13/09/18

Dal libro "Il Mestieraccio" - ricordo di Nello Vincelli

Dal ’52 la “Gazzetta” è nelle edicole, il fondatore, Uberto Bonino, col piglio del pioniere, decide che è il momento di tentare l’avventura in Calabria, secondo l’antica tradizione che vede Messina e la regione dirimpettaia impegnate in una sorta di scambio sinergico, in fatto d’informazione.
A Reggio affida la redazione, due stanzette in via Logoteta, a pochi passi da piazza Italia, al vulcanico Ciccio Liconti, assicuratore col pallino del giornalismo. Con lui lavorano alcuni giovani di belle speranze: Nello Vincelli, vicino al mondo cattolico, dirigente nazionale dei giovani Dc, Renato Turano, che in seguito sceglierà di fare il bancario, Umberto Paladino, reporter di razza, che, passato alla concorrente “Tribuna del Mezzogiorno,” abbandonerà poi anche lui la professione. Vincelli resta al giornale per un paio d’anni, ma si capisce che il suo destino è già scritto.
Grazie a uno sponsor che si chiama Amintore Fanfani, questo giovane mite, umile, che piace alla gente semplice, viene eletto, a neppure 27 anni, deputato, con più di quarantamila preferenze.
Reggio porta a Montecitorio, oltre a lui, Peppino Reale, austero professore di lettere, che vivrà anni dopo una breve parentesi da sindaco, e un chirurgo di fama, Antonino Spinelli, anche lui di Catona, il rione dove Nello Vincelli, nato in Sicilia (a Melilli, in provincia di Siracusa) ma reggino d’adozione, è venuto a vivere quando il padre, maresciallo dei carabinieri, vi si è trasferito.
Inizia per Sebastiano Vincelli, che continuerà a farsi chiamare Nello, una lunga carriera politica, ricca di soddisfazioni, ma anche costellata da qualche delusione.
Lui, nei momenti difficili, non s’è mai perso d’animo e ha continuato a vivere la sua vita per la politica, la politica come vita.
Deputato fino al ’76, poi senatore dal ’79 all’83, più volte sottosegretario, sempre presente nei vertici dello scudo crociato, amico dei più prestigiosi leader ma, sino alla fine, vicino a Fanfani, una fedeltà che in politica lo faceva apparire quasi come un marziano.
Nello Vincelli ha legato il suo nome a più di quarant’anni di vita politica in Calabria e a Reggio, la città che ha amato profondamente, il rione dove tornava sempre, nella casa a pochi passi dal mare dove ha atteso la morte con grande serenità, col conforto della Fede, l’assistenza delle due sorelle, del fratello, dei carissimi nipoti, rivolgendo per l’ultima volta lo sguardo al cielo azzurrissimo mentre davanti agli occhi calava inesorabile una nuvola nera.
Per lui la politica era tutto, ma la “Gazzetta” era il suo più grande amore. Le ultime energie le ha spese per l’associazione Anassilaos, che presiedeva, sempre prodigo di consigli, sempre disponibile al sacrificio.
Era, sin dalla costituzione dell’ente morale, consigliere della Fondazione Bonino-Pulejo. Un paio di mesi prima della morte, già provato dal male, parlammo a lungo, al telefono, aveva appena un filo di voce, ma era felice, perché poteva parlare della “sua” Gazzetta e per un attimo dimenticò l’appuntamento che la signora con in mano la falce “che pareggia tutte le erbe del prato”gli aveva fissato.
E parlammo anche di come prepararsi all’altra vita, lui che era cattolico osservante mi chiese cosa sarebbe stato opportuno leggere, oltre alle sacre Scritture, per affrontare il distacco.
Sussurrai due nomi: Manzoni e Bernanos, la conversione dell’Innominato e il “diario d’un curato di campagna”. Ho saputo che, negli ultimi tempi, erano la sua lettura preferita.
Se n’è andato così come era vissuto, in punta di piedi, al giudizio divino si è presentato con l’animo puro, di uomo sensibile e fermo nei suoi principi, politico capace e onesto, che sapeva dire le cose, senza alzare i toni.
Era ancora capace di farsi ascoltare, soprattutto dai giovani, in cui credeva, riuscendo a conservare quella freschezza di pensiero che è propria delle menti nobili.

