22/11/10

SCANDALO AD ARCHITETTURA, I SILENZI DI GIOVANNINI. LO SFOGO DI GRATTERI CONTRO I NUOVI PROFESSIONISTI DELL'ANTIMAFIA


Una delle sedi dell'università mediterranea di Reggio
Ci sono giorni in cui la lettura dei giornali e la visione di alcune trasmissioni in tv ti mettono di cattivo umore. Ma ci sono anche giorni, per fortuna, che ti ripagano con notizie degne di tal nome e programmi che lasciano un segno.
Tutti siamo a conoscenza di quanto sta accadendo alla Facoltà di architettura della nostra università, ancora purtroppo "colonia" romana, dopo che è stata portata alla luce la presenza di personaggi della 'ndrangheta in grado di condizionare la vita accademica e ottenere esami in cambio merce e soprattutto veloci, pochi giorni per superarne addirittura nove.
Ero rimasto di stucco dopo aver ascoltato l'intervista rilasciata dal rettore Giovannini, col solito maglioncino alla Berlusconi nei giorni di festa, al collega Pietro Melia della Rai, che peraltro abbiamo trovato insolitamente piuttosto "morbido" nei confronti del magnifico che pareva Alice nel paese delle meraviglie.
Mi sono ripreso, però, dopo aver letto su "Zoomsud", a firma di Aldo Varano, cui mi lega un'antica amicizia, un pezzo davvero pregevole col quale ha espresso giudizi e convincimenti che faccio miei sul comportamento del Rettore, come se ci si trovasse di fronte ad un fastidioso contrattempo, e non a episodi, ancora non del tutto rivelati (ricordiamo che l'indagine è tutt'altro che conclusa) di pesanti infiltrazioni di esponenti d'una cosca sanguinaria in grado, attraverso meccanismi corruttivi, di superare agevolmente percorsi che ad altri costano giorni e giorni di studio e sacrifici.
Nessuno si sogna di fare, come si suol dire, di tutta l'erba un fascio: ho conoscenza personale di docenti e funzionari della Mediterranea che sono lontani anni luce da qualsivoglia contatto "sporco" e da condizionamenti di ogni genere.
Ma il magnifico rettore, come giustamente sottolineato da Varano, non può credere di rivolgersi ai reggini, dagli schermi del servizio pubblico, come se si trattasse di gonzi. Se lo scandalo, come da più parti si prevede, dovesse allargarsi, sarebbe lui a dover trarre le conseguenze. Ma questo lo vedremo presto.
L'altra cosa che mi ha particolarmente colpito, anche perchè su questo argomento ho avuto occasione di esprimermi, sia nel mio modesto blog, che in altre sedi, è la "requisitoria" a La 7 del magistrato-scrittore Nicola Gratteri contro i novelli professionisti dell'antimafia, improvvisati super esperti della materia, gente che magari, nella vita, se non avesse deciso di sfruttare il momento, non sarebbe riuscito a combinare nulla di buono.
Colleghi che per anni si sono occupati di ben altre cose, utilizzando il peso delle testate che li ospitano per interessi personali e "sistemazioni" di mogli, figli e amanti, dalla sera alla mattina sono diventati assidui frequentatori delle Procure pontificando con editoriali e "riflessioni" ricche di luoghi comuni e, purtroppo, in qualche caso (ma Pignatone e compagni non sono allocchi) lanciando messaggi trasversali.
Gratteri, e su questo non posso che essere d'accordo con lui, si è rotto i cosiddetti e ha lanciato il suo anatema: basta con questi dilettanti dell'antimafia che hanno trovato il modo non solo di compiere "salti" di carriera e firmare su giornali importanti che, altrimenti, li avrebbero relegati alle cronache di paese, ma in certi casi anche di guadagnarci.
E' il momento che la 'ndrangheta "tira", ha osservato Gratteri che sarà anche lui, come me, nauseato nel leggere le elucubrazioni, sempre antimafia, mi raccomando, di personaggi che con la 'ndrangheta hanno sempre convissuto e che ora, grazie a lei, si riempiono le tasche.
La libertà del web ci consente di esprimerci, per grazia di Dio, e non siamo i soli fortunatamente a pensarla in un certo modo.

