21/01/11

DON ITALO CALABRO' IL PRETE DEGLI UMILI: C'E' CHI LO VORREBBE BEATO

Ci sono persone destinate a lasciare segni importanti ed a essere ricordate dopo la loro scomparsa, anche anni dopo. Nella città poco propensa ad esaltare i suoi figli, siano essi personaggi di spicco, nella politica, nell'arte, nella cultura, confermando il detto latino "nemo propheta in patria", fa eccezione un uomo di Chiesa, un umile parroco che sembra uscito dalla penna del grande scrittore francese George Bernanos, autore de "Il diario di un curato di campagna".
Stiamo parlando di don Italo Calabrò, indimenticabile vicario vescovile che, fino all'ultimo, prima di essere stroncato dal male, non volle abbandonare il suo piccolo gregge d'anime nel paesino sulla collina. Il suo nome resta legato ad innumerevoli iniziative caritatevoli, a favore dei giovani e dei più deboli, degli ammalati e dei carcerati. A differenza dell'abate immortalato da Bernanos, figura tormentata, in cui l'anelito al bene si scontra con la coscienza del male e l'intricato labirinto delle passioni umane, don Italo pose al centro della sua azione pastorale  "fare il bene" non come dovere, ma interpretando i principi evangelici con schiettezza e semplicità.
Recentemente a Calabrò è stato dedicato un volume rievocativo della sua esistenza, che ne tratteggia la figura senza eccessive sbavature, ma illustrandone i lati davvero magici che lo accompagnarono nell'esercizio del ministero sacerdotale.
Don Italo fu per anni punto di riferimento per generazioni di reggini, guida sagace per i giovani che si raccolsero attorno al movimento Agape da lui fondato, ma fu anche impegnato nel sociale senza risparmio di energie, la sua porta era sempre aperta, non c'era amministratore, di qualsiasi ideologia, che non gli chiedesse consiglio. Spesso qualcuno, da me chiamato al telefono, per motivi professionali, mi scambiava con lui, il tono della voce, l'inflessione, mi assicuravano, era simile. Non ne ho mai provato fastidio e una volta, in una delle tante occasioni in cui capitò d'incontrarci, glielo rivelai, ricordo ancora il suo sorriso e l'affettuosa stretta di mano.
Quando la città, per anni, insanguinata da una feroce guerra di mafia, attraversò uno dei momenti più bui della sua storia, non esitò a mettersi in mezzo tra le famiglie contendenti, convincendo le donne ad assistere ad una indimenticabile funzione in Cattedrale, l'una accanto all'altra, anche se i loro mariti, i loro congiunti, avevano sparso sangue e terrore, tanta gente era morta per nulla.
Qualcuno ha timore anche di sussurrarlo, ma è chiaro che chi lo ha conosciuto, e non solo quelli che hanno avuto questo privilegio, auspica una decisione delle autorità ecclesiastiche, l'avvio del processo di beatificazione. Lungi da noi precorrere i tempi, inducendo a frettolose anticipazioni, forse anche dannose, ma conserviamo nel cuore una speranza, che potrebbe tramutarsi in realtà. Don Italo non sarà dimenticato, la sua luce ancora risplende sulla città e i suoi figli che tanto amò.

 

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