03/07/12

CAPO D'ARMI COME PALINURO, LA STORIA DI SILVIO VAGLIO E ALFONSO PARISE

Le acque di capo d'Armi dove persero la vita i due sub 

La tragedia di Palinuro, che è costata la vita a quattro subacquei, ha richiamato alla memoria del vecchio cronista un episodio accaduto anni fa nei pressi di Reggio Calabria, nelle acque dello Ionio, tra Lazzaro di Motta San Giovanni, e le scogliere di Capo dell’Armi, un posto ancora incantevole, nonostante l’assalto selvaggio del cemento
Un giovane appassionato di pesca subacquea, Silvio Vaglio, (vado a memoria, non ho il mio archivio a disposizione e la mente è obnubilata da Caronte che assedia Roma) era sceso  in mare, come faceva molto spesso per dare la caccia a cernie e murene che, negli anfratti sottomarini di quella zona, che peraltro conosceva assai bene, nuotano numerose.
Le reti lì non possono essere calate, per via degli scogli che rendono pericolosa la navigazione se ci si avvicina troppo alla spiaggia, solo i sub più esperti sanno dove trovare le prede, e Silvio Vaglio lo era.
Ma anche lui, quel giorno, col mare calmo e più limpido del solito, commise forse una fatale imprudenza, almeno così la vicenda venne ricostruita nei giorni frenetici che seguirono il recupero del corpo e, purtroppo, la morte di un vigile del fuoco sommozzatore, che faceva parte dei soccorritori. Credo, ne sono quasi certo, che fosse palermitano, alto e robusto, si chiamava Alfonso Parise, e, se la memoria non m’inganna, è rimasto per sempre laggiù, all’interno di un cunicolo dal quale non era riuscito ad uscire.
Silvio Vaglio aveva lasciato a terra, custoditi, credo, da un amico che solitamente lo accompagnava e che diede l’allarme, i vestiti e componenti dell’attrezzatura,  con bombole accuratamente ricaricate, boccagli e maschere professionali.
Probabilmente, a tradirlo fu un attimo d’incoscienza, forse mentre inseguiva una enorme cernia, che, sempre se ricordo bene, ma i lettori mi perdoneranno, aveva fiocinato. E così entrò nel maledetto cunicolo dove, un paio di giorni dopo, nonostante i vigili del fuoco lo avessero localizzato, venne ripescato dopo diversi e rischiosi tentativi. Ma la tragedia era diventata ancora più grande, perché, nel compiere il suo dovere, Alfonso Parise era finito anche lui per essere inghiottito dal tunnel della morte, ad una quindicina di metri di profondità, tra Lazzaro e le scogliere di Capo D’Armi, sovrastato dal faro che la notte indica la rotta alle navi che affrontano il mare aperto, verso porti lontani.
In città la storia dei due sub morti in circostanze simili, fece grande impressione, per diversi giorni il “Giornale di Calabria”, della cui redazione reggina all’epoca facevo parte,  le dedicò ampio spazio, sin dalle prime ore in cui la notizia dell’incidente a Silvio Vaglio s’era diffusa.
Capannelli di persone, amici e parenti di Silvio, tanti appassionati di pesca subacquea, stazionarono notte e giorno sulla spiaggia da dove Silvio Vaglio s’era tuffato e da dove sarebbe riemerso, come gli accadeva quasi sempre, con il sorriso di soddisfazione che solo chi ama la pesca può comprendere .
Il mare è bello ma può diventare estremamente pericoloso, e non faccio altro che ricordarlo ai miei figli che sono entrambi appassionati di questo sport tanto affascinante, l’eterna sfida tra l’uomo e la natura. Per questo, la tragedia della grotta del sangue di Palinuro, sulla rotta di Ulisse, mi ha colpito particolarmente e richiamato alla memoria un fatto di cronaca che commosse i reggini. 

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