Andrea Camporese presidente Inpgi |
L'Inpgi, istituto di previdenza dei giornalisti italiani "Amendola", è una delle realtà più solide, in varie occasioni si è cercato di annettere allo Stato quella che per anni è stata una gallina dalle uova d'oro, con bilanci in grande attivo, consistente patrimonio immobiliare, organizzazione territoriale efficiente.
Per i lavoratori della carta stampata, siano essi pubblicisti o professionisti, rappresenta la garanzia di pensioni adeguate, di assistenza ai disoccupati, la possibilità di ottenere mutui e prestiti a tassi agevolati, alloggi, insomma il porto sicuro per chi svolge questa professione.
I giornalisti, per difendere questa loro creatura, hanno dovuto anche scioperare contro l'iniziativa di qualche governo che avrebbe voluto gettare l'Inpgi nel gran calderone dell'Inps. Anche per quest'anno, come puntualmente gli iscritti vengono informati sia tramite la rivista che sul sito internet, il bilancio si è chiuso con cifre importanti alla voce attivo, le annualità di pensione per i prossimi trent'anni sono assicurate ma, come il presidente Andrea Camporese non ha mancato di sottolineare in più occasioni, il rischio è dietro l'angolo.
La grave crisi che investe il mondo dell'editoria (ultimo, clamoroso, esempio, quella di Gazzetta del Sud, considerata fino ad ora un colosso dell'informazione nel Mezzogiorno) non può non avere riflessi sul bilancio Inpgi. Pre pensionamenti, disoccupazione in crescita, ricadono sulle casse dell'Istituto e non si riesce ancora a immaginare quando questa emorragia di lettori si arresterà e la pubblicità tornerà copiosa sulle pagine dei quotidiani.
Non è difficile prevedere che, tra qualche anno, se non ci sarà una decisa inversione di tendenza, la situazione finanziaria dell'Inpgi potrebbe diventare difficile con conseguenze al momento non ipotizzabili. Nella nostra categoria, sia tra i colleghi in attività che tra quelli in pensione, e che per decenni hanno alimentato coi loro versamenti il patrimonio dell'Istituto, regna un diffuso malessere. Perchè, ci si chiede, dobbiamo pagare anche noi per gli errori di editori improvvisati, di scelte editoriali sbagliate, di giornali che perdono ogni giorno copie e non riescono più a intercettare gli umori e i desideri della gente. Eccesso di politica, spesso in direzione dei soliti personaggi magari legati personalmente a giornalisti che "fanno" la cronaca politica, scarso interesse per i veri problemi delle città, dei giovani, del mondo del volontariato.
Pertanto, dalla sera alla mattina, spuntano i bilanci in grave perdita, gli annunci di esuberi, cassa integrazione, mobilità interna. Giornali che già non sono di gradimento, ridotti nelle risorse umane e magari anche di spazi, come potranno risalire la china?.
Ora è troppo tardi, certe scelte andavano fatte anni fa, quando il mondo, dopo l'11 settembre, cominciava a girare diversamente e il web portava nelle case un fiume di notizie, un'autentica rivoluzione che ha trovato impreparati vecchi "padroni del vapore" e direttori ormai anchilosati dietro le loro scrivanie, mentre nelle redazioni, con stipendio sicuro, ognuno ha tirato, come si suol dire, i remi in barca. Adesso si paga un conto pesantissimo e le colpe altrui ricadono, purtroppo, su chi lavora e vede in pericolo il futuro per se stesso e la famiglia. Al presidente Camporese mi permetto, umilmente, da collega, di stare ben attento, prima di concedere l'avvio di stati di crisi che finiscono col ricadere su chi non ha colpa.
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