31/12/17
14/12/17
12/12/17
QUANDO IL MARE PROFUMAVA DI VACANZE
Anni Trenta, da Roma per arrivare a Santa Marinella, bastavano pochi minuti alle poche automobili in circolazione, altrimenti c'era il treno. C'è una famiglia della media borghesia che da qualche anno ci viene in vacanza, quella di Alessandro Zecca, questo posto gli è caro perché gli ricorda la costiera amalfitana, a lui che è di Salerno. Pertanto, appena si presenterà l'occasione, vuole comprare casa e quest'anno, il 1934, sembra quello buono. C'è un villino lungo la via Aurelia che potrebbe fare al caso suo anche perchè a Santa Marinella l'aria è particolarmente salutare e giova tanto ai bambini, quattro, che la moglie Teresa gli ha regalato.
Maria Vittoria Zecca, sposata Casa, la secondogenita, che ha tagliato il traguardo dei novant'anni, ha voluto, con l'aiuto della figlia Maria Cristina, dare alle stampe quello che lei definisce il diario di bordo degli anni spensierati della fanciullezza e della gioventù. Proprio a Santa Marinella conoscerà il futuro marito, Francesco Casa, scomparso qualche anno fa, dopo una brillante carriera di giornalista. Anche i figli Filippo e Giovanni hanno dato il loro contributo perchè questo desiderio dell'anziana madre venisse realizzato. "Quando il mare profumava di vacanze" edito da Vertigo è stato presentato, qualche giorno fa, nel salone della casa vacanze del Don Orione, zona Camilluccia. La descrizione che le autrici (mamma e figlia hanno scelto entrambe di insegnare lettere) fanno di quel villino di Santa Marinella è poetica, rinnovando momenti che hanno segnato la vita d'una famiglia felice: i pranzi a base di pesce, i frutti di mare mangiati crudi, la cassata portata da un amico siciliano, i bagni nel mare cristallino. Un papà che ama vivere alla grande, che sceglie il meglio, dal cibo ai vestiti, ai fiori per il giardino e che trasmetterà ai figli il culto dell'arte, della poesia, della bellezza intesa come senso di pienezza.
Un papà che riempiva la casa con la sua presenza e con le sue piccole manie, quale quella di avere sempre le scarpe lucidissime. Dopo un' infanzia difficile, era diventato dirigente d'una banca e uno studioso di economia, la sua casa era sempre aperta, non solo quella delle vacanze, per i suoi amici e quelli dei suoi figli. La vita spensierata, con i giochi di quell'epoca, senza play station e cellulari, senza computer, sarebbe finita presto con l'arrivo della guerra, i trasferimenti al seguito di papà, gli anni di scuola a "Les Oiseaux" di Roma. Qui Maria Vittoria intraprende il percorso spirituale e un cammino di fede che ha seguito in questa lunga parentesi di vita terrena. Non poteva mancare nel libro un riferimento ai nonni materni, una famiglia che ha avuto un ruolo di rilievo nell'Ottocento salernitano: sindaci, deputati, senatori, professionisti di valore. A Santa Marinella il viaggio comincia e finisce, quando un bambino paffutello che la mamma di Maria Vittoria vede quando va a prendere il figlio a scuola, diventa grande e il destino lo porta tra le braccia della ragazza vicina d'ombrellone, si chiama Francesco Casa. Si sposeranno ma nonno Alessandro i nipoti non li conoscerà mai. In appendice una piacevole parentesi poetica, con le liriche di Maria Cristina, delicate nella loro semplicità.
Maria Vittoria Zecca, sposata Casa, la secondogenita, che ha tagliato il traguardo dei novant'anni, ha voluto, con l'aiuto della figlia Maria Cristina, dare alle stampe quello che lei definisce il diario di bordo degli anni spensierati della fanciullezza e della gioventù. Proprio a Santa Marinella conoscerà il futuro marito, Francesco Casa, scomparso qualche anno fa, dopo una brillante carriera di giornalista. Anche i figli Filippo e Giovanni hanno dato il loro contributo perchè questo desiderio dell'anziana madre venisse realizzato. "Quando il mare profumava di vacanze" edito da Vertigo è stato presentato, qualche giorno fa, nel salone della casa vacanze del Don Orione, zona Camilluccia. La descrizione che le autrici (mamma e figlia hanno scelto entrambe di insegnare lettere) fanno di quel villino di Santa Marinella è poetica, rinnovando momenti che hanno segnato la vita d'una famiglia felice: i pranzi a base di pesce, i frutti di mare mangiati crudi, la cassata portata da un amico siciliano, i bagni nel mare cristallino. Un papà che ama vivere alla grande, che sceglie il meglio, dal cibo ai vestiti, ai fiori per il giardino e che trasmetterà ai figli il culto dell'arte, della poesia, della bellezza intesa come senso di pienezza.
