Vivere è ricominciare la vita ad ogni istante. Non si tratta di uno slogan o di una frase buttata giù per voler sottolineare come in questi tempi difficili sia faticoso cominciare le proprie giornate.
Sono i versi di una delle liriche che monsignor Giuseppe Liberto, uomo di Chiesa e insigne musicista, direttore della cappella musicale pontificia "Sistina" ha affidato alle sue più recenti produzioni artistiche. Ho avuto la fortuna, del tutto casualmente, grazie ad una amicizia fatta durante l'udienza papale del mercoledì,di entrare in possesso de "La luce che insegue l'aurora" e "Sui prati della sera" nei quali Liberto ha riunito , come fiori raccolti in un campo a primavera, quelle che lui stesso definisce meditazioni poetiche.
Sono poesie frutto d'una meditazione che accompagna la vita di un uomo che, mettendosi al servizio della Fede cristiana, non ha abbandonato il grande amore per la musica, il canto. E come fa quando trasferisce sul pentagramma le sue idee che diventano musiche sublimi, scrive versi che raccontano le meraviglie del creato, cose semplici come il canto degli uccelli, il tramonto, il freddo degli inverni, i fiori che sbocciano prepotenti sotto il primo sole.
Giuseppe Liberto vive queste emozioni con un candore che meraviglia, diremmo quasi infantile, se non fosse per la profondità intellettuale che da queste liriche, fatte a volte di poche ma intense righe, promana.
Spesso preghiera e canto s'incontrano, come la cruda realtà si trova a confronto col mistero della Fede. Nel caso del Nostro, poeta e musicista, amante dell'arte e della natura, questo rapporto quasi simbiotico non poteva che sfociare nelle sue liriche, un sublimato di leggerezza, come foglie portate via dal vento e che non si sa dove vadano a finire. Resta il piacere d'una lettura che è nello stesso tempo gioia e soddisfazione, perchè la poesia è anch'essa vivere, al di là di ogni confine.
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