LA VALLE DOVE NASCONO I SOGNI
Com'era bella quella valle, tutta verde tra dolci colline e tale è rimasta anche quando quel muro di cemento chiamato diga ha fatto nascere il lago che riflette il paesaggio ancora per fortuna selvaggio, nascosto quel tanto che lo ha salvato dall'aggressione degli uomini.
Un posto tranquillo, paesini di pochi abitanti, un negozio che vende tutto, la farmacia, la caserma dei carabinieri, la scuola: i ragazzi arrivano anche dai centri vicini e se vuoi comprare un giornale o fare benzina devi spostarti, col tempo la popolazione s'è ridotta, salvo l'estate quando rientrano gli emigrati e arrivano i turisti ospiti di un alberghetto che non ha tante pretese, ma è pulito e si mangia bene.
Poi, arriva l'autunno con un tantino di tristezza, gli amici sono partiti, qualche flirt sarà inevitabilmente destinato a finire, torna la noia dei pomeriggi, la solita partita a carte, il campionato. E' questo lo scenario di vita di un giovane, si chiama Andrea, ha fatto buoni studi, sta cominciando a lavorare, gioca al calcio, difensore ma anche buono per il centrocampo, uno dei tanti che calcano i campetti polverosi della vallata del Turano, nel cuore del Lazio poco conosciuto, ma che riserva inesplorate bellezze.
Di questi anni, del calcio dilettantistico d'allora, senza veleni e soprattutto senza soldi Andrea Lo Vasto ha voluto parlare nel suo libro "11 numero perfetto" edizioni Media & Books, il diario dai toni romantici di anni che hanno visto in quella valle col lago dalle acque verdi nascere un sogno.
I protagonisti sono quanto di più assortito possa trovarsi nel genere umano: c'è il professionista che ha studio in città ma vive nel paesetto che ama, un farmacista, il piccolo industriale che è rimasto quando tutti sono andati via, il forestiero che è venuto per una vacanza e s'è fermato per sempre, il pensionato che allena per hobby, un gruppo di giocatori alcuni dei quali meriterebbero altri palcoscenici, invece debbono accontentarsi degli applausi di qualche decina di appassionati che assistono a partite spesso dai toni agonistici accesi, ma che si concludono con un abbraccio generale, senza rancore.
Nasce una società, con tutti i crismi dei regolamenti, le cariche, i compiti ben definiti, dal presidente al magazziniere, ai custodi e agli ex militari che assicurano vigilanza e frenano qualche spirito bollente.
Il nome della squadra ci riporta ai campionati sudamericani, il Vacuna, i colori sociali sono sgargianti, invece il teatro è un altro, la voce si sparge nella vallata, tutti accorrono per vedere questo manipolo di coraggiosi che corre su terreni polverosi con palloni pesanti e non tutti hanno le scarpe adatte. Il tempo è passato, inesorabile, la vita ha portato Andrea altrove, la famiglia, il lavoro, un altro lavoro, ma nella mente un chiodo fisso, ore e ore, giorni e giorni, anni a rimestare tra i ricordi, a prendere appunti, a collezionare le amate citazioni latine, la lingua dei nostri padri, di coloro che sottomettendo tutti erano diventati i padroni del mondo, i romani. Nel suo libro non ha raccolto soltanto le tracce di quel calcio che è sparito per sempre, ma ha resuscitato personaggi, reinventato lo spirito che animò quel gruppetto di persone che hanno voluto far diventare realtà un sogno che sembrava impossibile.
Se capiti nella vallata, un giorno qualunque, e tendi l'orecchio attraversando uno dei tanti paesi sempre più silenziosi, ti sembra ancora di sentire il grido di vittoria del Vacuna, la squadra che resta un mito e chi la fondò, chi vestì quella maglia, a suo modo, fa parte della leggenda.
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