Un papà che riempiva la casa con la sua presenza e con le sue piccole manie, quale quella di avere sempre le scarpe lucidissime. Dopo un' infanzia difficile, era diventato dirigente d'una banca e uno studioso di economia, la sua casa era sempre aperta, non solo quella delle vacanze, per i suoi amici e quelli dei suoi figli. La vita spensierata, con i giochi di quell'epoca, senza play station e cellulari, senza computer, sarebbe finita presto con l'arrivo della guerra, i trasferimenti al seguito di papà, gli anni di scuola a "Les Oiseaux" di Roma. Qui Maria Vittoria intraprende il percorso spirituale e un cammino di fede che ha seguito in questa lunga parentesi di vita terrena. Non poteva mancare nel libro un riferimento ai nonni materni, una famiglia che ha avuto un ruolo di rilievo nell'Ottocento salernitano: sindaci, deputati, senatori, professionisti di valore. A Santa Marinella il viaggio comincia e finisce, quando un bambino paffutello che la mamma di Maria Vittoria vede quando va a prendere il figlio a scuola, diventa grande e il destino lo porta tra le braccia della ragazza vicina d'ombrellone, si chiama Francesco Casa. Si sposeranno ma nonno Alessandro i nipoti non li conoscerà mai. In appendice una piacevole parentesi poetica, con le liriche di Maria Cristina, delicate nella loro semplicità.
02/12/17
10/11/17
08/11/17
Da Calabria.Live.News - A TERNI DOMANI "IL MESTIERACCIO" DI FRANCO CALABRÓ
| ||||||||
03/11/17
FAUSTO D'ORAZIO E AMATRICE, RITORNO AL PRIMO AMORE
E' un periodo fecondo per il noto artista che tra qualche giorno concluderà la sua performance dedicata al paese del Reatino cui lo legano ricordi di vita e esperienze entusiasmanti. Un successo senza aggettivazioni quello che ha accompagnato l'esposizione di lavori, alcuni dei quali appartenenti a collezionisti privati, nelle sale di banca Fideuram Invest a Roma. Un omaggio, questo che D'Orazio ha voluto fare al paese martoriato dal terremoto, dove ha vissuto a lungo e ogni estate regalava ai tanti visitatori, dipingendo all'aperto, scorci di un angolo della Sabina tra i più suggestivi di quella provincia rurale che conserva usi e costumi antichissimi.
Paesaggio del Maestro D'Orazio
Nel mentre la mostra romana volge al termine, Fausto non ha voluto mancare al tradizionale appuntamento con via Margutta, una manifestazione che vede presenti nella strada del centro di Roma nota come la via degli artisti, pittori che non rinunciano, come D'Orazio, a portare fuori dagli atelier i loro lavori, aprendosi al pubblico non solo romano. Anche stavolta Fausto non ha voluto discostarsi da quelle che sono le sue caratteristiche, che ne fanno, come ama definirsi, un "artigiano del colore" con i suoi caratteristici fasci di luce che come sentieri luminosi, attraversano l'opera. Anche le rovine delle case di Amatrice che, autentiche ferite, emanano sentimenti dolorosi, diventano arte viva quasi a voler rinnovare lo strazio di ore di terrore e morte. Amatrice vive e vivrà ancora nelle tele di D'Orazio e sarà la memoria per chi ha perduto tutto tranne la speranza.
