29/04/11

UN LIBRO RACCONTERA' LE GESTA DI SANTILLO, QUESTORE-SCERIFFO IN DOPPIOPETTO


Uno scorcio dell'Aspromonte dove si tenne il summit di Montalto
Due giovani colleghi di Sky, Paolo Volterra e Max Giannantoni, ci stanno lavorando da tempo: presto dovrebbero mandare alle stampe un libro nel quale raccontano la vita e le gesta di un poliziotto dal nome illustre, Emilio Santillo, mitico questore di Reggio Calabria, che legò il suo nome alla "gestione" della rivolta scoppiata nella città calabrese dopo l'assegnazione del "pennacchio" di capoluogo a Catanzaro.
La notizia, che mi è stata data dai diretti interessati, non può che avermi fatto enorme piacere, avendo vissuto, in prima persona, da cronista ancora alle prime armi in una città di frontiera, quella che, senza troppa enfasi, potremmo definire l'epopea di Santillo.
Quando venne destinato a Reggio Calabria, Emilio Santillo, vaga somiglianza all'attore americano Clark Gable, veniva da Roma dove si era distinto per alcune brillanti operazioni contro la mala capitolina ed aveva dimostrato il suo valore anche in occasione di manifestazioni di piazza, come a Porta San Paolo. Questa esperienza gli sarebbe stata utile a Reggio quando, ai primi giorni di luglio del 1970, la città reagì a quello che riteneva un sopruso, l'assegnazione del titolo di capoluogo di regione a Catanzaro. Le prime elezioni regionali si erano svolte da un mese e la piazza venne infiammata da un discorso tenuto dal sindaco democristiano Piero Battaglia, circondato dai rappresentanti della classe politica reggina, alcuni dei quali in seguito si sarebbero dissociati dalla protesta, scegliendo di obbedire agli ordini dei partiti.
Per due anni la città fu in mano ai rivoltosi, che avevano scelto come loro guida un sindacalista della Cisnal, il missino Francesco "Ciccio" Franco che con la sua oratoria riusciva a mobilitare i "boia chi molla".
Santillo, che da Roma riceveva disposizioni severe, reprimere ad ogni costo questi moti popolari, mentre il Governo cercava una soluzione, diresse la questura senza perdere mai la testa, neppure quando i dimostranti assaltarono il grigio edificio di via dei Correttori, a due passi da piazza Duomo. Se qualcuno avesse sparato un solo colpo, sarebbe stata una strage.
Santillo era già assurto agli onori delle cronache nell'autunno di un anno e mezzo prima, quando, dopo un mancato comizio del principe Junio Valerio Borghese, l'eroe della Decima Mas, qualcuno lanciò bombe a mano contro un'auto della polizia.
In quella stessa notte, un manipolo di poliziotti e carabinieri, risaliva i tornanti dell'Aspromonte, diretti a Montalto, presso Gambarie dove, stando ad una "soffiata" ricevuta dallo stesso Santillo, i rappresentanti delle famiglie mafiose di tutta la provincia avrebbero tenuto un summit.
Quando gli uomini di Santillo arrivarono, nel fuggi fuggi generale, sparando in aria, ne catturarono parecchi, altri vennero identificati grazie alle targhe delle auto abbandonate sul posto. Manette ai polsi anche al "presidente" del summit, un anziano capobastone, Giuseppe Zappia, assiso su un "trono" fatti con i sassi.
E fu in questa occasione che Santillo, anche se non ha mai voluto ammetterlo, "inventò" la storia degli incappucciati di Montalto, i misteriosi personaggi, forse politici, che avevano partecipato all'Appalachin calabrese e che erano stati fatti fuggire. Per giorni e giorni la stampa nazionale stette, come si dice, sul pezzo, Santillo offriva sigari e cognac, il mistero degli incappucciati rimase tale, gli inviati andarono via, lui fece un balzo nella carriera, diventando il capo dell'Antiterrorismo.
Ai due giovani colleghi, che mi hanno chiesto una testimonianza personale per il loro lavoro, sarò ben lieto di offrire il mio modesto contributo per ricordare la figura di un grande uomo di legge che ho avuto l'onore di conoscere.

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