Saverio "Saro" Mammoliti |
Saro Mammoliti, si riparla di lui dopo la decisione di riconsegnarsi alla giustizia. Si era allontanato da una località del Lazio dove, da pentito, stava scontando ai domiciliari una pesante condanna per estorsione. Da una decina d'anni, l'ex play boy di Castellace ha, come si suol dire, saltato il fosso diventando un collaboratore di giustizia ritenuto credibile, al punto da godere dei benefici che la normativa prevede per coloro i quali, dopo aver ricoperto ruoli di primo piano all'interno delle organizzazioni criminali, decidono di collaborare.
Ancora non si sa il motivo che lo ha indotto ad allontanarsi dal suo rifugio protetto e tornare in Calabria, in quello che una volta era il suo territorio, dove ha potuto fare una lunghissima latitanza. Oggi, leggendo le cronache che lo riguardano, ho avuto modo di vedere anche una delle ultime foto segnaletiche che ci consegnano un uomo che dimostra più dei suoi settantadue anni, molti dei quali passati in galera.
Il mio incontro con lui risale al 1980 quando il boss, ricercato da tutte le polizie d'Europa, e anche oltre Oceano, visti i suoi contatti con personaggi di Cosa Nostra e della mafia americana e canadese, decise di concedere una intervista a due giornalisti, il sottoscritto, allora redattore del Giornale di Calabria, e Giampaolo Rossetti, del settimanale Oggi, col quale anch'io collaboravo.
La troupe d'una televisione francese da giorni cercava un contatto con Saro, offrendo anche un lauto compenso, ma lui, grazie ai buoni uffici del suo legale dell'epoca, Domenico Alvaro, del Foro di Palmi, si convinse ad incontrarci. Rossetti, scomparso qualche anno fa quando era diventato vice direttore del TG5, visse praticamente una settimana in Calabria, e ogni notte, partivamo senza una destinazione, basandoci su indicazioni generiche che Alvaro ci dava, da una parte all'altra della Piana, con lunghe soste in bar, piazze e luoghi sperduti dove, però, il nostro uomo non si faceva vivo.
In giro si respirava l'aria del Natale, dalle case veniva fuori il profumo dei "petrali" dolci caratteristici che le massaie preparano per le Feste. Poi, ad un tratto, un ragazzo, a bordo d'una moto, un cenno col capo e noi dietro, su un'auto che avevano preso a noleggio. Arrivati nei pressi di Castellace fummo invitati a lasciare la macchine nel fitto di un agrumeto, non visibile dalla strada. E lui arrivò, sorridente, in giacca di pelle e scarponcini, pantalone di velluto. Il fotografo, credo si chiamasse Dolcetti, scattò subito e continuò a farlo anche quando Saro c'invitò ad accomodarci attorno a un improvvisato focolare, sotto una rudimentale tettoia, era questa la scena che aveva preparato, novello teatrante, per l'incontro-racconto che un paio di giorni dopo venne fuori su Oggi e sul quotidiano diretto da Piero Ardenti, uno scoop sensazionale, che fece morire di rabbia i colleghi di altri giornali che, non avendo null'altro da dire, tra una crisi biliare e un'altra, scrissero che io e Rossetti eravamo due favoreggiatori della 'ndrangheta. A me venne una sola risposta da dare, quella di Humprey Bogart, nelle vesti di cinico cronista americano: "E' la stampa bellezza!".
Quell'incontro, cui ne seguì qualche altro, senza intervista però, resta uno dei più emozionanti della mia lunga carriera di cronista, poi Saro l'ho perso di vista, ma ne ho seguito i movimenti attraverso le cronache e non nascondo di essere rimasto colpito dalla decisione di diventare un collaborante, un infame. Qualcuno mi ha detto che c'è di mezzo il cuore dell'ormai anziano play boy, una giovane donna diventata poi la sua compagna, lo avrebbe indotto a compiere un passo tanto difficile. Se così è stato, non me la sento di condannarlo, gli auguro che gli anni che gli restano possa goderseli in libertà accanto all'ultimo amore.
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