17/09/10

QUEL POMERIGGIO D'AUTUNNO IN VIA VENETO, SI', IO MI RICORDO, CARO PIETRO

L'ultima volta che l'ho visto, qualche mese fa a Roma, stava andando a spasso con i suoi amati cani e faceva un pò di fatica nel trattenerli, il male aveva lasciato sul suo viso segni indelebili, ma il sorriso era quello di sempre, gli occhi s'illuminavano quando incontrava un amico e si sedeva accanto a lui su una panchina di Villa Borghese, quello che scherzosamente chiamava il suo nuovo ufficio.
Anche io, da quando vivo nella Capitale, con altri amici emigrati di lusso, come amiamo definirci, ci siamo scelti un luogo per ritrovarci, quasi ogni giorno, nel centro, a pochi passi da Montecitorio. Non mi sono voluto accodare al coro delle rievocazioni e dei necrologi, più o meno sentiti, che hanno inondato giornali e tv dopo la scomparsa di Pietro Calabrese, che avevo conosciuto, ormai tantissimi anni fa, agli esami per diventare giornalisti professionisti, eravamo pochi, in quella sessione autunnale del 1974: avendo i cognomi che cominciavano con la stessa lettera, capitammo vicini, nell'aula allestita nei pressi della stazione Termini.
Ero seduto tra due che sarebbero diventati entrambi direttori del Messaggero, Pietro Calabrese e Mario Pendinelli, ma c'erano anche altri colleghi destinati a brillanti carriere: io e Francesco Faranda arrivavamo dal Sud, praticanti del Giornale di Calabria, il quotidiano attorno al quale si stava formando una nuova classe di giornalisti.
Con Pietro Calabrese scambiammo le impressioni, una volta consegnato il compito, lui ovviamente si buttò sulla politica, io scelsi la cronaca, che mi avrebbe accompagnato per tutta la mia vita professionale.
Il presidente della commissione era un giurista di chiara fama, il calabrese Cesare Ruperto, che sarebbe diventato presidente della Corte Costituzionale, segretario Giuseppe Morello, di origini bagnaresi. Con Calabrese ci ritrovammo agli orali, un magnifico pomeriggio di novembre, lungo via Veneto gli strilloni vendevano il Momento-Sera che annunciava la morte di Vittorio De Sica, allegri per aver superato la prova, andammo a prendere un caffè, assieme ad altri candidati, poi io e Pietro ci accomodammo sulla sedia d'un lustrascarpe (al tempo ce n'erano ancora in attività) con tra le mani il sospirato certificato, da quel momento eravamo professionisti.
Negli anni è capitato pochissime volte d'incontrarci, ma da qualche tempo, da quando aveva preso a pubblicare ogni mese su Prima Comunicazione la sua splendida rubrica, dal titolo "Si, io mi ricordo" era come se tra noi si fosse stabilito un contatto quasi fisico, le affinità elettive esistono, eccome.
Ora che Pietro mi ha fatto la "sorpresa" di andarsene, me lo immagino a passeggio tra le nuvole coi suoi cani, alla ricerca dei tramonti siciliani che tanto lo ispiravano. Sì, io mi ricordo di quel pomeriggio romano, caro Pietro, una delle cose più belle della mia vita.  

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