sparati dalla polizia erano il cattivo ricordo dei giorni, dei mesi, degli anni, della sfortunata protesta di Reggio Calabria, la città che si ribellò al grido di "boia chi molla" contro quello che riteneva un grave sopruso, il mancato riconoscimento del titolo di capoluogo di regione.
Nel pomeriggio del 14 dicembre, un giorno che resterà nella storia politica della Nazione, a Roma mi sono sentito come giù a Reggio, quarant'anni fa, nei giorni della rivolta, le cui conseguenze si sono fatte sentire per anni, col Governo sordo ad ogni richiesta, bisognava "punire" quel popolo riottoso che aveva affidato le sue speranze a un piccolo uomo, Francesco Franco, per tutti Ciccio, che la grande Oriana Fallaci non esitò a definire un Masaniello calabrese.
Assieme a Michele Albanese, un caro collega e amico che qualche ora prima aveva superato gli esami per diventare giornalista professionista, avevamo lasciato il ristorante di piazza della Pollarola, a due passi da Campo dei Fiori, tanto caro ad Aldo Fabrizi, dove avevamo festeggiato la meritata promozione, quando ci siamo trovati nel mezzo della bagarre.
L'istinto da cronisti ci ha portato vicino agli scontri, la forza dell'abitudine, apparteniamo entrambi a quella razza ormai quasi estinta di giornalisti di cronaca che, prima di tutto, vanno a vedere da vicino quello che succede, senza farselo raccontare da altri.
Ed è stato in via del Corso, a due passi dal mitico hotel Plaza, che videro le gesta del "ballerino" Gianni De Michelis, che davanti agli occhi mi si è parato lo spettacolo che tante volte, nei giorni caldi di Reggio Calabria, avevo visto, con la polizia che carica con violenza, e le "bombe" lacrimogene spargono il terrore, seminano il panico tra i passanti, tra negozi che chiudono precipitosamente e feriti che scappano, in ospedale ci vanno pochi, proprio come accadeva nella mia città, per non beccarsi una denuncia.
 Improvvisamente, il tempo è come se si fosse fermato, mi sono tornati alla mente luoghi, personaggi, amici del tempo che non ci sono più, la "beata gioventù" che, come dice il poeta, è venuta meno. E allora, proprio come allora, via di corsa, le gambe ancora reggono, mentre alle nostre spalle sull'asfalto della Roma del lusso e dei turisti che scattano foto, battono gli "anfibi" degli agenti.
Lo Stato, in questi casi, se ci si avvicina troppo ai palazzi del potere, mostra la faccia più dura, e sono botte e lacrimogeni. Anch'io, tanti anni fa, come questi giovani che ho visto sfilare a migliaia, credevo negli ideali di giustizia sociale, libertà, rispetto dei diritti, nella politica pulita, e correvo, per sfuggire alla carica dei "celerini".

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