16/11/10

IL RICORDO DI CICCIO FRANCO ANCORA VIVO NELLA MEMORIA DEL POPOLO CHE LO SEGUI' NELLA BATTAGLIA PER IL CAPOLUOGO


La stele che ricorda Ciccio Franco sul Lungomare
Ogni tanto qualcuno si "diverte" ad imbrattare una stele che sul lungomare intitolato ad Italo Falcomatà ricorda Francesco Franco, detto Ciccio, consigliere comunale missino, poi senatore per diverse legislature, ma da tutti conosciuto come il leader della cosiddetta rivolta di Reggio Calabria che, all'inizio degli anni Settanta, portò alla ribalta delle cronache nazionali la città dello Stretto. Adesso, a distanza di quarant'anni, la rivolta di popolo dopo lo "scippo" del capoluogo di regione, viene rivisitata dagli storici e dai saggisti d'ogni orientamento politico e anche la figura di quello che all'epoca venne considerato un capopopolo, un facinoroso, addirittura un eversore, viene vista sotto una luce diversa.
Maggio 1972, elezioni politiche, Ciccio Franco viene eletto senatore, con un autentico plebiscito, la città porta ancora i segni delle ferite inferte da mesi e mesi di disordini, con morti, centinaia di feriti e arrestati, danni per miliardi. Lo Stato scelse la strada della repressione, il Governo, presieduto da Emilio Colombo, illuse la gente col miraggio delle industrie, della fine d'una emarginazione del Sud del Sud, in particolare di Reggio e della sua provincia.
Il miraggio è rimasto tale e ancora si attende che chi ci governa, a tutti i livelli, faccia il "miracolo" di portare lavoro, per togliere migliaia di giovani dalla strada, facili prede delle organizzazioni criminali, senza che essi debbano far ricorso ai potenti di turno, ai professionisti delle clientele, per far valere i loro diritti .
Ciccio Franco quando scese sulle barricate, soffrì il carcere e la latitanza, non lo fece certamente per tornaconto personale, anche se fu il popolo a mandarlo a Roma. Lui era sempre stato, e lo fu fino alla sua prematura scomparsa, minoranza, dentro e fuori il suo partito, certamente un personaggio scomodo che rifiutava i compromessi, che amava parlare direttamente agli umili, agli indifesi, ai perseguitati, sempre pronto ad offrire aiuto a chi ne aveva bisogno.
Fino all'ultimo ha condotto un'esistenza modesta, circondato dall'affetto di pochi veramente amici: la sua morte ha scavato un vuoto enorme, ancor oggi il ricordo è vivissimo, la gente si raduna accanto alla stele profanata da qualche stolto, ma che col tempo è diventata un punto di riferimento per tante coscienze.
Il mio ricordo personale è fermo a quella sera di primavera in piazza Italia, ribollente di passione: Ciccio uscì dalla prefettura e fu letteralmente inghiottito dalla folla, piccolo com'era non lo vedemmo più, era ciò che voleva, il movimento dei "boia chi molla" finiva in quel momento e la storia voltava pagina. 
C'è chi vorrebbe, a distanza di anni, riappropriarsi di quel motto, ma Ciccio Franco non c'è più per rivendicarne sdegnato l'esclusiva proprietà, come avrebbe fatto con impeto e coraggio. Nessuno potrà mai essere come lui. 

10/11/10

GILBERTO PERRI, UNA VITA AL SERVIZIO DELLO STATO E DELLA FEDE OLTRE OGNI SACRIFICIO, IN TANTI LO PIANGONO


Gilberto Perri fotografato da Rosario Cananzi
Gilberto Perri, più che un amico un fratello, come amava definirmi, dopo anni di  frequentazione, lui uomo dello Stato, al servizio della Polizia, con ruoli importanti, tra momenti d'esaltazione e profonde amarezze, al punto da lasciare la divisa, alle soglie della promozione a questore, per dedicarsi totalmente alla "sua" Chiesa, la comunità "Gesù Cristo è il Signore" di Gallico.
Ormai sono trascorsi tanti anni da quel giorno che, giovane cronista, andavo a trovarlo nel suo ufficio alla Stradale, sempre a caccia di qualche notizia; lui mi accolse dal principio con un sorriso che apriva il cuore, ed è stato così sempre, fino al nostro ultimo incontro il 4 novembre scorso, poche ore prima che il Divino lo chiamasse a sè, forse ne avrà avuto bisogno lassù.
Il male lo aveva aggredito nuovamente, dopo la piacevole illusione che aveva convinto anche me, Gilberto ancora una volta ce l'aveva fatta, gli amici della comunità avrebbero avuto ancora in lui un fondamentale punto di riferimento. Ma non è stato così: quel giorno, salutandomi con un filo di voce, aveva voluto, come al solito, regalarmi qualcosa, non sono mai riuscito a farlo desistere da questo suo affettuoso proposito. Ora osservo questo dono, lo conserverò come una reliquia, il gesto d'amore d'un amico che ho perso troppo presto.
La comunità di Gallico, attorno alla quale nel tempo si sono raccolte centinaia di persone ("hai creato dal nulla un impero" ero solito dirgli, e sapevo che la cosa gli faceva piacere) piange la scomparsa del leader carismatico, dell'uomo che alla predicazione, all'esempio costante di ministero religioso attuato ora dopo ora, giorno dopo giorno, faceva seguire i gesti concreti.
Sono nate tante cooperative di lavoro, un centro di protezione civile, una rivista, ma il fiore all'occhiello era per Gilberto l'Istituto per la Famiglia, che a Gallico ha la sua sede nazionale e che è riuscito, per la sua attività sul territorio, ad ottenere il prestigioso premio Fivol.
Negli ultimi anni, affiancato da personaggi storici della comunità, come Demetrio Amadeo, Massimo Ripepi, Tony Moscato, solo per ricordarne alcuni, i progetti erano diventati ambiziosi, grazie anche all'utilizzo di terreni e beni immobili sequestrati alle organizzazioni mafiose e concessi dal Comune. Un ostello, un centro congressi, una clinica, una casa di riposo, esercizi commerciali, agenzie turistiche, team di progettisti.
"Il mio sogno, era solito dire, è di poter dare ogni mese milla buste paga".
Adesso il testimone passa nelle mani di quelli che possono essere considerati gli anziani della comunità di Gallico Marina: tutto è partito da un piccolo capannone, negli anni trasformato in sede prestigiosa, una vera e propria fucina d'idee e d'iniziative.
Gilberto è sempre lì, pare di vederlo, o seduto nei pressi del piccolo bar, oppure nel suo ufficietto, intento a smanettare sul computer, assistito da Doriana, che ha amato come figlia e che gli è stata accanto fino all'ultimo.
Il pastore ha lasciato il suo gregge, ma non andrà smarrito il grande patrimonio che, in questi anni, Gilberto Perri, ha creato, una pietra sull'altra, seminando amore, rispetto per gli ultimi, dando preziosi insegnamenti di vita. Ho perso un amico, ma non la lezione di vita che ha saputo darmi, non sarà facile rassegnarsi. 