28/07/17
SERATA DI GALA PER "IL MESTIERACCIO"
Serata di gala organizzata dal circolo culturale “La belle
époque” e circolo di società “Rosina Caccamo”, che hanno scelto la prestigiosa
location di villa Franca della famiglia Barresi, sul lungomare di Cannitello,
per presentare il libro di recente
pubblicazione, opera del giornalista Franco Calabrò, dal titolo “Il
mestieraccio”. Si tratta del racconto di mezzo secolo di vita da cronista, che
l’editore Santo Strati ha raccolto, passando in rassegna il prezioso archivio
di un giornalista che, lavorando in tante testate, anche prestigiose, ha
arricchito. E partendo da qui che è venuto fuori un affresco dai toni in
chiaroscuro, tra cronaca e personaggi che nel corso degli anni hanno incrociato
la strada di Calabrò. Numerosi i presenti, tra cui il neo sindaco di Villa
Giovanni, Giovanni Siclari, con il vice sindaco Richichi, l’assessore
D’Agostino, l’ex sindaco Rocco Cassone, l’onorevole Giuseppe Caminiti,
impeccabile l’organizzazione curata dall’architetto
Domenico Barresi, splendido anfitrione, con la collaborazione di Maria Giovanna Salzone e del segretario del
Circolo, Nino Carlo.
E’ toccato alla professoressa Maria Rosaria Alampi tracciare il profilo dell’autore richiamando,
attraverso la lettura di alcuni brani, quella che è la linea seguita dallo
scrittore che ha sapientemente mescolato note biografiche alla descrizione di
figure e “figuri” a cominciare da personaggi noti alle cronache anche in campo
nazionale.
Calabrò si è rivolto ai giovani che intendono avviarsi a una
professione che, per quanto in crisi, dovuta al tracollo economico di quasi
tutte le aziende editoriali, resta sempre in cima ai loro desideri. Il
mestieraccio, ha affermato, esercita ancora grande fascino e per chi vuole
intraprendere la carriera di giornalista ci sono strade sicure, che
garantiscono adeguata preparazione, quali le scuole. La cornice di pubblico, in
una serata dalla temperatura gradevole, a due passi dal mare dello Stretto, è
stata notevole, i presenti hanno apprezzato questo incontro con un
professionista che in cinquant’anni di carriera, svolta prevalentemente al Sud,
ha potuto seguire vicende belle e brutte, dai grandi eventi culturali, agli
omicidi eccellenti, ai processi. Per l’occasione, è stato proiettato un breve
filmato realizzato per gli studenti del liceo scientifico Leonardo da Vinci,
che riassume, in un veloce flash back, le ultime ore di vita del magistrato di
Cassazione Antonino Scopelliti. Sulla cui morte non è stata ancora fatta luce.
05/07/17
QUANTO CONTANO CERTE DATE NELLA NOSTRA VITA
Ci sono date importanti nella vita di ognuno di noi e che ci segnano per sempre, sia che prevalga la scaramanzia, e io faccio parte di questa categoria, sia che esse siano legate ad eventi lieti o tristi, a battaglie vinte o perse, a traguardi tagliati, a cocenti delusioni.
5 luglio 1970, a Reggio Calabria è una giornata calda, ma mitigata dal vento dello Stretto, la città è in subbuglio, il sindaco Piero Battaglia ha annunciato che terrà un rapporto alla cittadinanza dopo che da Roma sono arrivate brutte notizie. I parlamentari catanzaresi e cosentini, che a livello nazionale contano più di quelli reggini, che non hanno leader del calibro di Mancini, Misasi, Antoniozzi, Pucci e via discorrendo, hanno trovato, sulla testa dei reggini, un accordo che prevede l’assegnazione del ruolo di capoluogo di regione, un “pennacchio” si dice, ma che per i reggini conta, eccome, a Catanzaro, dove avrà casa la giunta regionale mentre il Consiglio, con un insolito compromesso, si riunirà a Reggio. Per addolcire la pillola, difficile da mandare giù, alla provincia reggina andrà il quinto centro siderurgico da allocare nella Piana di Gioia Tauro, migliaia di posti di lavoro. Cosenza avrà e l’avrà, una università modello americano sulla collina di Arcavacata. Il popolo reggino, tradizionalmente poco propenso a fare la guerra campanilistica e che vede nella neonata Regione il toccasana di tutti i mali, primo tra tutti la disoccupazione, sarebbe anche disposto ad accettare quanto i big della politica hanno deciso durante una cena alla “Vigna dei cardinali”. Ma ad accendere la miccia è Battaglia che sale sul palco di piazza Duomo con accanto i rappresentanti di tutti i partiti e anche quei consiglieri regionali che, in dissenso dai loro partiti, non intendono acconsentire a un istituto regionale diviso a metà. La destra, fino al momento, preferisce attendere le valutazioni del partito a livello nazionale, ma non ha fatto i conti con un modesto sindacalista della Cisnal, un missino fuori norma, che si chiama Francesco Franco, per tutti Ciccio. E fu così che cominciò quella rivolta che, nella fase iniziale, vide partecipi personaggi di ogni colore politico ma che a Roma venne bollata come una sollevazione di stampo fascista.
