23/05/12

LA STRAGE CHE HA CAMBIATO IL MODO DI COMBATTERE LA MAFIA, COSI' FALCONE VIVE ANCORA


Quel giorno di Maggio, lo ricordo benissimo, era un anticipo dell'estate, cielo terso, un leggero vento increspava il mare dello Stretto. Pomeriggio di ordinario lavoro, nella redazione d'un giornale di provincia nella città che, fino a pochi mesi prima, era stata squassata dalla guerra di mafia che aveva insanguinato le strade e provocato centinaia di vittime.
Dopo l'omicidio del giudice Scopelliti le cosche in  lotta avevano trovato l'accordo, attorno a un tavolo s'erano seduti, con la mediazione di personaggi di Cosa Nostra venuti perfino dagli Usa e dall'Australia, faccia a faccia, i protagonisti di quello scontro cruento scoppiato dopo l'omicidio del boss Paolo De Stefano.
Da qualche settimana, e la voce correva negli ambienti giudiziari, s'erano decisi a collaborare con la giustizia due personaggi della 'ndrangheta cittadina: Filippo, "Pippo" Barreca, e Giacomo Lauro, che era stato beccato in Olanda e subito aveva chiesto un colloquio al colonnello Angiolo Pellegrini, che dirigeva la Dia di Reggio Calabria.
Chi si occupava di cronaca, come il sottoscritto, stava con le orecchie  ben tese, pronto a raccogliere le  anticipazioni su quanto i due andavano raccontando, dopo essere stati trasferiti nel "fortino" di Calamizzi, alla periferia sud della città, sede della Direzione investigativa antimafia che muoveva i primi passi.
E fu Angiolo Pellegrini, con la voce rotta dall'emozione, proprio lui considerato un duro, un ufficiale d'azione, che a Reggio Calabria e Palermo, passando per la Campania, aveva conquistato la fama di grande investigatore, a darmi la notizia dell'attentato di Capaci, pochi minuti dopo il terribile scoppio.
Pellegrini con Falcone ci aveva lavorato, me ne parlava spesso, io avevo avuto modo di conoscerlo in occasione del delitto Scopelliti, quando venne a Reggio al seguito del presidente della repubblica, Cossiga, e del ministro della Giustizia, Martelli, che lo aveva voluto al suo fianco nel dicastero di via Arenula.
Qualcuno disse che nelle carceri siciliane, alla notizia dell'avvenuta strage, boss e gregari avevano brindato, il nemico era caduto, ma non sapevano che, da quel momento, per la mafia sarebbero cominciati gli anni della lotta senza respiro, delle leggi speciali, del carcere duro che avrebbe favorito il pentitismo.
Reggio  viveva apparentemente, in quei giorni, una certa tranquillità, ma di lì a qualche mese sarebbe esplosa la Tangentopoli, a seguito delle rivelazioni di Agatino Licandro, il giovane sindaco sul quale la città aveva puntato per una primavera che non sarebbe arrivata, su Reggio calò il buio.
Dal punto di vista giudiziario, la Tangentopoli stracciona, come venne definita, ha segnato un vero e proprio flop, ma la città, checchè se ne dica, porta ancora  sulla pelle i segni di quegli anni. Vent'anni possono essere davvero pochi, un battito di ciglia nell'universo, ma dobbiamo dire che, a parte le azioni della forze dell'ordine e della magistratura, dopo un lungo "sonno", e gli arresti eccellenti, poco è cambiato. Reggio continua ad essere governata male, ci sono in azione "cricche", tanto per usare un termine di moda, che ne condizionano lo sviluppo. E chissà ancora per quanto tempo.

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