02/11/10

TUTTO SOMMATO PREFERISCO IL BUNGA BUNGA ALLE BUGIE DI GIANFRANCO FINI


Villa Certosa, la residenza sarda di Silvio Berlusconi
Sono i giorni del ricordo di chi ci ha preceduto nel viaggio senza ritorno, momenti di preghiera e riflessione sulla caducità dell'uomo, mi tornano in mente i versi del grande Ungaretti "stiamo come le foglie sugli alberi d'autunno".
Sono i giorni dell'acuirsi della crisi politica, del duello quotidiano tra il premier Berlusconi e Gianfranco (o Gianfregnone, come ama definirlo Dagospia) Fini, la corsa a chi arriva per primo a staccare la spina a un annaspante Governo alle prese con una crisi globale che sta creando seri problemi anche agli Usa, con Obama pronto a diventare, come si dice da quelle parti, un presidente "azzoppato" dopo le elezioni di metà mandato.
Una cosa è certa: aprire una crisi di governo in questo momento sarebbe quanto di più deleterio, probabilmente daremmo il colpo fatale ad un Paese che attraversa uno dei momenti più difficili dal dopoguerra in poi. Chiunque se ne assume la responsabilità deve rendersi conto che potrebbe favorire il disegno eversivo di chi vorrebbe approfittare per far rinascere i movimenti terroristici dei cosiddetti anni di piombo.
E' vero: tra il Bunga Bunga, i festini a luci rosse, le gravi ingenuità commesse nel caso della giovanissima marocchina Ruby, la gente è disorientata, l'immagine dell'Italia all'estero appare sporcata, la credibilità del premier, ad onta dei sondaggi più o meno affidabili, segna un netto calo. Berlusconi cercherà il colpo d'ala, la mossa a sopresa per recuperare la fiducia popolare, ma con le finanze che Tremonti può mettergli a disposizione c'è poco da fare. Senza soldi nessun regalo agli italiani è possibile, neppure quello, che sarebbe assai gradito, della detassazione, anche se non totale, delle attese tredicesime.
Non voglio certo iscrivermi nell'elenco già numeroso di coloro che fanno i difensori ad oltranza del nostro presidente donnaiolo, anche se ritengo fondamentale il diritto di ognuno di noi, entro le mura domestiche, di disporre a piacimento della sua privacy.
Questo vale per i cittadini comuni, per chi ha la responsabilità di guidare il Paese, ma anche per i parlamentari, i presidenti di Regione, di Province, i sindaci, di tutti i politici in genere, la cosa è diversa.
Comunque, miei affezionati lettori, io la penso così: preferisco decisamente il Bunga Bunga alle bugie del presidente della Camera, col suo moralismo un tanto al chilo, come avrebbe detto Enzo Biagi. 
Sono giorni tristi, questi, per chi ricorda i cari scomparsi, e per chi si preoccupa del destino di figli e nipoti: L'Italietta di Giolitti era piccola, ma seria nei comportamenti di chi la governava, capaci di farla risorgere dopo una guerra terribile seguita al famigerato Ventennio.