Le acque di capo d'Armi dove persero la vita i due sub |
La tragedia di Palinuro, che è
costata la vita a quattro subacquei, ha richiamato alla memoria del vecchio
cronista un episodio accaduto anni fa nei pressi di Reggio Calabria, nelle
acque dello Ionio, tra Lazzaro di Motta San Giovanni, e le scogliere di Capo
dell’Armi, un posto ancora incantevole, nonostante l’assalto selvaggio del
cemento
Un giovane appassionato di pesca
subacquea, Silvio Vaglio, (vado a memoria, non ho il mio archivio a
disposizione e la mente è obnubilata da Caronte che assedia Roma) era
sceso in mare, come faceva molto spesso
per dare la caccia a cernie e murene che, negli anfratti sottomarini di quella
zona, che peraltro conosceva assai bene, nuotano numerose.
Le reti lì non possono essere
calate, per via degli scogli che rendono pericolosa la navigazione se ci si
avvicina troppo alla spiaggia, solo i sub più esperti sanno dove trovare le
prede, e Silvio Vaglio lo era.
Ma anche lui, quel giorno, col
mare calmo e più limpido del solito, commise forse una fatale imprudenza,
almeno così la vicenda venne ricostruita nei giorni frenetici che seguirono il
recupero del corpo e, purtroppo, la morte di un vigile del fuoco sommozzatore,
che faceva parte dei soccorritori. Credo, ne sono quasi certo, che
fosse palermitano, alto e robusto, si chiamava Alfonso Parise, e, se la memoria
non m’inganna, è rimasto per sempre laggiù, all’interno di un cunicolo dal
quale non era riuscito ad uscire.
Silvio Vaglio aveva lasciato a
terra, custoditi, credo, da un amico che solitamente lo accompagnava e che diede
l’allarme, i vestiti e componenti dell’attrezzatura, con bombole accuratamente ricaricate,
boccagli e maschere professionali.
Probabilmente, a tradirlo fu un
attimo d’incoscienza, forse mentre inseguiva una enorme cernia, che, sempre se
ricordo bene, ma i lettori mi perdoneranno, aveva fiocinato. E così entrò nel
maledetto cunicolo dove, un paio di giorni dopo, nonostante i vigili del fuoco
lo avessero localizzato, venne ripescato dopo diversi e rischiosi tentativi. Ma
la tragedia era diventata ancora più grande, perché, nel compiere il suo
dovere, Alfonso Parise era finito anche lui per essere inghiottito dal tunnel
della morte, ad una quindicina di metri di profondità, tra Lazzaro e le
scogliere di Capo D’Armi, sovrastato dal faro che la notte indica la rotta alle
navi che affrontano il mare aperto, verso porti lontani.
In città la storia dei due sub
morti in circostanze simili, fece grande impressione, per diversi giorni il
“Giornale di Calabria”, della cui redazione reggina all’epoca facevo
parte, le dedicò ampio spazio, sin dalle
prime ore in cui la notizia dell’incidente a Silvio Vaglio s’era diffusa.
Capannelli di persone, amici e
parenti di Silvio, tanti appassionati di pesca subacquea, stazionarono notte e
giorno sulla spiaggia da dove Silvio Vaglio s’era tuffato e da dove sarebbe
riemerso, come gli accadeva quasi sempre, con il sorriso di soddisfazione che
solo chi ama la pesca può comprendere .
Il mare è bello ma può diventare
estremamente pericoloso, e non faccio altro che ricordarlo ai miei figli che
sono entrambi appassionati di questo sport tanto affascinante, l’eterna sfida
tra l’uomo e la natura. Per questo, la tragedia della grotta del sangue di
Palinuro, sulla rotta di Ulisse, mi ha colpito particolarmente e richiamato
alla memoria un fatto di cronaca che commosse i reggini.
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