Saranno due anni di barricate, arresti, morti, feriti, attentati, fino a quando il presidente del Consiglio, Emilio Colombo, davanti al Parlamento, giurò che Reggio avrebbe avuto il Centro siderurgico e altre industrie proprio in città dove qualche anno prima, Fanfani aveva inaugurato le Omeca, fabbrica di carrozze ferroviarie; assieme al Compartimento delle Ferrovie, la fonte di lavoro per centinaia di reggini. Come è finita ormai fa parte della storia, tanti miti sono caduti, la polvere dell’oblio seppellisce tutto tranne la memoria di chi per la città ha combattuto, ha sostenuto il carcere e i processi, in cambio di nulla.
5 luglio 2004, clinica villa Mafalda ai Parioli, nasce il mio primo nipote, Santiago. Diventavo nonno e rammento la grande emozione del momento in cui un’infermiera entrò nella stanza dove eravamo in ansiosa attesa, e annunciò: è un bambino bellissimo, ed era vero. Ogni tanto riguardo la foto, nei miei occhi si legge una gioia incontenibile e il sorriso di mia moglie dice tutto, lui, con tanti capelli, dorme placido. Ora è un giovanottino, con tanti interessi e una particolare predilezione per l’informatica e il cinema. Tra qualche giorno andrà con altri ragazzi di tutta Italia a Giffoni, quale componente della giuria del film festival ormai diventato un appuntamento internazionale. 5 Luglio, anche oggi fa molto caldo, come quella sera in cui i reggini si scrollarono da dosso il giogo della prepotenza dei politici e scesero in piazza. Faceva caldo anche 34 anni dopo quando in famiglia arrivava Santiago che, nel tempo, è stato affiancato da due cuginetti, Vittoria e Francesco jr. Potenza dei numeri, non sarà vero ma io ci credo.
10/06/17
08/06/17
05/06/17
Da giornalistitalia.it
Nel volume del giornalista calabro-laziale l’esperienza di 50 anni da cronista di strada
“Il mestieraccio” raccontato da Franco Calabrò
ROMA
– Il mestiere più bello del mondo, quello del giornalista, alla fine è
un “mestieraccio”, anche se poi non lo si cambierebbe per tutto l’oro
del mondo.
Franco Calabrò, giornalista di lungo corso con l’esperienza di 50 anni da cronista di strada, spulciando dai suoi preziosi e riservatissimi taccuini traccia un affresco quanto mai suggestivo e affascinante del mestiere. Dagli scoop al lavoro di desk, dagli incontri agli scontri con persone, personaggi e luoghi che hanno lasciato il segno.
Ne esce fuori “Il mestieraccio” (Media&Books editore, pagine 224, euro 16, anche in e-book su Google Play e Amazon Kindle), un racconto palpitante e senza dubbio coinvolgente su com’è cambiato il lavoro di giornalista e quanto sia difficile, oggi più di ieri, fare questa professione che richiede ancora passione, dedizione e tanti sacrifici.
È una galleria di giovani giornalisti che hanno saputo conquistare le vette della professione, con posizioni di alto prestigio, ma è anche la storia di tantissimi altri che, nel corso degli anni, hanno continuato con convinzione e determinazione, senza clamori o scoop, a fare onestamente e degnamente il mestiere di comunicare ai lettori, gli unici loro veri padroni.
Franco Calabrò, giornalista di lungo corso con l’esperienza di 50 anni da cronista di strada, spulciando dai suoi preziosi e riservatissimi taccuini traccia un affresco quanto mai suggestivo e affascinante del mestiere. Dagli scoop al lavoro di desk, dagli incontri agli scontri con persone, personaggi e luoghi che hanno lasciato il segno.