18/06/18

LA VALLE DOVE NASCONO I SOGNI

Com'era bella quella valle, tutta verde tra dolci colline e tale è rimasta anche quando quel muro di cemento chiamato diga ha fatto nascere il lago che riflette il paesaggio ancora per fortuna selvaggio, nascosto quel tanto che lo ha salvato dall'aggressione degli uomini.
Un posto tranquillo, paesini di pochi abitanti, un negozio che vende tutto, la farmacia, la caserma dei carabinieri, la scuola: i ragazzi arrivano anche dai centri vicini e se vuoi comprare un giornale o fare benzina devi spostarti, col tempo la popolazione s'è ridotta, salvo l'estate quando rientrano gli emigrati e arrivano i turisti ospiti di un alberghetto che non ha tante pretese, ma è pulito e si mangia bene.
Poi, arriva l'autunno con un tantino di tristezza, gli amici sono partiti, qualche flirt sarà inevitabilmente destinato a finire, torna la noia dei pomeriggi, la solita partita a carte, il campionato. E' questo lo scenario di vita di un giovane, si chiama Andrea, ha fatto buoni studi, sta cominciando a lavorare, gioca al calcio, difensore ma anche buono per il centrocampo, uno dei tanti che calcano i campetti polverosi della vallata del Turano, nel cuore del Lazio poco conosciuto, ma che riserva inesplorate bellezze.
Di questi anni, del calcio dilettantistico d'allora, senza veleni e soprattutto senza soldi Andrea Lo Vasto ha voluto parlare nel suo libro "11 numero perfetto" edizioni Media & Books, il diario dai toni romantici di anni che hanno visto in quella valle  col lago dalle acque verdi nascere un sogno.
I protagonisti sono quanto di più assortito possa trovarsi nel genere umano: c'è il professionista che ha studio in città ma vive nel paesetto che ama, un farmacista, il piccolo industriale che è rimasto quando tutti sono andati via, il forestiero che è venuto per una vacanza e s'è fermato per sempre, il pensionato che allena per hobby, un gruppo di giocatori alcuni dei quali meriterebbero altri palcoscenici, invece debbono accontentarsi degli applausi di qualche decina di appassionati che assistono a partite spesso dai toni agonistici accesi, ma che si concludono con un abbraccio generale, senza rancore.
Nasce una società, con tutti i crismi dei regolamenti, le cariche, i compiti ben definiti, dal presidente al magazziniere, ai custodi e agli ex militari che assicurano vigilanza e frenano qualche spirito bollente. 
Il nome della squadra ci riporta ai campionati sudamericani, il Vacuna, i colori sociali sono sgargianti, invece il teatro è un altro, la voce si sparge nella vallata, tutti accorrono per vedere questo manipolo di coraggiosi che corre su terreni polverosi con palloni pesanti e non tutti hanno le scarpe adatte. Il tempo è passato, inesorabile, la vita ha portato Andrea altrove, la famiglia, il lavoro, un altro lavoro, ma nella mente un chiodo fisso, ore e ore, giorni e giorni, anni a rimestare tra i ricordi, a prendere appunti, a collezionare le amate citazioni latine, la lingua dei nostri padri, di coloro che sottomettendo tutti erano diventati i padroni del mondo, i romani. Nel suo libro non ha raccolto soltanto le tracce di quel calcio che è sparito per sempre, ma ha resuscitato personaggi, reinventato lo spirito che animò quel gruppetto di persone che hanno voluto far diventare realtà un sogno che sembrava impossibile.
Se capiti nella vallata, un giorno qualunque, e tendi l'orecchio attraversando uno dei tanti paesi sempre più silenziosi, ti sembra ancora di sentire il grido di vittoria del Vacuna, la squadra che resta un mito e chi la fondò, chi vestì quella maglia, a suo modo, fa parte della leggenda.

13/03/18

IL DIAVOLO INNAMORATO

L'appuntamento è per mercoledi, ore 21, al teatro LE SALETTE, zona piazza Cavour : va in scena la prima de "Il diavolo innamorato", regia di Stefano Maria Palmitessa. Un lavoro, che vede ancora all'opera la compagnia Paltò sbiancato, tratto da un'opera di Jacques Cazotte con l'adattamento di Francesca e Natale Barreca. Il cast degli artisti è composto da Alessandro Laureti, Mary Fotia, che cura anche i costumi, Filippo Di Lorenzo, assistente alla regia, Marilia Valenza, Viola Creti, Massimiliano Calabrese, Davide Poli. Le coreografie sono di Mara Palmitessa, le musiche di Silverio Scramoncin.
Il diavolo che tenta l'uomo, un clichè delle fantasie di tuttii tempi, ma quando ci si spinge oltre, le tentazioni aumentano. Alvaro, giovane e nobile, s'imbatte, per la sua curiosità di esplorare il mondo occulto, in un demone sui generis che decide di sperimentare il più profondo e rischioso dei sentimenti umani, l'amore.
Il testo affronta, in maniera originale, il rapporto tra il vizio e l'uomo. Biondetta freme di appassionata femminilità, sussulta e palpita come una donna mortale. L'intrigo si amplifica coinvolgendo sfere di relazioni e di affettuosità che porteranno il nobiluomo spagnolo a compiere un'ineludibile scelta. L'essenza dell'atmosfera del testo francese resta, ma questa piè ne esalta l'attualità asciugando fin dove è possibile il linguaggio che il brivido finale dilegua in una bolla opalescente. Da mercoledì a sabato spettacolo alle 21, domenica alle 18. Chi ha seguito le recenti performance de Il paltò sbiancato non ha dubbi, sarà certamente un successo.

21/02/18

GALLERIA DEGLI AMICI DEL "MESTIERACCIO"

Pietro Scognamiglio

Lorena Leonardi

Clara Ballari
Annalisa Venditti
Livia Di Schino
Valeria Ferrante
Francesca Carangelo