Coppi è stato vittima di quello che, al giorno d'oggi, avremmo definito un caso della cosiddetta malasanità, ucciso da un errore di valutazione d'un medico, eppure sarebbe bastato inghiottire un paio di pastiglie di chinino che, all'epoca, e io lo ricordo benissimo, lo vendevano anche i tabaccai.
Quella mattina la notizia, come tanti italiani, l'appresi alla radio, che tenevo accesa anche quando studiavo, le scuole erano ancora chiuse per le vacanze natalizie, con gli amici s'era fatto tardi giocando a sette e mezzo. Nel pomeriggio, sull'arido campo della Pro Pellaro, sempre battuto dal vento, a due passi dal mare, ci attendeva la partita di calcio.
Per comperare i giornali bisognava andare a Reggio e il giorno dopo ci andammo, in bicicletta, a Sbarre la prima edicola, la terribile foto di Fausto, col vestito gessato e i capelli perfettamente pettinati, composto nella bara, accanto a lui la "dama bianca". Il nome, come sovente accade, glielo avevano affibbiato i giornalisti che seguivano le corse e sapevano ma, per tanto tempo, avevano taciuto la notizia di questo amore clandestino per il quale il nostro campione avrebbe pagato un prezzo altissimo.
Nell'Italia bigotta di quegli anni, furono in tanti a condannare la scelta d'amore di Fausto Coppi, la gente si sentiva come tradita, certe cose si facevano, ma di nascosto, il dramma di tante famiglie restava tra le mura domestiche, bisognava salvare le apparenze, ad ogni costo.
Tornai a casa, assieme a un paio di ragazzi della mia età, pedalando in silenzio, nell'aria ci sembrò di sentire come un fruscio d'ali sbattute, era l'airone che saliva lassù, sempre più su verso il traguardo più bello.
Tanto tempo è passato, ora ci si divide per altre ragioni, mentre dagli schermi ricompare la figura del più grande campione di tutti i tempi, lo stile è sgraziato, sul volto una smorfia, e la bicicletta sembra voler prendere da un momento all'altro il volo.
Fausto vive ancora nel cuore di tanti.
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