Ne esce fuori “Il mestieraccio” (Media&Books editore, pagine 224, euro 16, anche in e-book su Google Play e Amazon Kindle), un racconto palpitante e senza dubbio coinvolgente su com’è cambiato il lavoro di giornalista e quanto sia difficile, oggi più di ieri, fare questa professione che richiede ancora passione, dedizione e tanti sacrifici.
È una galleria di giovani giornalisti che hanno saputo conquistare le vette della professione, con posizioni di alto prestigio, ma è anche la storia di tantissimi altri che, nel corso degli anni, hanno continuato con convinzione e determinazione, senza clamori o scoop, a fare onestamente e degnamente il mestiere di comunicare ai lettori, gli unici loro veri padroni.
In 50 anni di “mestieraccio” Franco
Calabrò ha incontrato grandi personaggi: politici e manager, mafiosi e
capibastone, vittime e carnefici, legati alla cronaca e diventati, in un
modo o nell’altro personaggi. Che la penna di Calabrò ci riporta
all’attenzione, con vividezza e meticolosità e la pignoleria del vecchio
cronista che consumava le scarpe. Un libro gradevole, lo specchio
di
dieci lustri della nostra storia recente, che farà piacere
ripercorrere
e riscoprire.
Franco Calabrò, nato a Rieti, ma vissuto per tanti anni a Reggio Calabria, prima di stabilirsi definitivamente a Roma, è un giornalista professionista, iscritto all’Ordine dal 1967. Ha iniziato alla Tribuna del Mezzogiorno, finendo la carriera alla Gazzetta del Sud. Ha lavorato al Corriere Mercantile, Il Giornale di Calabria, Oggisud, Agenzia Ansa, e ha collaborato con Il Giorno e i settimanali Oggi e Panorama e con le rubriche tv Linea diretta e Telefono Giallo. (giornalistitalia.it)
Franco Calabrò, nato a Rieti, ma vissuto per tanti anni a Reggio Calabria, prima di stabilirsi definitivamente a Roma, è un giornalista professionista, iscritto all’Ordine dal 1967. Ha iniziato alla Tribuna del Mezzogiorno, finendo la carriera alla Gazzetta del Sud. Ha lavorato al Corriere Mercantile, Il Giornale di Calabria, Oggisud, Agenzia Ansa, e ha collaborato con Il Giorno e i settimanali Oggi e Panorama e con le rubriche tv Linea diretta e Telefono Giallo. (giornalistitalia.it)
02/06/17
Pubblicato “Il Mestieraccio”, i 50 anni di vita professionale di Francesco Calabrò
Posted by Redazione Cosenza Channel
E’ il mestiere più bello del mondo, quello del giornalista, ma secondo l’autore – con l’esperienza di 50 anni da cronista di strada – alla fine è un “mestieraccio”, anche se poi non lo si cambierebbe per tutto l’oro del mondo.
Franco Calabrò, giornalista di lungo corso – spulciando dai suoi preziosi e riservatissimi taccuini – traccia un affresco quanto mai suggestivo e affascinante del mestiere. Dagli scoop al lavoro di desk, dagli incontri agli scontri con persone, personaggi e luoghi che hanno lasciato il segno.
Ne esce fuori un racconto palpitante e senza dubbio coinvolgente su com’è cambiato il lavoro di giornalista e quanto sia difficile, oggi più di ieri, fare questa professione che richiede ancora passione, dedizione e tanti sacrifici.
E’ una galleria di giovani giornalisti che hanno saputo conquistare le vette della professione, con posizioni di alto prestigio, ma è anche la storia di tantissimi altri che, nel corso degli anni, hanno continuato con convinzione e determinazione, senza clamori o scoop, a fare onestamente e degnamente il mestiere di comunicare ai lettori, gli unici loro veri padroni.
In 50 anni di “mestieraccio” Franco Calabrò ha incontrato grandi personaggi: politici e manager, mafiosi e capibastone, vittime e carnefici, legati alla cronaca e diventati, in un modo o nell’altro personaggi. Che la penna di Calabrò ci riporta all’attenzione, con vividezza e meticolosità e la pignoleria del vecchio cronista che consumava le scarpe. Un libro gradevole, lo specchio di dieci lustri della nostra storia recente, che farà piacere ripercorrere e riscoprire. Attualmente è presente sulle piattaforme Kindle e Google Play e su Amazon, in attesa dell’uscita cartacea.
Iscriviti a:
Post (Atom)